In relazione all'intervista di MiL al prof. Andrea Grillo (QUI; QUI la traduzione in lingua inglese; QUI la traduzione in lingua tedesca), pubblichiamo le sue risposte alle considerazioni di p. Alcuin Reid (QUI) e del prof. Pietro Marco (QUI).
Una nota interessante in relazioni alle voci che si rincorrono su un possibile nuovo documento vaticano per bandire la liturgia tradizionale (QUI e QUI MiL), Grillo di fatto smentisce, in coda alla risposta a Reid, che il documento uscirà, almeno a breve: "Ebbene, io credo che questo sia solo un gioco a caricare i lettori di false paure e di tendenziose aspettative. Scommetto che non ci sarà alcun documento del magistero nei prossimi mesi: c’è solo un vuoto di argomenti in chi lo aspetta, con un timore unito ad un misto di delusione e di illusione, che facilmente scade nel risentimento. Questa è l’unica cosa documentabile, dopo Traditionis Custodes".
Speriamolo.
Luigi C.
I limiti teologici di Alcuin Reid. Una risposta pacata e una scommessa
di Andrea Grillo
Pubblicato il 21 Giugno 2024 nel blog: Come se non
Anche questo ultimo testo di A. Reid, che non risponde alla mia intervista, ma divaga sui suoi soliti temi, conferma l’impressione che già avevo avuto modo di chiarire, dopo la pubblicazione della sua recensione al mio libro “Oltre Pio V” e con il successivo dibattito su questo blog, molti anni fa. In questo ultimo testo emerge ancora meglio il punto sottile, ma decisivo, dove mi sembra di dover contestare il modo con cui Reid legge la storia e teorizza intorno alla Riforma Liturgica. Da studioso non mi lascio distrarre dal tono oltraggioso. Mi limito a contestare gli argomenti falsi. Vorrei riprendere, punto per punto, il ragionamento che sta al centro di questa sua posizione:
Egli afferma, del tutto a ragione, che l’interesse principale del ML e del Concilio era quello di favorire una maggiore partecipazione del popolo di Dio alla Sacra Liturgia.
Quando però descrive che cosa è la “partecipazione attiva” egli procede in modo del tutto inadeguato, perché pretende di appiattire la “actuosa participatio” di SC sulla partecipazione dei fedeli teorizzata da Pio XII in Mediator Dei.
E’ vero che egli ammette che la partecipazione “include anche la partecipazione fisica”, ma considerare tutto ciò che è esterno come rigorosamente subordinato all’interno, perdendo proprio così la novità che il Concilio ha saputo far valere, riprendendo alcuni spunti dell’ultimo magistero di Pio XII (ma non quello di Mediator Dei) costituisce un errore di metodo che non riesce a trovare rimedio successivamente. In una visione di questo tipo, la Riforma Liturgica risulta “inspiegabile” e viene “mal sopportata”. Non importa se “leggera” o “pesante”, è la Riforma stessa a cadere nel non senso. Solo un diverso concetto di partecipazione “esige” la Riforma: la esige soltanto come strumento, ma cionondimeno ne ha un bisogno essenziale, che Reid non riesce in alcun modo a dimostrare a causa del concetto inadeguato di partecipazione che cerca di proiettare sul Concilio.
Ancora più interessante è il testo di Reid quando cerca di raffigurare – in modo caricaturale – la concezione esatta di tutti coloro che avvertono – leggendo i testi senza preconcetti tradizionalistici – che vi è una “partecipazione 1” (preconciliare) e una “partecipazione 2” (postconciliare). Su questo punto Reid propone un ragionamento piuttosto curioso e alquanto contorto: egli vuole stabilire non ciò che è pre- o post-conciliare, ma ciò che il Concilio stesso ha detto. Secondo lui il Concilio, nel n. 48 di SC, prevede una forma di “partecipazione” sostanzialmente in continuità con Mediator Dei e che prevede soltanto una “riforma moderata” (?!)
