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martedì 20 giugno 2023

Commenti (seri ma non troppo) a prima lettura dell’«Instrumentum laboris» della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi

Oggi pomeriggio, alle ore 14:30, non appena terminato l’embargo, abbiamo pubblicato (QUI) l’«Instrumentum laboris» per la Prima Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
Ora desideriamo riportare alcuni passaggi che, ad una prima lettura, riteniamo particolarmente significativi e suggerire per ciascuno un rapido commento, tra il serio ed il faceto.
E ci permettiamo di insistere sul faceto, rilevando con infinita tristezza che il testo in commento – al di là del tragico errore ortografico latino nel titolo pubblicato dalla Sala Stampa della Santa Sede – presenta essenzialmente un carattere umoristico, purtroppo alternato con così tante implicazioni ereticali da perderne il conto: in primis è palese che i contenuti della fede non abbiano più nessun valore costitutivo e che si miri a far risultare la Chiesa dalla mera prassi «sinodale» che, in quanto tale, può tranquillamente coinvolgere anche «le altre chiese», che vengono poste su un piano di totale parità sociologica. Essendo poi chiaramente il piano sociologico l’unico rilevante, la specificità della Chiesa Cattolica come unica Chiesa di Cristo cessa completamente di avere significato (ben oltre la «comunione imperfetta» e le altre ubbie ecumeniste del post-Concilio Vaticano II).
Insomma, un documento illeggibile che – ahinoi – ben poco ha a che fare con il Cattolicesimo e che, senza troppi veli, ha come fine l’ipocrita inclusione di coloro che per la fede sono nel peccato, ma che il pensiero dominante approva, in un cortocircuito di omologazione alla mondanità.
Ecco dunque, di seguito, qualche nostra riflessione (seria ma non troppo) su alcuni dei passaggi che riteniamo più emblematici di un documento burocraticamente mediocre e che tocca le più elevate cime di «aria fritta».

Dal n. 24 della premessa:

A livello locale, emerge con forza l’importanza di quanto già si sta facendo insieme a membri di altre Chiese e Comunità ecclesiali, soprattutto come testimonianza comune in contesti socioculturali ostili fino alla persecuzione – è l’ecumenismo del martirio – e di fronte all’emergenza ecologica.

Testimonianza nella persecuzione, nel martirio e nell’emergenza ecologica messe sullo stesso piano!

Dal n. 26 della premessa:

La chiamata radicale è quindi quella di costruire insieme, sinodalmente, una Chiesa attraente e concreta: una Chiesa in uscita, in cui tutti si sentano accolti.

«In uscita» sì, ma di fedeli che non tornano più. Manca solo la nota di rinvio al motu proprio Traditionis custodes.

Dal n. 35 della premessa:

La conversazione nello Spirito si inserisce nella lunga tradizione del discernimento ecclesiale, che ha espresso una pluralità di metodi e approcci. Va sottolineato il suo valore squisitamente missionario. Questa pratica spirituale ci permette di passare dall’“io” al “noi”: non perde di vista o cancella la dimensione personale dell’“io”, ma la riconosce e la inserisce in quella comunitaria. In questo modo la presa di parola e l’ascolto dei partecipanti diventano liturgia e preghiera, al cui interno il Signore si rende presente e attira verso forme sempre più autentiche di comunione e discernimento.

Le citazioni di nobili e teste coronate possono apparire provocatorie nel contesto sinodale, ma permetteteci di ricordare il conte Raffaello Mascetti, di augusta memoria nel fu Granducato di Toscana: «Lo vede il dito, lo vede che stuzzica, e prematura anche?»

Dal n. 42 delle premesse:

Tenendo presente il significato della conversazione nello Spirito nell’animare l’esperienza vissuta della Chiesa sinodale, la formazione a questo metodo, in particolare di facilitatori capaci di accompagnare le comunità a praticarlo, è percepita come una priorità a tutti i livelli della vita ecclesiale e per tutti i Battezzati, a partire dai Ministri ordinati, e in uno spirito di corresponsabilità e apertura a diverse vocazioni ecclesiali. La formazione alla conversazione nello Spirito è formazione a essere Chiesa sinodale.

Il ritorno dei navigator del fu Ministro Luigi Di Maio…

Dal n. 44 della premessa:

È nel rapporto con comunione e missione che la partecipazione può essere compresa, e per questo non può che essere affrontata dopo le altre due. Da una parte rende loro il servizio della concretezza: l’attenzione a procedure, regole, strutture e istituzioni consente alla missione di consolidarsi nel tempo e sottrae la comunione all’estemporaneità emozionale.

