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giovedì 2 maggio 2024

Quando padre Victor-Alain Berto, fondatore dell’Institut des Dominicaines du Saint-Esprit, criticò profeticamente la Chiesa sinodale: un appello ai poveri per capire (un po’) le origini della crisi delle Domenicane del Santo Spirito di Pontcallec

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 1032 pubblicata da Paix Liturgique il 29 aprile, in cui si prosegue l’esame della vicenda delle Domenicane del Santo Spirito di Pontcallec (ne abbiamo già scritto QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI e QUI su MiL).
In particolare, l’articolo riporta ampi stralci di una lettera scritta da padre Victor-Alain Berto, fondatore dell’Institut des Dominicaines du Saint-Esprit e figura di spicco, soprattutto negli anni Sessanta del XX secolo, della Tradizione Cattolica.
Emerge una critica netta e ragionata alle posizioni dottrinali che, in quel periodo, il Concilio Vaticano II stava discutendo ed adottando: riflessioni che oggi assumono un valore ancora più decisivo per comprendere sia lo scandalo di Pontcallec sia la più generale situazione di crisi nella Chiesa cattolica.

L.V.


Nell’inverno 2002/2003, la rivista Le Sel de la terre n. 43 [QUI: N.d.T.] ha pubblicato una serie di lettere in gran parte inedite di padre Victor-Alain Berto, che fu il teologo di mons. Marcel François Lefebvre C.S.Sp. al Concilio Vaticano II e, a partire dalla terza sessione, del Coetus Internationalis Patrum, il gruppo internazionale dei Padri della minoranza tradizionale, i cui membri principali erano mons. Marcel François Lefebvre C.S.Sp., Superiore generale della Congregazione dei Padri dello Spirito Santo, mons. Antônio de Castro Mayer, Vescovo di Campos, mons. Geraldo de Proença Sigaud S.V.D., Arcivescovo metropolita di Diamantina, e mons. Luigi Maria Carli, Vescovo di Segni.

Il fondatore dell’Institut des Dominicaines du Saint-Esprit di Pontcallec scrisse alle sue suore, in particolare, alla vigilia di Ognissanti del 1963, durante la seconda sessione del Concilio Vaticano II, a proposito della bocciatura, con 1.114 voti contro 1.074, cioè una differenza di quaranta voti, di una costituzione separata intitolata Sulla Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, e della sua trasformazione nel capitolo 6 dello schema sulla Chiesa.

Di passaggio, attaccava vigorosamente le idee preconcette della teologia sulla realtà, e in particolare sui poveri, che si trovavano indifesi e in balia di una teologia «staccata dal Santo Vangelo, assolutamente eterogenea alla fede dei semplici» e che era diventata un «enorme e deforme pallone vuoto che galleggia nello spazio».

Sessant’anni dopo, nulla è cambiato – i Vescovi moltiplicano lettere pastorali di venti, anche trenta pagine piene di… vuoto, dalla Diocesi di Angers alla Diocesi di Gap-Embrun passando per la Diocesi di Évreux (solo quattro pagine, ma quattordici pagine di carte per specificarlo!). Per quanto riguarda la sinodalità, essa ha bisogno di un proprio manuale, per non parlare della verbosità inaugurale della prima sessione della XVI assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, decisamente lontana dalla vita quotidiana dei Cattolici e volutamente ermetica.

Padre Victor-Alain Berto critica anche aspramente il rifiuto da parte della Chiesa postconciliare della bellezza e della liturgia, della fede popolare e dei riti, ritenuti indegni dei poveri da uno «spirito di sistema che si chiude in se stesso», derivante da una «teologia che non è umile, e che è castigata dal più spaventoso irrealismo».