E’ curioso che Reid, che ha la pretesa di far parlare direttamente il Concilio, taccia il fatto che, proprio in seguito al . 48, è il Concilio stesso a prevedere, esplicitamente e autorevolmente, una serie di profonde riforme dell’Ordo Missae, che si possono comprendere soltanto come la risposta – iniziale – ad una domanda di partecipazione diversa da quella precedente. E’ del tutto sorprendente che Reid voglia considerare questa domanda come “”non del Concilio stesso”! Forse ha dimenticato di leggere i numeri 51-57 di SC? Perché mai, avendo la pretesa di far parlare direttamente il Concilio, su questo passaggio decisivo dà la parola a tutti, meno che al Concilio stesso?
Effettivamente è lo stesso Reid a rendersi conto di questa difficoltà. Dopo aver giustamente ricordato che i Padri Conciliari avevano di mira due cose: la principale è la formazione di tutti ai riti, e in secondo luogo la Riforma dei riti stessi, egli mostra la sua difficoltà, perché a riguardo del n.50 di SC egli non parla più del Concilio, ma dei documenti e dei dibattiti che hanno tentato di interpretarlo restrittivamente. Qui non è più la lettera del Concilio ad essere rilevante, ma piuttosto il dibattito, di cui si vorrebbe valorizzare soltanto il fronte più conservatore e intimorito dalla Riforma ormai prossima.
Ciò che colpisce, in ultima analisi, è la coesistenza, in Reid, di un duplice livello di analisi. E’ del tutto corretto dire che la Riforma è stata concepita e progettata al servizio della formazione/iniziazione al rito. Ma è contraddittorio non valorizzare la Riforma come strumento necessario per quella formazione, che il VO non era e non è tuttora – a maggior ragione – in grado di assicurare, proprio a causa dei suoi limiti storici e strutturali.
Infine, la pretesa di A. Reid di giudicare la storia successiva a partire da una ricostruzione unilaterale e tendenziosa del dibattito conciliare – dell’immediato postconcilio – appare una operazione pesantemente ideologica, priva di valore storico e con effetti (e cause) pericolosamente tradizionalistici. Aderire al progetto conciliare non significa auspicare una “riforma della riforma”, azzerando la storia dal 1965 in poi, ma lavorare oggi, all’interno dell’unico Ordo Missae riformato, per conseguire quegli obiettivi che il Concilio ha dischiuso e che il lavoro ecclesiale successivo non solo non ha contraddetto, ma ha ulteriormente approfondito e arricchito.
Qui ad Alcui Reid manca sia una lettura storica fondata, sia una teoria teologica adeguata all’oggetto di cui vuole parlare. Non stupisce che, per nascondere queste debolezze, si arrampichi sulle emozioni e sulle illazioni. Proprio colui che ha fatto dello “sviluppo organico” la parola d’ordine per bloccare ogni sviluppo, mostra di non aver sviluppato alcun criterio organico e sistematico per costuire una adeguata ricostruzione del Movimento Liturgico e una comprensione teologica all’altezza del Concilio Vaticano II, che non si può giudicare con luoghi comuni o “voci di corridoio”.
D’altra parte lo stile di Reid è comune oggi a quello di molti siti tradizionalistici, che non vivono di “concetti teologici” o di “storie documentate”, ma di “sussurri” e “grida”. Come quelle che, da alcune settimane, rimbalzano tra i siti, con mezze parole, documenti presunti, pareri di chi “avrebbe visto” e di chi “conosce versioni diverse”, un pourparler di un documento che non esiste, per non fare i conti con quello che esiste. Ebbene, io credo che questo sia solo un gioco a caricare i lettori di false paure e di tendenziose aspettative. Scommetto che non ci sarà alcun documento del magistero nei prossimi mesi: c’è solo un vuoto di argomenti in chi lo aspetta, con un timore unito ad un misto di delusione e di illusione, che facilmente scade nel risentimento. Questa è l’unica cosa documentabile, dopo Traditionis Custodes.