È assai probabile che, se inseriamo questo passaggio in un qualsiasi traduttore su internet, questo si autodistrugga.

Dal n. 47 della premessa:

Innanzi tutto [la vita sinodale della Chiesa] è nell’azione liturgica, e in particolare nella celebrazione eucaristica, che la Chiesa fa ogni giorno esperienza di radicale unità nella medesima preghiera, ma nella diversità delle lingue e dei riti: un punto fondamentale in chiave sinodale. Da questo punto di vista, la molteplicità dei riti nell’unica Chiesa Cattolica è un’autentica benedizione, da proteggere e promuovere, come in diverse occasioni si è potuto sperimentare anche durante le Assemblee continentali.

Contr’ordine, compagni! Con imminente motu proprio si renderà noto che il n. 47 dell’Instrumentum laboris non esiste ed il suo autore già è stato condotto in ceppi nel sotterraneo di Castel Sant’Angelo.

Dal n. 59 della premessa:

I candidati al Ministero ordinato vanno formati a uno stile e a una mentalità sinodale. La promozione di una cultura della sinodalità implica il rinnovamento dell’attuale curriculum dei seminari e della formazione dei formatori e dei professori di teologia, in modo che ci sia un orientamento più chiaro e deciso verso la formazione a una vita di comunione, missione e partecipazione. La formazione a una spiritualità sinodale è al cuore del rinnovamento della Chiesa.

Espulso l’aggettivo «cattolico» dai seminari, si proceda quanto prima alla damnatio memoriae in tutti i centri di formazione di sant’Agostino, san Tommaso, sant’Anselmo e di tutti i Padri e Dottori della Chiesa ed i loro testi bruciati per carenza di sinodalità!

Dalla scheda B 1.1:

b) La cura della casa comune invita a un’azione condivisa: la soluzione a molti problemi, come ad esempio i cambiamenti climatici, sollecita l’impegno dell’intera famiglia umana. La cura della casa comune è già un luogo di intense esperienze di incontro e collaborazione con i membri di altre Chiese e Comunità ecclesiali, con i credenti di altre religioni e con uomini e donne di buona volontà. Questo impegno richiede la capacità di agire coerentemente su una pluralità di piani: catechesi e animazione pastorale, promozione di stili di vita, gestione dei beni (immobili e finanziari) della Chiesa.

Questa è indicata come la prima «questione prioritaria» che dovrà affrontare l’Assemblea generale: Dio non pervenuto.

Dalla scheda B 1.2:

La preoccupazione di essere capaci di autentica accoglienza viene espressa in una pluralità di direzioni, molto diverse tra di loro e non complanari:
a) i Documenti finali delle Assemblee continentali menzionano spesso coloro che non si sentono accettati nella Chiesa, come i divorziati e risposati, le persone in matrimonio poligamico o le persone LGBTQ+

«Non si sentono accettati»?! Guai a parlare di conversione al peccatore, ovviamente: la Chiesa sé dicente «sinodale» non mira più alla salvezza delle anime. E poi, perché si vorrebbero accogliere le persone in matrimonio poligamico e non quelle in matrimonio poliandrico? Nell’ottica «sinodale», questa non è forse una discriminazione?

Ancora dalla scheda B 1.2:

6) Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e sgraditi dalla comunità possano sentirsi riconosciuti, accolti, non giudicati e liberi di fare domande? Alla luce dell’Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris laetitia, quali passi concreti sono necessari per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità (ad esempio divorziati risposati, persone in matrimonio poligamico, persone LGBTQ+, ecc.)?

A domanda, rispondiamo: convertiti e non peccare più! (ops, Nostro Signore Gesù Cristo non fu molto «sinodale»). Anche noi tradizionalisti ci sentiamo spesso non accettati, anzi respinti: quali spazi pensano di creare per noi? Senza contare che anche i mafiosi, i pedofili e altri soggetti simili probabilmente non si sentono accettati: come pensano di includerli?

Dalla scheda B 1.3:

La comunione a cui la Chiesa è chiamata è una relazione dinamica di scambio di doni, che testimonia un’unità trascendente nella diversità. Uno dei doni più significativi del percorso sinodale finora compiuto è la riscoperta della ricchezza della diversità e della profondità della nostra interconnessione. Questa diversità e questa interconnessione non minacciano, ma forniscono il contesto per una ricezione più profonda della nostra unità di creazione, vocazione e destino.