Si decide quindi che la Chiesa sarà «la Chiesa dei poveri» quando il Papa non apparirà più sulla sedia, quando i Vescovi non indosseranno più ornamenti preziosi, quando la Messa sarà celebrata in vernacolo, quando il canto gregoriano sarà relegato […] e cose del genere, cioè quando i poveri saranno privati della bellezza, quando le cerimonie della Chiesa, volgarizzate, banalizzate, non ricorderanno più loro la gloria del cielo, non li trasporteranno più in un mondo superiore, non li innalzeranno più al di sopra di loro stessi, quando infine la Chiesa avrà solo pane da dare loro, – quando è scritto che l’uomo non vive di solo pane! Chi ha detto loro che i poveri non hanno bisogno della bellezza? Chi ha detto loro che la bellezza religiosa non è un mezzo per accedere alla verità religiosa? Chi ha detto loro che i poveri pensano che sia brutto vedere un vescovo che presiede una processione, pastorale in mano e mitra in testa, che si avvicina a loro per benedire i loro bambini?

È facile capire la determinazione degli architetti della Chiesa sinodale a smantellare a tutti i costi padre Victor-Alain Berto e a perseguitare coloro che lo difendono.

L’altro ieri e ieri sono stati giorni terribili. Non credo di aver mai sofferto così tanto spiritualmente. Chi dice che non ci sono dolori dell’anima non deve aver mai vissuto l’anima. È il trionfo, almeno per un certo periodo, della falsità sulla verità, del gonfiore sulla semplicità, della scienza arrogante e superba sull’ingenuità dei bambini e dei poveri.
Si farà loro capire che sono cattivi Cristiani, che pregano troppo la Vergine e che non dovrebbero nemmeno pregarla, perché sono ignoranti ed è così complicato recitare correttamente un’Ave Maria che il meglio che possono fare è farne a meno. L’Ave Maria va detta in modo biblico, esegetico, figurato, tipologico ed ecclesiologico. Come possono queste persone gracili farla franca? Come possono evitare di cadere nell’abisso senza fondo di una devozione abusiva, riprovevole, incompresa, superata, che vede nella Beata Vergine solo la Madre di Gesù e la nostra?
O Signore Gesù, fino a quando? Ricordati dei tuoi poveri, ricordati dei tuoi figlioli! Non lasciare che la loro pietà verso la tua Madre e la loro stessa sia uccisa nei loro cuori. Non hanno un difensore, non hanno un avvocato, sappiate bene, miei cari figli, che se uno potesse essere meno di niente, io sarei qui meno di niente. Nessun accesso da nessuna parte, tutti i pulpiti occupati, tutte le porte chiuse. Sono un emarginato a Roma, con dom Georges Frénaud O.S.B., con padre Rosario Gagnebet O.P. [membro della Commissione teologica preparatoria: N.d.R.], con il piccolo numero di coloro che si rifiutano di lodare lo pseudo-profeta.
Mi riferisco a questa teologia mostruosamente distaccata dal Santo Vangelo, assolutamente incompatibile con la fede della gente semplice, che scaccia i bambini dalla culla e toglie il Rosario dalle mani di chi non sa leggere, esibita nella sua presunzione e nel suo orgoglio, aggiungendo ragionamenti a documenti e documenti a ragionamenti senza altro scopo che quello di portare la sua autoindulgenza in se stessa, come un muro infinitamente alto e infinitamente lungo, irrimediabilmente invalicabile, e dietro il quale non c’è nulla, nulla, nulla, nulla, che si accontenta di essere lì, di allungarsi sempre di più, di alzarsi sempre di più, finché non è tutto ciò che si può vedere.
Per due giorni non sono stato da solo per un quarto d’ora senza singhiozzare. La teologia è l’opposto di ciò che abbiamo fatto qui. Ed è una cattiva scienza, una scienza maledetta, se viene svuotata del suo contenuto primordiale, che è una fede identica alla fede del più analfabeta dei fedeli. Io credo in quello che credono i nostri figli, e guai a me se non lo facessi, e in un senso molto reale non ne so più di loro.
