Luigi C.
31-3-25
Nel versetto finale della lettera agli Efesini, Paolo si congeda con una benedizione che porta con sé una densità teologica sorprendente. Il versetto 6,24 recita:
Ἡ χάρις μετὰ πάντων τῶν ἀγαπώντων τὸν Κύριον ἡμῶν Ἰησοῦν Χριστὸν ἐν ἀφθαρσίᾳ
(hē cháris metà pántōn tōn agapṓntōn tòn Kýrion hēmōn Iēsoûn Christòn en aphtharsía),
ossia: «La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo in incorruttibilità.»
Questo testo, nella sua sobrietà, custodisce una profondità che merita di essere ascoltata senza fretta.
Le versioni CEI del 1974 e del 2008 traducono invece: «La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo con amore incorruttibile». Una formulazione che, a prima vista, sembra chiara e devota. Tuttavia, l’espressione «con amore incorruttibile» non corrisponde al testo originale greco. Il termine greco ἀφθαρσίᾳ (aphtharsía) non è un aggettivo qualificativo dell’amore, ma un sostantivo che indica una condizione: incorruttibilità, incaducità, uno stato che appartiene all’eternità e non alle emozioni umane.
San Girolamo, con la sobrietà che lo caratterizza e una profonda intelligenza teologica, traduce nella Vulgata:
«Gratia cum omnibus qui diligunt Dominum nostrum Iesum Christum in incorruptione.»
È una traduzione fedele, asciutta, essenziale. Non parla di un amore “incorruttibile”, ma di un amore vissuto in uno stato di incorruttibilità. La differenza non è solo linguistica, ma spirituale.