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giovedì 10 aprile 2025

“S. Girolamo aveva ragione. Le Bibbie CEI no. L’errata traduzione di Ef 6,24”

Grazie ad Investigatore Biblico per queste analisi sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.

31-3-25

Nel versetto finale della lettera agli Efesini, Paolo si congeda con una benedizione che porta con sé una densità teologica sorprendente. Il versetto 6,24 recita:
Ἡ χάρις μετὰ πάντων τῶν ἀγαπώντων τὸν Κύριον ἡμῶν Ἰησοῦν Χριστὸν ἐν ἀφθαρσίᾳ
(hē cháris metà pántōn tōn agapṓntōn tòn Kýrion hēmōn Iēsoûn Christòn en aphtharsía),
ossia: «La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo in incorruttibilità.»
Questo testo, nella sua sobrietà, custodisce una profondità che merita di essere ascoltata senza fretta.

Le versioni CEI del 1974 e del 2008 traducono invece: «La grazia sia con tutti quelli che amano il Signore nostro Gesù Cristo con amore incorruttibile». Una formulazione che, a prima vista, sembra chiara e devota. Tuttavia, l’espressione «con amore incorruttibile» non corrisponde al testo originale greco. Il termine greco ἀφθαρσίᾳ (aphtharsía) non è un aggettivo qualificativo dell’amore, ma un sostantivo che indica una condizione: incorruttibilità, incaducità, uno stato che appartiene all’eternità e non alle emozioni umane.

San Girolamo, con la sobrietà che lo caratterizza e una profonda intelligenza teologica, traduce nella Vulgata:
«Gratia cum omnibus qui diligunt Dominum nostrum Iesum Christum in incorruptione.»
È una traduzione fedele, asciutta, essenziale. Non parla di un amore “incorruttibile”, ma di un amore vissuto in uno stato di incorruttibilità. La differenza non è solo linguistica, ma spirituale.

Nel testo greco, l’amore è menzionato una sola volta: ἀγαπώντων (agapṓntōn) – coloro che amano. Le traduzioni CEI, invece, sembrano duplicarlo: «quelli che amano […] con amore». Questo raddoppio è una sovrainterpretazione che, pur nata da un intento chiarificatore, introduce una ridondanza non presente nel testo originale. In questo modo, si rischia di appesantire e deviare il senso della benedizione apostolica, che nella sua sobrietà custodisce un richiamo alla realtà nuova inaugurata dalla risurrezione.

La ἀφθαρσία è molto più di una qualità morale: è un tratto escatologico. È la partecipazione alla vita nuova, la vita risorta che non conosce decadimento. L’amore di cui si parla in Efesini 6,24 non è soltanto puro o saldo: è un amore che vive nella incorruttibilità, che ha messo radici nella vita eterna già iniziata. È lo stesso respiro della grazia, che Paolo invoca per tutti quelli che amano il Signore. Un amore vissuto in un ambiente, in una condizione che è ormai oltre il tempo, oltre la corruzione, oltre la morte.

Girolamo ha colto questo mistero. Non ha cercato di interpretare, ma di custodire. Ha lasciato che la Parola parlasse con la sua forza propria, senza sovrastrutture. La sua Vulgata rimane, per questo, un punto di riferimento affidabile: non solo per la sua competenza filologica, ma per la sua capacità di tenere insieme verità linguistica e profondità spirituale.

Tradurre non è semplicemente trasferire parole da una lingua all’altra: è un atto di ascolto, è abitare il testo, lasciarsi plasmare dalla sua luce. Dove la Vulgata si mostra umile e fedele, le versioni moderne rischiano talvolta di voler spiegare troppo. Ma la Scrittura, quando è vera, non ha bisogno di essere spiegata con eccessiva disinvoltura: ha solo bisogno di essere ascoltata. Nel silenzio. Dove parla con più forza.