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venerdì 5 luglio 2024

Il Prof. Spataro commenta di nuovo l'intervista al prof. Grillo


Riceviamo dal Prof. Roberto Spataro e volentieri pubblichiamo  una breve risposta all'intervento del Prof. Andrea Grillo (QUI) al commento che Spataro stesso ha fatto su MiL (QUI) alla nota intervista  da noi pubblicata. 
L'intervista completa di MiL al prof. Andrea Grillo la potete trovare QUI; QUI la traduzione in lingua inglese; QUI la traduzione in lingua tedesca.
QUI tutti gli articoli di MiL sui commenti e sulle repliche scaturiti dall'intervista. 
Luigi C.


Chiarissimo Professore,

La ringrazio per l’attenzione che Ella ha voluto benignamente riservare alla mia “lettera aperta” proseguendo un dialogo che certamente sarà di beneficio ai nostri lettori. Pur avendo Ella toccato diversi argomenti, meritevoli di attenta riflessione, mi limito a riprendere il punto dal quale siamo partiti.

1. Lei dichiara che il latino non è lingua morta ma neppure viva. Anche se la logica con il suo principio di non-contraddizione non potrebbe consentire l’uso di questa simultanea caratterizzazione, comprendendo le ragioni che Ella adduce, direi di superare la dicotomia e attribuire altra qualifica distintiva. Se nella “lettera aperta” con Wilfried Stroh e altri eminenti studiosi della materia, parlai di “lingua immortale”, con San Giovanni XXIII, promotore del Concilio Vaticano II, oso proporle la definizione di “lingua amica” che accanto alle lingue parlate e alle lingue nazionali si pone umilmente sovrana al loro servizio per aumentarne e dilatarne la portata semiotica e non solo semantica, anche in quell’ambito specifico e sublime qual è la ritualità liturgica.

2. Un altro punto che ha suscitato in me più di qualche perplessità è quello relativo alla “traduzione”, laddove Ella parla di una stagione non felice negli anni in cui ha avuto vigore “Liturgiam autenthicam”. La traduzione è un’opera complessa, come Lei sa meglio di me. Le stesse parole, simili in tutte le lingue neolatine, che indicano questa operazione ne propongono visioni e prassi diversificate. Maurizio Bettini, filologo e antropologo, anni fa, in un suo fortunato saggio, intitolato “Vertere”, ci ha ricordato che altro è traduzione, altro è versione. All’operetta dell’illustre studioso, oso aggiungere la parola che più comunemente, proprio in latino, si adopera per indicare questa operazione: “inter-pretatio”. L’etimologia suggerisce una mediazione culturale, altamente specializzata, che conserva fedelemente il riferimento alla lingua di entrata e a quella di uscita. In conclusione, penso che la Sua valutazione su “Liturgiam authenticam” e più in generale sulla “traduzione” ometta questa previa scelta epistemologica.

3. Infine, Lei dichiara che l’esperienza del Mistero Pasquale è mediata dalla lingua madre e/o dalla lingua parlata comunemente dai fedeli. Anche su questo punto nutro molte riserve: i fedeli che incontro – oltre a essere un latinista, per quanto di non particolare eccellenza, e un teologo dogmatico – sono soprattutto, per grazia di Dio, un sacerdote a contatto con i fedeli. E dall’amplissima “antologia” di episodi occorsimi, gliene propongo uno, recentissimo Trovandomi in un paese europeo, ho concelebrato la Santa Messa NO e, non conoscendo la lingua del luogo, il presidente ha adoperato la lingua latina per la Preghiera eucaristica II, consentendomi di unirmi a lui. Alla fine della Messa, una delle fedeli, di media età, ci ha avvicinato per ringraziarci: durante la Preghiera eucaristica aveva “sperimentato” la presenza divina con speciale intensità. Non è questa l’actuosa participatio?

Concludo anche io la mia lettera con una citazione in latino. È una massima, erroneamente e comunemente attribuita ad Agostino: in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas.

Suo obb.mo in Iesu et Maria

Don Roberto Spataro, sdb
DLCC, DThD, Già docente ordinario presso il Pontificium Institutum Altioris Latinitatis, segretario emerito della Pontificia Academia Latinitatis, socio dell’Academia Latinitatis fovendae

1 commento:

  1. Grazie di esistere, Padre Roberto Spataro. Non si accorgono che l'avversione per il latino, così come l'avversione per i dogmi, per la figura ed il ruolo di Maria, per la distinzione dei ruoli tra maschi e femmine ecc, è avversione per il cristianesimo come dono, come iniziativa di Dio incarnato che noi, per amore, e come ogni amore che si rispetti, dovremmo voler custodire così come era in origine, allo stesso modo con cui vorremmo che i nostri amori umani si cristallizzassero come erano nell idillio iniziale.
    "Passa lu tiempo e lu munno s'avota
    Ma 'ammore vero no, nun vota vico"
    (" Era de maggio" di Salvatore di Giacomo").

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