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giovedì 10 aprile 2025

I dazi al cospetto della dottrina sociale #300denari

L'attualità del tema dei dazi ci ha portato a proporvi due diversi post che analizzano il fenomeno, quello di Filippo "I DAZI AL COSPETTO DELLA DOTTRINA SOCIALE" e quello di Gabriele "LIBERTA’ NEI MERCATI: UNA CONSIDERAZIONE ANTI-SCIENTISTA E UNA DI REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA".
Di seguito, le considerazioni.


I DAZI AL COSPETTO DELLA DOTTRINA SOCIALE

Cari amici della rubrica “300 denari”, tra i temi più caldi di queste ultime settimane, v’è certamente quello dell’introduzione da parte del Presidente Trump dei c.d. “dazi universali” (pari al 10%) su tutte le merci importate negli Statuti Uniti e, per quelle provenienti da alcuni paesi, ulteriori dazi fino al 104% (vedi Cina). Si tratta di una iniziativa di politica-economica dai confini assai incerti: annunciati il 2 aprile scorso (definito come “Liberation day”) e sospesi per 90 giorni pochi giorni dopo (il 9 aprile).

L'introduzione dei dazi è stata percepita dai mercati e da molti operatori economici come una vera e propria catastrofe. Si tratta peraltro di un contrappasso storico, se si considerata che gli Stati Uniti, sin dal secondo dopoguerra, sono la nazione che al fine di assicurarsi un predominio economico globale ha sempre sostenuto con forza il libero scambio internazionale e hanno giocato un ruolo fondamentale nella creazione dell'Organizzazione mondiale del commercio (c.d. “WTO”).

Sul tema, tra i plurimi contributi editi, riteniamo opportuno segnalare la video-intervista al dott. Maurizio Milano (qui) e lo scritto del prof. Eugenio Capozzi (qui), entrambi pubblicati per La Nuova Bussola Quotidiana. Assai critica è l’opinione espressa dal Mises Institute (qui un video e qui un articolo).

Provando a rispettare la vocazione della rubrica, ci siamo chiesti: è possibile delineare un insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa in materia di tariffe doganali?

La Centesimus Annus Pro Pontifice, Inc (affiliazione con sede negli Stati Uniti della Fondazione vaticana Centesimus Annus Pro Pontifice) fornisce alcune utili coordinate sul tema (qui).

Innanzitutto, le tariffe doganali (e i correlati effetti sul mercato) non hanno formato oggetto diretto di encicliche o documento magisteriali; tuttavia, occorre ricordare che la dottrina sociale riconosce sia i benefici del libero scambio sia il diritto delle nazioni di regolare le proprie economie.

In questa prospettiva, «le tariffe doganali possono [sì] proteggere le industrie e i lavoratori nazionali e impedire lo sfruttamento o il dominio economico»; tuttavia, «possono anche provocare inflazione e guerre commerciali e/o rallentamenti economici. Possono danneggiare i poveri e alimentare l'isolazionismo economico piuttosto che la cooperazione globale».

Alcuni principi dell'insegnamento della Dottrina sociale possono aiutarci ad orientarci ulteriormente nella materia dei dazi:

Il bene comune - La Chiesa sottolinea l'importanza del bene comune, che comprende la garanzia che le politiche economiche vadano a beneficio della società nel suo complesso piuttosto che di pochi. (CCC, 1905-1912). “La creazione di questa ricchezza dev'essere sempre in funzione del bene comune, di tutti, e non di quello di pochi” (Papa Francesco, Viaggio Ecuador, Bolivia e Paraguay, Incontro con i Rappresentanti Della Società Civile, 11 luglio 2015).
Le tariffe doganali possono essere considerate in quest'ottica se proteggono le industrie e i posti di lavoro locali, ma non devono portare allo sfruttamento o a pratiche commerciali sleali.

Opzione preferenziale per i poveri – Le politiche economiche dovrebbero mirare a ridurre la povertà e la disuguaglianza. Le tariffe possono essere sostenute se aiutano a mantenere i posti di lavoro nelle regioni o nei Paesi più poveri, ma criticate se portano a un aumento dei prezzi dei beni che colpisce in modo sproporzionato i poveri (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 182). “La giustizia sociale impone che il commercio internazionale, se ha da essere cosa umana e morale, ristabilisca tra le parti almeno una relativa eguaglianza di possibilità” (Papa San Paolo VI, Populorum Progressio, 61).

Destinazione universale dei beni – “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano per il sostentamento di tutti i suoi membri, senza escludere o favorire nessuno” (Papa Giovanni Paolo II, Centesimus Annus, 31). “Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa: non devono quindi intralciare, bensì, al contrario, facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria” (Papa San Paolo VI, Populorum Progressio, 22).

Solidarietà – Questo principio implica il riconoscimento dell'interdipendenza di tutti i popoli. Le tariffe che proteggono eccessivamente l'economia di una nazione a scapito di altre potrebbero essere criticate da questa prospettiva.
Così anche le politiche commerciali dovrebbero incoraggiare la cooperazione tra le nazioni mentre le tariffe posto costituire un ostacolo.

