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giovedì 29 giugno 2023

Instrumentum doloris del Sinodo sulla sinodalità: un triste déjà vu

Continuiamo a proporvi importanti e qualificati contributi sull’«Instrumentum laboris» per la Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, reso noto martedì pomeriggio (su MiL QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI e QUI).
Di seguito riportiamo – nella traduzione offerta dal blog Duc in altum – l’articolo pubblicato martedì 27 giugno sul blog Caminante Wanderer.

L.V.


La scorsa settimana è stato pubblicato l’Instrumentum laboris del sinodo biennale sulla sinodalità, che inizierà il prossimo 4 ottobre. I media cattolici hanno già pubblicato diverse analisi del lunghissimo documento. Vi consiglio questo post del blog Messainlatino, dove potete trovare i link a varie di esse. Non si tratta, quindi, di ripetere quanto già detto e ben spiegato. Possiamo però proporre alcune ulteriori riflessioni.

La prima è la più evidente: tutto questo è un déjà vu, una versione remixata di tutte le iniziative del pontificato franceschista, riproposte in un ordine leggermente diverso ma questa volta con un elemento aggiuntivo che compare a ogni piè sospinto nel documento e che, durante la conferenza stampa di presentazione, è stato evidenziato in modo costante nelle risposte dei cardinali Jean-Claude Hollerich S.I. e Mario Grech. Mi riferisco al carattere onanistico di tutta questa pantomima, perché non si tratta più soltanto delle solite prediche sugli omosessuali che desiderano amarsi, sugli sposati che vogliono divorziare e sui preti che vogliono sposarsi – in altre parole, un tentativo di abrogare il sesto comandamento , o sulle donne che vogliono essere ordinate sacerdote e sulla Madre Terra che non vuole essere violentata. No, ora ci viene detto: la cosa più importante del sinodo è la sinodalità stessa. È il camminare per il gusto di camminare, senza pensare a dove ci porta il cammino; è il “il fatto di camminare insieme e interrogarci sul senso di questa esperienza”, ha detto il card. Mario Grech. Un esercizio onanistico, appunto, concepito da un politico senza scrupoli come papa Francesco, che tira continuamente fuori conigli dal cilindro per preservare una certa iniziativa in una Chiesa in fase di dissoluzione; una sorta di massaggio cardiaco su un pontificato morente che gli permette, se non altro sulla base di rantolii, di mantenere un’apparenza di vitalità, senza la minima preoccupazione per le conseguenze che i mezzi utilizzati a questo scopo provocheranno.

Perché un altro fatto abbastanza evidente a qualsiasi osservatore è che questo sinodo è un altro dei “piccoli doni” che papa Francesco lascerà al suo successore (una pratica frequente nelle ultime settimane: mons. Jorge Ignacio García Cuerva, “piccolo dono” per i fedeli di Buenos Aires; mons. José Cobo Cano, “piccolo dono” per i fedeli di Madrid e mons. Luc Terlinden “piccolo dono” per i fedeli di Bruxelles). La parte veramente importante e definitiva dei sinodi è l’esortazione apostolica post-sinodale, promulgata dal Sommo Pontefice con l’effettivo magistero lasciato dall’assemblea, di solito un anno dopo la sua conclusione. In altre parole, tale documento dovrebbe vedere la luce entro la fine del 2025, ma l’età e le condizioni di salute di papa Francesco suggeriscono che per quella data egli avrà già lasciato questo mondo o sarà in fase di preparazione finale. “Che si arrangi chi arriverà dopo di lui, dice, seguendo la tattica permanente dei governi peronisti, che in Argentina conosciamo bene: durante i loro periodi di governo spendono, sperperano e si indebitano per compiacere le masse e le proprie tasche, per poi lasciare ai governi che gli succedono il “piccolo dono” di sistemare i guai che hanno causato.

L’8 luglio 2013, a poco più di cento giorni dall’elezione di Bergoglio, dicevamo in questo blog che il nascente pontificato si caratterizzava per “l’assenza di fatti e di discorsi teologicamente coerenti e, soprattutto, connotativi, che vengono compensati dai bergoglemi quotidiani che finiscono per non dire nulla”. Dopo quasi quattromila giorni dobbiamo dire la stessa cosa, e l’Instrumentum laboris lo conferma. Papa Francesco ha iniziato la sua carriera romana con tre o quattro povere idee dirompenti, per presentarsi come il papa venuto a rinnovare la Chiesa e a incarnare la leadership del progressismo nel mondo e, giunto alla fine della sua carriera, scopriamo che continua a insistere su queste stesse tre o quattro idee logore (idee e non fatti, perché la sinodalità è solo a parole; nei fatti, il suo è un pontificato dittatoriale), affretta il passaggio della Chiesa verso la sua definitiva dissoluzione e della sua pretesa leadership planetaria non rimane che un pietoso scimmiottamento (basti vedere il ruolo inefficiente e inesistente che ha avuto nella guerra in Russia e Ucraina, al di là dei suoi schiamazzi, tanto che gli è dovuto venire in soccorso il card. Matteo Maria Zuppi). Come dicevamo all’inizio, un déjà vu; i temi e persino le parole che si leggono nell’Instrumentum laboris avrebbero potuto essere enunciati dieci anni fa senza bisogno di essere profeti.

Infine, come è stato sottolineato da diversi commentatori, l’Instrumentum labori (sì, scritto proprio così, con quel grossolano errore di ortografia latina che compariva nella sua prima versione) è un documento destinato alla lettura solo di pochi asceti specializzati. Nessun fedele cattolico, di media pietà e salute mentale, si siederà sul divano di casa per leggere con attenzione un testo del genere, commisurato alla produzione di tonnellate inaudite di parole che non dicono nulla che abbiamo già visto negli ultimi anni. E sarà uno spettacolo da non perdere osservare prelati, sacerdoti, suore, laici e laiche “lavorare” su quelle pagine. È stato annunciato che gli incontri non si terranno più nell’Aula del sinodo ma nell’Aula Paolo VI, in modo da poter allestire numerosi tavoli attorno ai quali si riuniranno le squadre di lavoro composte da dodici persone ciascuna. Questa disposizione topografica, spiega don Giacomo Costa S.I., “facilita la dinamica della conversazione nello Spirito”. Non sarebbe strano se un gruppo di esperti in scienze dell’educazione chiedesse ai padri e alle “madri” sinodali di esprimere le loro idee e i loro sentimenti attraverso animaletti fatti di pongo, elaborando insieme un poster e concludendo con una drammatizzazione. Tutto sommato, è una questione di soffio dello spirito.

Come è avvenuto con il Sinodo sull’Amazzonia, che ha gettato la Chiesa in un grande stress per arrivare a nient’altro che al grottesco spettacolo della pachamama a spasso per la Basilica di San Pietro (e dentro il Tevere), quest’anno avremo un altro patetico siparietto pontificio destinato, come tutto questo pontificato, a causare scandalo ai fedeli e danno alla Sposa di Cristo.

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