Se la teologia perde questa fondamentale umiltà di voler rimanere consustanziale alla fede degli umili, allora non vale certo un’ora di fatica, non è altro che un enorme e deforme pallone vuoto che galleggia nello spazio, o una specie di geometria non euclidea dove i teoremi sono impalcati all’infinito su teoremi, dall’alto della quale si può anche disprezzare il contadino chino sul suo aratro, ma che il contadino ha anche il diritto di disprezzare, perché da un’intera biblioteca non euclidea non ricaverebbe abbastanza per fare l’aratro che alimenta gli alti geometri non euclidei.
Come potete ben immaginare, non sto mettendo in dubbio l’umiltà dei teologi che sono anche, a loro modo, «non euclidei». Sto dicendo che essi forgiano una teologia che non è umile e che è punita dal più spaventoso irrealismo. Ma la teologia non è come la geometria non euclidea. La geometria non euclidea non ha bisogno di essere reale, non pretende di esserlo, può fingere di essere ciò che è senza alcun danno, un gioco extraspaziale su simboli arbitrariamente definiti, e abbiamo sempre la geometria euclidea per costruire utensili o ponti.
Ma la teologia ha bisogno di essere reale, esige intrinsecamente di esserlo; non può, senza distruggersi, acconsentire a non essere reale. Se non lo è, e se si dà per vera, e se riesce a imporre tanto da essere ritenuta vera, e se allo stesso tempo si dà per sola teologia, la devastazione è incalcolabile. Perché il reale resiste, l’umile realtà della fede degli umili; e da una parte abbiamo una teologia che non riesce a raggiungere il reale e lo sostituisce, sostenendo di averlo raggiunto perché se ne è dato un simulacro; e dall’altra il vero, il reale vero, se così si può dire, trascurato, abbandonato, foraggio infantile per i poveri, disprezzato dai dotti.
Ma maledetta la scienza che non si rivolge all’amore! Maledetta la teologia senza tenerezza e senza compassione, la teologia disumana che passa accanto all’uomo ferito sulla strada di Gerico senza nemmeno vederlo. Io rifiuto questa teologia, la respingo, mi fa orrore, perché sui suoi lineamenti duri e chiusi non è rimasto nulla di quello che Sant’Agostino chiama il sorriso del Vangelo ai piccoli, «superficies blanda parvulis».
E ci rimproverano il nostro «trionfalismo», come hanno inventato di dire! E dicono di voler fare la Chiesa dei poveri! Che dichiarazioni! Si sono fatti un’idea dei poveri che è irreale come tutte le loro idee. Non conoscono i poveri, non hanno esperienza dei poveri, si sono resi incapaci di conoscerli e di viverli, perché, portata all’estremo, la mente sistemica si chiude in se stessa, si spegne, e per essere sicura che i fatti così come sono non la smentiscano, li vede come qualcosa di diverso da quello che sono. Non ha presa sulla realtà, ma anche la realtà non ha più presa su di essa, non esercita più su di essa la funzione riduttiva che essa sola può svolgere, e il ragionamento diventa irragionevole sui poveri, così come è irragionevole su tutto.
Si decide quindi che la Chiesa sarà «la Chiesa dei poveri» quando il Papa non apparirà più sulla sedia, quando i Vescovi non indosseranno più ornamenti preziosi, quando la Messa sarà celebrata in lingua volgare, quando il canto gregoriano sarà relegato nelle discoteche e cose del genere, vale a dire, quando i poveri saranno privati della bellezza, quando le cerimonie della Chiesa, volgarizzate, banalizzate, non ricorderanno più loro la gloria del cielo, non li trasporteranno più in un mondo superiore, non li eleveranno più al di sopra di loro stessi, quando infine la Chiesa avrà solo pane da dare loro, – quando è scritto che l’uomo non vive di solo pane!
