Se cerchiamo di interpretare ora in termini " politici " – tanto comodi quanto inadeguati – l’elezione di Benedetto XVI al soglio pontificio, si ricorderà che quanti si trovano nei posti di comando dottrinali da dopo il Concilio formano una " destra " (i padri de Lubac, von Balthasar) - rappresentata dall’emblematica rivista Communio – e una " sinistra " (i padri Congar, Rahner, Kueng), rappresentati dalla rivista Concilium. L’appellativo di "centro destra" e "centro sinistra" sarebbero in effetti più appropriati. L’una e l’altra tendenza fanno riferimento comunque al Vaticano II, ma con interpretazioni differenti (cfr. il discorso-programma indirizzato alla Curia romana da Benedetto XVI il 22 dicembre 2005, che distingueva l’interpretazione "di rottura", quella di Concilium, e l’interpretazione " di continuità ", quella di Communio, che promuove come autentica). I vari conclavi, successivi al 1963, si sono giocati contro le "derive" trascinate dalla formidabile trasformazione iniziata fin dall’apertura del Concilio nel 1962, di modo che tutti i papi eletti provenivano da quella tendenza che chiamo, per farmi comprendere, tendenza Communio. Ma, allo stesso tempo, la tendenza Concilium, molto potente, ha di fatto esercitato un totale "potere culturale" nella Chiesa sotto Paolo VI, che in seguito ha dovuto condividere con la tendenza Communio sotto Giovanni Paolo II, specialmente dopo il 1985 (pubblicazione di Rapporto sulla fede, del cardinale Ratzinger con Vittorio Messori).
Molto opportunamente, il cardinale nelle risposte a Olivier Le Gendre precisa: "E’ sbagliato parlare di situazioni come quelle che si verificano nei Parlamenti di una Repubblica o in seno a partiti tra correnti rivali. Siamo tra cardinali in un mondo dalle frontiere mobili". Questo non impedisce che si possa parlare di tendenze chiaramente definite. Dopo il 2005, possiamo, come in precedenza, individuare due tendenze: una liberale, la tendenza Concilium (dei cardinali Etchegaray, Danneels, Silvestrini); e la tendenza Communio. Ma in più di questo, diventa evidente come quest’ultima sia essa stessa suddivisa in un’ala restauratrice (quella del Papa) e un’ala più conciliare. Potremmo definirla, come si usa fare a volte, una "terza via": e comprende prelati che sono in parole povere a metà strada fra l’interpretazione "progressista" del Concilio e la sua rimessa in discussione parziale (riguardo la liturgia per esempio), nella linea di Benedetto XVI.
I "neoconservatori"
Ma se questi hanno ritenuto non esserci altra scelta possibile che quella di portare Benedetto XVI al soglio pontificio, molti di loro si trovarono profondamente irritati dalla marcia indietro che egli sembra imporre alle variazioni conciliari, essenzialmente, ma molto simbolicamente, in ambito cultuale. Li si definisce neoconservatori (ma questa qualifica non a niente a che vedere, se non una moda di vocabolario, con gli ispiratori di George Bush), quando si vuol parlare di coloro che si trovano più vicini al Papa senza, peraltro, essere in totale accordo con lo stesso. Questi neoconservatori, che non si possono definire liberali, sono tentati (e cedono sovente alla tentazione) di fare alleanze almeno obiettive con i liberali per frenare, regolare, correggere il corso della nuova politica romana, specialmente nel contesto cruciale delle nomine. Sono questi uomini chiave (o uominini catenaccio per l’opera di Benedetto XVI…), fortemente installati all’interno stesso della Segreteria di Stato e alla testa di importanti dicasteri, che andremo ad evocare in un prossimo dossier.
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