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Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

lunedì 23 marzo 2009

L'opposizione romana al Papa secondo l'abbé Barthe. Seconda parte

Coabitazioni delicate
Proseguiamo la pubblicazione a puntate, come ogni feuilleton che si rispetti (solo che qui la storia è verace e ben documentata, per quanto l’argomento si presti a colpi di scena, complotti e dietrologie), dell’illuminante approfondimento dell’abbé Claude Barthe (nella foto) sull’opposizione curiale a Benedetto XVI. La prima parte dello studio è stata da noi tradotta e pubblicata qui.

Intanto l’opposizione aveva alleati, specialmente in seno al dicastero principale della Curia romana, della il capo, Segretario di Stato, è allo stesso tempo Ministro degli affari esteri e Primo Ministro della Santa Sede (la Segreteria di Stato è d’altronde divisa in due sezioni : la prima sezione per gli Affari generali, e la seconda sezione per i Rapporti con gli Stati ). Ad oggi, il cardinale Segretario di Stato, cardinal Bertone, che ha sostituito il cardinal Sodano, deve confrontarsi con la differenza di sensibilità del suo vice, Mons. Filoni, Sostituto per gli Affari generali, già nunzio in Irak. Il Segretario di Stato è assistito da un Sostituto per gli Affari Generali (Mons. Filoni, che ha sostituito Mons. Sandri), anch’egli aiutato da un assessore (Mons. Caccia), e da un Sostituto per i Rapporti con gli Stati (Mons. Mamberti, che ha sostituito Mons. Lajolo, lui stesso successore di Mons. Tauran), con l’aiuto di un Sotto-Segretario (Mons. Parolin).). Mons. Fernando Filoni è circondato da quella che viene definita ironicamente «sacra corona», una specie di Segreteria di Stato all’interno della Segreteria di stato stessa : l’aggiunto di Mons. Filoni, Mons. Caccia ; due dignitari a livello di Nunzi apostolici, Mons. Carlo Viganò e Mons. Paolo Sardi ; Mons. Polvani, del personale diplomatico della prima sezione, nipote di Mons. Viganò (il quale si divertiva a giocare agli ammiratori rétro di Che Guevara) e altri ancora; fino al mese di giugno scorso, più in basso nella scala gerarchica, ma ad un posto chiave, si trovava Mons. Duthel, capo della Sezione francofona [notorio progressista e causa di molte infelici nomine in Francia, come da noi riportato qui]. Se dunque l’opposizione al Papa – che è piuttosto una collaborazione col Papa, ma con punti di vista che differiscono dai suoi, il che è quanto di peggio possa esservi – conserva posizioni strategiche nei corridoi del potere, non fa uso, per definizione, di questo potere al suo livello più alto. Tuttavia all’interno dei massimi organi di decisione, è in grado di utilizzare quei procedimenti, da tempo provati, che ha saputo adattare alla nuova situazione. Il più classico di questi è quello di ritardare le decisioni o le nomine scomode, per le quali vengono sollevate mille difficoltà, dove i freni più efficaci d’altronde risultano gli ostacoli reali. E’ facile citare come esempio, perché è vero, che le istruzioni riguardanti l’applicazione corretta del Motu Proprio Summorum Pontificum sollevano problemi decisionali alquanto complessi. Un altro procedimento è l’uso del precedente, che gode di una forza inimmaginabile in materia di governo. E questo vale pure in materia di nomine. Così è per l’usanza concretamente obbligatoria di dare una sede episcopale al Segretario della C.E.I (personaggio di fatto molto importante per la Chiesa italiana: è il Papa che nomina il Presidente di questa Conferenza e che, su proposta del Presidente, nomina il Segretario della Conferenza.) al momento di lasciare le sue funzioni. Nulla comunque obbligava a dare a Mons. Giuseppe Betori un posto da cardinale, in quanto questo biblista, senza essere tra quelli che in passato vennero qualificati come «progressisti», è comunque profondamente all’opposto in quanto a sensibilità degli amici del Papa. E’ oggi arcivescovo di Firenze in procinto di ricevere la berretta cardinalizia nel prossimo concistoro. E’ sicuramente, nel terzo anno di pontificato di Benedetto XVI, la più bella vittoria del cardinal Re, dell’importanza del quale parlerò in seguito più precisamente.
Più ingegnosa è la tattica del «male minore». Il cardinale interrogato da Olivier Le Gendre, in Confessione d’un cardinale, avrebbe preferito il cardinal Bergoglio al cardinale Ratzinger. Ha inoltre dichiarato di essere pronto a favorire, come candidato di transazione, il cardinal Antonelli, allora arcivescovo di Firenze (oggi presidente del Consiglio per la Famiglia), che fu, durante il conclave, un sostenitore dichiarato di Joseph Ratzinger, ma sicuramente preferibile per Silvestrini a Ratzinger stesso. Il cardinal Arinze, confortato da Mons. Sorrentino sulla linea liturgica cosiddetta «integrismo alla Paolo VI» (che fa l’apologia della «buona celebrazione» del rito nato in seguito alla riforma), non aveva comunque fatto opposizione, nel dicembre 2005, alla nomina di Segretario della Congregazione per il Culto Divino di Mons. Malcolm Ranjith, nunzio a Giakarta, per rimpiazzare Mons. Domenico Sorrentino, ultimo rappresentante della linea Bugnini in quella Congregazione. Ma a marzo 2007, ha fatto nominare come Sotto-Segretario, padre Anthony Ward, certamente poco liberale (il cardinal Arinze apprezzava in lui il nemico giurato delle traduzioni inglesi in «linguaggio inclusivo», le quali riescono ad evitare, specialmente per Dio, l’uso del maschile o del femminile), ma che era del tutto ostile alla liberalizzazione del rito tridentino.
segue

2 commenti:

  1. Vorrei citare quello che Vittorio Messori (di cui non sono un incondizionato ammiratore ma che in questo caso ha centrato il problema) ha scritto ieri sul "Corrierone": "Ma la Chiesa, intesa come organizzazione visibile che cammina nella storia, non è che un involucro, un guscio, una conchiglia per ospitare ciò che conta e che solo la fede può scorgere: la perla invisibile, cioè il mistero di Cristo e i suoi sacramenti, a cominciare dall'eucarestia. Il 'mondo' si occupa - e non può fare altrimenti - di Vaticano, di Santa Sede, di Sacri Palazzi, di Nomenklatura gerarchica. Ma tutto questo non è che un mezzo - sempre riformabile e spesso opaco - per l'unico, vero fine: l'annuncio che il Vangelo non è un'illusione ma una verità e che su di essa è ragionevole basare la propria vita e la propria morte".
    Messori conclude ricordando come l'allora cardinale Ratzinger avesse insistito per intitolare il libro da loro scritto a quattro mani "Rapporto sulla fede" invece che "rapporto sulla Chiesa".

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