Chi ha detto loro che i poveri non hanno bisogno della bellezza? Chi ha detto loro che la bellezza religiosa non è un mezzo per accedere alla verità religiosa? Chi ha detto loro che i poveri trovano sbagliato vedere un Vescovo che presiede una processione, con il pastorale in mano e la mitra in testa, e che si avvicina a loro per benedire i loro bambini? Sono stati i poveri a gridare allo spreco quando Maria Maddalena ha cosparso il capo di Gesù di nardo, rompendo persino il vaso per non risparmiare il profumo? Soprattutto, chi può dire loro che, spogliati dei segni liturgici della loro autorità, i sacerdoti saranno più obbedienti a loro e più evangelicamente devoti ai poveri? Chi può dire loro che gli onori esterni dei Vescovi non sono una protezione senza la quale l’evangelizzazione dei poveri non avrebbe più, agli occhi dei poveri stessi, alcuna garanzia di autenticità, senza la quale non sarebbe più sufficientemente duratura, non avrebbe più il carattere di una missione ricevuta visibilmente da un’autorità superiore, non avrebbe più che l’apparenza di un’impresa privata?
Distruggono, saccheggiano, devastano, senza preoccuparsi di queste realtà; preoccuparsene sarebbe «trionfalismo» e hanno deciso che il «trionfalismo» è l’ultimo dei crimini, indistinguibile peraltro dal «costantinismo», che consiste nel pretendere per la Chiesa, nei confronti del potere secolare, qualsiasi riconoscimento dei suoi diritti. Come mai quello che era un dovere perfettamente chiaro, instancabilmente inculcato, è diventato un crimine? Accusate lo spirito del sistema, e dite a voi stessi che si tratta di un sistema perfettamente legato, perfettamente coerente, che deve essere accettato nella sua interezza o respinto nella sua interezza, a cui manca solo la verità, ma che è, al momento, a Roma. Durante un Concilio ecumenico, l’unico che ha diritto di essere ascoltato, l’unico esposto pubblicamente, l’unico ascoltato, l’unico seguito.
Cosa ci guadagneranno i poveri? Ahimè, perderanno tutto. Noi che li serviamo lo vediamo ogni giorno. Quando le leggi, le istituzioni e i costumi pubblici perdono ogni riferimento alla Chiesa, quando tutto nello Stato viene fatto ignorando deliberatamente il Cristianesimo, quando la Chiesa viene ridotta al rango di associazione privata, la prima conseguenza è che i poveri non vengono più evangelizzati. Non è necessario che lo Stato sia ostile e aggressivo nel suo laicismo, basta che sia «laico».
Le classi agiate possono sottrarsi, almeno in parte, e soprattutto nell’educazione dei figli, alla formidabile pressione sociale che deriva dalla semplice «laicità» dello Stato; i poveri no. Hanno bisogno di ospedali, che sono laici; hanno bisogno di scuole per i loro figli, che sono laiche; e se sono così poveri da non poter seppellire i loro morti, avranno un funerale gratuito, ma laico, perché lo Stato, che pagherà la bara e il becchino, non pagherà la tassa per l’assoluzione. I poveri, e solo loro, sono imprigionati senza rimedio nella laicità dello Stato; solo loro sono condannati senza rimedio a respirare solo nel clima di indifferenza religiosa generato dalla laicità dello Stato. Se strappiamo un bambino da questa asfissia dell’anima; ne lasciamo cento, che non saranno mai evangelizzati, che passeranno da una scuola secolare a un centro di apprendimento secolare, da un centro di apprendimento secolare a un movimento giovanile secolare, e la cui intera vita sarà stata, da parte dello Stato secolare, così accuratamente, così abilmente tenuta lontana da qualsiasi influenza cristiana, che sarà un miracolo della grazia se, una volta in cinquant’anni, si chiederanno anche cosa potrebbe essere essere cristiano.
È così da molto tempo; ma fino ad oggi la teologia cattolica insegnava che si trattava di un male, di un’iniquità, di un disordine atroce di cui i piccoli di questo mondo erano preda indifesa, un disordine per il quale era necessario lavorare instancabilmente per sostituire l’ordine cristiano. Ora insegna, almeno lei che ha il privilegio esclusivo della parola, che è questo disordine che è l’ordine, che la società civile ha il dovere di essere laica, e se l’evangelizzazione dei poveri è resa più difficile di conseguenza, peggio per i poveri; il Sistema non può sbagliare.