Preso atto dell’insubordinazione verso il motu proprio Traditionis custodes, si decreta che l’autore di questo passaggio – recidivo (con tutta evidenza è lo stesso del n. 47 della premessa, vedi sopra) e già condotto in ceppi nei sotterranei di Castel Sant’Angelo – comparirà davanti a Mastro Titta domani mattina all’alba.

Dalla scheda B 1.4:

f) una certa sinodalità tra le Chiese si sperimenta ogni volta che Cristiani di diverse tradizioni si riuniscono nel nome di Gesù Cristo per la preghiera, l’azione e la testimonianza comuni, nonché per le consultazioni regolari e la partecipazione ai rispettivi processi sinodali.

Ottimo! I coetus fidelium tradizionali di tutto il mondo attendono ora, a breve, di essere finalmente consultati e di partecipare ai processi sinodali.

Dalla scheda B 1.4:

4) Come si può migliorare il nostro camminare insieme con i Cristiani di tutte le tradizioni? In che modo una commemorazione comune del 1700º anniversario del Concilio di Nicea (325-2025) potrebbe fornire un’occasione a tale riguardo?

Sul Concilio di Nicea, del quale si sollecita la commemorazione, giova ricordare quanto affermò in ordine al Diaconato femminile (del quale parleremo anche per la scheda B 2.4): «Commemoravimus autem diaconissas, quae in hoc ordine inventae sunt, quae nec manus impositionem aliquam habent, ut omnimodis inter laicas habeantur. Similiter autem diaconissae, quae in catholico canone non habentur, simili loco, id est, laicae et tamquam non consecratae deputentur» (can. XIX) (Abbiamo accennato alle diaconesse che sono state trovate in questo ordine, che non hanno nemmeno l’imposizione delle mani, in modo che possano essere considerate a tutti gli effetti tra i laici. Allo stesso modo le diaconesse, che non sono considerate nel canone cattolico, siano deputate in un luogo simile, cioè come laiche e come se non fossero consacrate).

Dalla scheda B 2.1:

Il desiderio di crescere nell’impegno per la missione non è ostacolato dalla consapevolezza dei limiti delle comunità cristiane e dal riconoscimento dei loro fallimenti; anzi il movimento di uscita da sé per impulso della fede, della speranza e della carità è una via per affrontare questa incompletezza. Accanto all’affermazione di questo desiderio, le Assemblee continentali danno voce anche alla mancanza di chiarezza e di una comprensione condivisa del significato, della portata e del contenuto della missione della Chiesa, o dei criteri per articolare le spinte all’azione in diverse direzioni.

Be’, la lamentata «mancanza di chiarezza e di una comprensione condivisa del significato» emerge con… chiarezza in tutta la frase!

Dalla scheda B 2.4:

4) La maggior parte delle Assemblee continentali e le sintesi di numerose Conferenze Episcopali chiedono di considerare nuovamente la questione dell’accesso delle donne al Diaconato. È possibile prevederlo e in che modo?

A domanda, rispondiamo: no, in nessun modo (si veda anche sopra alla scheda B 1.4, in riferimento al Concilio di Nicea), salvo inventare una nuova chiesa non più cattolica… o anche senza fare la fatica di inventarla: citofonare al signor Martin Lutero e farsi aprire il portone.

L.V.

4 commenti:

  1. Questa situazione (beh, questa e tante altre negli ultimi decenni) ci rammentano il film su San Filippo Neri, quando il bimbo diceva che in Chiesa facevano le Quarant'ore per qualcuno che non brillava agli occhi del popolo per santita', aggiungendo: "e don Filippo dice che manco basteranno".

    Bisogna pregare molto, e fare molta penitenza, perche il potere delle tenebre non e' mai stato cosi' influente nel mondo e nel seno della Chiesa stessa....il fumo di Satana e' oramai un vero incendio, ma di quelli con le fiamme invisibili, come certi fuochi chimici....

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  2. Ricorda l'episodio della torre di Babele. La Chiesa cattolica sta molto male, ma chi dovrebbe averne cura, invece di fare il proprio dovere, peggiora le cose con "tachipirina e vigile attesa".

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    1. “Non avete minimamente idea di chi siano i fedeli tradizionalisti e di quanto siano normali e in comunione col Papa e con la Chiesa”
      Robertus, 8 Giugno 2023

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  3. È evidente che questa faccenda porta avanti le istanze che furono fermate nella sessione amazzone dall'intervento di Sarah e Benedetto. Fatto fuori l'uno e spirato l'altro vedremo cosa succederà. Mi viene da parafrasare con il motto Vianelliano che noia che barba che barba che noia

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La Redazione