Breve lettera a Pietro De Marco, senza riduzioni politiche della liturgia
Pubblicato il 22 Giugno 2024 nel blog: Come se non
Caro Pietro,
ancora una volta discutiamo. Ho letto il tuo articolo (uscito oggi su Messainlatino, qui) e, come sempre, ne ammiro il tono e la cultura e scopro sempre che, anche nella durezza delle definizioni, tu non cessi mai dall’essere affettuoso. Mentre con Alcuin Reid abbiamo tante volte intrecciato un dialogo tra sordi, con la percezione che, dall’altra parte, vi fosse un semplicismo teologico e liturgico, nutrito solo di arroganza, con te ho sempre percepito non solo la amicizia che ci ha legati da decenni, anche quando abbiamo discusso in modo più forte, ma la correttezza e la stima reciproca. Per questo abbiamo scritto insieme, nel 2013, un libro (presentato qui) nel quale abbiamo costruito una piccola “quaestio medievale”, con “videtur quod” e “sed contra”. Già allora mi sembrava che tu avessi, dei liturgisti, una visione solo politica e solo appiattita sulla “rivoluzione del 68”. Questo, già allora, ti segnalavo che non è una buona via per capirli. Ha in comune, con J. Ratzinger-Benedetto XVI, la demonizzazione del “nemico”, che non porta buoni frutti nella ricostruzione né del Movimento Liturgico, né della Riforma Liturgica. Coloro che si occupano seriamente di liturgia non strumentalizzano politicamente i riti, ma vogliono restituire ai riti la loro autorità, che non si può in alcun modo ridurre a “politica”, come fanno tradizionalismo e progressismo. In questo tu sei sempre tentato di spostarmi in un estremo “progressista” e di confondermi con un “marxista”, mentre io sono semplicemente un teologo che cerca di dare ad ogni cosa il suo valore, e che non può tacere di fronte al tentativo di un papa di rendere accessorio un Concilio. Il fatto che io prenda sul serio il Vaticano II esattamente come il Concilio di Trento (che tu sai quanto io apprezzi per il suo intento riformatore) non può essere letto come “marxismo”, ma come apertura della Chiesa al futuro. Correlare la tradizione al futuro è il senso più antico di paradosis e di traditio, altrimenti facciamo della fedeltà al Signore Gesù una contraddizione con il dono dello Spirito Santo. Rispetto al libro (2013) oggi discutiamo a parti inverse: allora era vigente SP, oggi vige TC. Allora io già sostenevo che SP non aveva fondamento teologico: l’idea di due “leges orandi” parallele era e resta un vero “monstrum” teologico. Che ad averlo concepito fosse il “papa teologo” è una aggravante. Il che dimostra che, sul piano liturgico, come sappiamo, scattano non solo evidenze, ma sentimenti, appartenenze e attaccamenti difficilmente razionalizzabili. Oggi, grazie a Francesco (con il quale tu più volte te la sei presa e ne abbiamo discusso in questi anni) abbiamo guadagnato un punto di vista più tradizionale. Ed è curioso che sia stato Benedetto XVI a cedere allo spirito post-moderno della anarchia, e che Francesco ristabilisca le condizioni di una fedeltà ecclesiale. Sarebbe un errore che tu ti accodassi (non con le parole, ma col sentimento) alla idea che il primo era un pontefice liberale, mentre il secondo sarebbe uno stalinista. Io penso invece che il primo abbia ceduto alla lettura ideologica del Concilio che minacciava i padri Conciliari (lui compreso), mentre il secondo è solo un “figlio del Concilio” e gode di questa condizione anzitutto biografica. Io vedo più condizionamenti “politici” nel primo che nel secondo e credo che una “ecclesia universa” non possa essere una “ecclesia introversa”. Ti sono grato per la risposta e considero anche questo piccolo scambio un segno di amicizia.