È un delirio. Non più tardi di otto giorni fa, a firma (probabilmente uno pseudonimo) di un «teologo latinoamericano», ho letto che, essendo solo il consenso degli sposi l’elemento sacramentale, era giunto il momento che la Chiesa rinunciasse a farli comparire davanti al sacerdote per mettersi in sintonia, anche su questo punto, con una società ormai felicemente «desacralizzata».
Dove è apparso questo articolo? Sul bimestrale Informations catholiques internationales, poche pagine di un articolo di padre [poi card.: N.d.T.] Yves Marie-Joseph Congar O.P. – e padre Congar è, ancora oggi, il teologo dei teologi. Siamo arrivati a questo punto, cari figli. Una solenne proclamazione della grandezza della Beata Vergine, del suo potere di intercessione, della legittimità e della fecondità del nostro culto verso di lei, sarebbe stata l’unica parte degli Atti del Concilio che sarebbe stata immediatamente accessibile ai poveri e ai piccoli, che avrebbe parlato ai loro cuori. Questo annuncio non avrà luogo.
I nostri piccoli, e tutti i piccoli del mondo, non sono presi in considerazione dal Concilio Vaticano II, se non nella misura in cui è necessario correggere gli eccessi della loro fiducia e della loro pietà. Ciò che si ritiene opportuno dire sulla Beata Vergine – il meno possibile – sarà così abilmente e astrattamente mescolato, assorbito e annegato nella Costituzione sulla Chiesa, che non ci sarà nulla da attingere per nutrire i poveri e i piccoli. Come vi ho già scritto, questo cambiamento (perché si stava preparando una Costituzione separata sulla Beata Vergine) può non sembrare molto ut res [come realtà: N.d.R.]; i teologi possono sempre attaccare qualsiasi cosa a qualsiasi cosa, questa è l’infanzia della loro arte; è disastroso ut signum [come segno: N.d.R.].
Lo stendardo della Vergine non viene innalzato; viene tenuto ripiegato, per non dire sepolto, ed è per vederlo innalzato che i poveri ne hanno bisogno. Non è stato fatto nulla, naturalmente, è solo un progetto, e questo progetto di riassorbimento ha ottenuto solo trentotto voti di maggioranza, su più di duemila votanti; venti voti in più, e il progetto opposto ha vinto. Poiché i Padri assenti dalle Congregazioni Generali sono sempre molti di più di venti, la maggioranza del 29 ottobre [1963: N.d.T.] non ha alcun significato reale, poiché non sappiamo come avrebbero votato gli assenti. Ma il fatto che più di mille Padri abbiano votato per il riassorbimento è già infinitamente doloroso.
Tuttavia, non so se non ho sofferto ancora di più per le votazioni del giorno successivo [sulla collegialità episcopale: N.d.R.]. Non sono (per fortuna, non potevano essere) la contraddizione aperta e formale del Concilio Vaticano I. Sono la sua negazione, o meglio la sua preterizione pratica, e questa volta la maggioranza è stata schiacciante, ben oltre i due terzi. Il Concilio Vaticano I non viene negato, viene passato sotto silenzio, ritenuto inesistente. Questo è talmente vero che non viene nemmeno menzionato nelle domande poste ai Padri.
A forza di raffinatezze, distinzioni e sottigliezze, i teologi se la caveranno sempre; ma anche in questo caso, come faranno i poveri, che non hanno studiato fino a trent’anni, e per i quali, finora, la struttura della Chiesa era così accessibile nella sua semplicità, per i quali era anche così buono, così gentile, così benefico, pensare al Papa come al Vicario di Gesù Cristo, non avendo qui sotto né superiori né uguali, pienamente e unicamente in possesso del potere sovrano nella Chiesa? Ma quali sono i veri poveri di questo Concilio che finora è stato così irrealisticamente «pastorale»?
Non vi dico nulla delle abilità, degli intrighi, dei trucchi. Ne so molto poco, e quello che so è troppo triste. Che la Santa Vergine ci aiuti, miei cari figli; pregate bene.

* Tutte le citazioni di padre Victor-Alain Berto sono tratte dalla sua lettera scritta il giorno della Vigilia di Tutti i Santi 1963.

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