Sussidiarietà  Questo principio suggerisce che le decisioni dovrebbero essere prese al livello più locale possibile che sia efficace. In termini di tariffe, ciò potrebbe significare sostenere le economie locali o nazionali laddove necessario, ma anche non centralizzare inutilmente il potere economico o le decisioni.
Nell’ambito del commercio internazionale “non è lecito usare (…) due pesi e due misure. Ciò che vale nell’ambito di una economia nazionale, ciò che è ammesso tra paesi sviluppati, vale altresì nelle relazioni commerciali tra paesi ricchi e paesi poveri. Non che si debba o voglia prospettare l’abolizione del mercato basato sulla concorrenza: si vuol soltanto dire che occorre però mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale, e dunque umano” (Papa San Paolo VI, Populorum Progressio, 61). “Se alcune aree del pianeta, già un tempo gravate dalla povertà, hanno conosciuto cambiamenti notevoli in termini di crescita economica e di partecipazione alla produzione mondiale, altre zone vivono ancora una situazione di miseria paragonabile a quella esistente ai tempi di Paolo VI, anzi in qualche caso si può addirittura parlare di un peggioramento. È significativo che alcune cause di questa situazione fossero state già individuate nella Populorum progressio, come per esempio gli alti dazi doganali posti dai Paesi economicamente sviluppati e che ancora impediscono ai prodotti provenienti dai Paesi poveri di raggiungere i mercati dei Paesi ricchi” (Papa Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 33).

La Dottrina sociale cattolica non si oppone né sostiene le tariffe, ma insiste sul fatto che le politiche commerciali debbano sostenere il bene comune, proteggere i vulnerabili e incoraggiare la cooperazione internazionale.

In effetti, le tariffe possono essere giustificate ma ingiuste, se creano barriere inutili che danneggiano i poveri. Ebbene, assai poco giustificabile la scelta dell’amministrazione Trump di imporre una delle soglie più alte (pari al 50%) alla Repubblica del Lesotho “colpevole” di aver sviluppato industrie tessili che producono abbigliamento per grandi aziende statunitensi (Levi’s, Gap, Children’s Place, Lee e Wrangler, ecc..), destinato proprio al mercato statunitense, con operati pagati in media 130-150 euro al mese.

L’approccio per un libero mercato è, per quanto possibile, sempre da preferirsi, atteso “che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato [è] lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni” (Papa San Giovanni Paolo II, Centesium Annus, 34).



Filippo





LIBERTA’ NEI MERCATI: UNA CONSIDERAZIONE ANTI-SCIENTISTA E UNA DI REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA

Alla precedente analisi di Filippo, desidero aggiungere due tipi di considerazioni:

1) In economia, come in altre discipline, è fondamentale liberarsi da un approccio puramente modellistico, che finisce spesso per compromettere la comprensione autentica dei processi reali. Gli economisti, nel tentativo di ingegnerizzare e “scientificizzare” la propria disciplina, hanno ridotto concetti complessi come capitale e lavoro a semplici aggregati numerici rappresentati in grafici. Come se fossero masse indistinte, intercambiabili e prive di identità. In realtà, sia il capitale sia il lavoro possiedono una storia, una struttura e una specificità che non possono essere ignorate né cancellate con un colpo di spugna. Scrive Richard Martin in “Tariffs, Capital Heterogeneity, and the Real Costs of Intervention: The Aluminum Example”:
Il fondamento della teoria austriaca del capitale è che il capitale è eterogeneo—altamente specifico e pensato per compiti particolari. A differenza delle merci intercambiabili, i beni capitali specializzati sono progettati esplicitamente per determinati processi produttivi. Gli impianti di fusione dell’alluminio ne sono un esempio emblematico. Queste strutture non sono fabbriche generiche; sono operazioni specializzate progettate specificamente attorno ai processi di produzione dell’alluminio. Un impianto di fusione non può riconvertirsi rapidamente per produrre metalli, leghe o prodotti diversi. […] Non si tratta semplicemente di una questione di “attrezzature”, ma anche di strutture di capitale interconnesse: infrastrutture energetiche, linee di trasmissione, ferrovie, porti e reti logistiche specializzate. Le fonti di energia, come le dighe idroelettriche o le centrali elettriche, sono legate a specifiche località geografiche. Non possono essere semplicemente spostate senza costi e disagi enormi.

 Lo stesso vale per i lavoratori: un ingegnere di mezza età con una carriera nell’automotive, difficilmente potrà diventare un bravo avvocato.

2) Il libero mercato consente un livellamento degli stipendi tra lavoratori localizzati in paesi diversi, senza la necessità che queste persone migrino—evitando così disagi sia per loro che per le comunità ospitanti. Grazie a questo meccanismo, centinaia di milioni di persone in Oriente sono uscite dalla povertà senza dover arrivare con un barcone sulle nostre coste. E lo hanno fatto servendo il mondo sviluppato con beni e servizi a basso prezzo. Con l’introduzione delle tariffe di Trump, questo sistema verrebbe meno. Anzi, scrive Connor O'Keeffe in “There’s Only One Possible Cause of the Next Recession, and It Isn’t Tariffs”:

I dazi creano una diminuzione dell’offerta che fa aumentare i prezzi di determinati beni. Questo è molto doloroso per le persone che desiderano o necessitano di quei beni, ma risulta vantaggioso per le aziende che competono con le imprese colpite dal dazio. Di fatto, si tratta di un trasferimento di ricchezza dalla maggior parte dei consumatori e delle imprese a favore di una manciata di aziende “protette”.

Oltretutto: con un tasso di disoccupazione negli USA al 4%, chi produrrà quei beni? Chi ha avuto occasione di lavorare negli Stati Uniti sa bene quanto sia difficile, per le imprese, trovare manodopera (anche scarsamente qualificata) e fidelizzarla in un mercato del lavoro dinamico come il loro.

Concludendo, si tratta di un tentativo, quello di Trump con i dazi, che va in parziale contrasto con quella forte sensibilità dimostrata dal suo governo fino ad oggi verso la libertà ed il reale (esempio in ambito green, DEI, etc...).


Gabriele
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