Grazie a Gaetano Masciullo per questa analisi sulla nomina della prima "Prefetta" in Vaticano, suo Simona Brambilla (QUI MiL).
QUI il video.
Luigi C.
Gaetano Masciullo, 21-1-25
Questo articolo è stato pubblicato su Life Site News, 21 gennaio 2025.
La vera novità è questa: Papa Francesco sta portando avanti una forte politica di centralizzazione del governo della Chiesa. Mentre nella visione classica del governo prevale la sussidiarietà, nella visione di Francesco tutto deve essere sotto il diretto controllo del Pontefice.
La recente nomina di suor Simona Brambilla a prefetto del Dicastero per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, annunciata da Papa Francesco il 6 gennaio 2025, rappresenta l’ennesima decisione controversa di questo Pontificato. Una nomina che ha lasciato spiazzati molti osservatori per una serie di motivi che vale la pena esaminare con attenzione.
Prima di tutto, è doveroso sottolineare come suor Brambilla non sembri possedere i titoli adeguati per un incarico di tale importanza. Infermiera diplomata con un dottorato in psicologia, il nuovo prefetto non ha alcuna formazione specifica in diritto canonico o in teologia (in base al curriculum vitae pubblicato sullo stesso sito del Vaticano), competenze fondamentali per guidare un dicastero che si occupa di erigere istituti di vita consacrata, concedere loro licenze, fonderli, unirli o sopprimerli, approvare o regolamentare costituzioni, e garantire la fedeltà alla missione della Chiesa. Suor Brambilla è, al contempo, perfettamente in sintonia con la mentalità “sinodale”, come risulta evidente dal fatto di essere stata nominata membro del XVI Consiglio ordinario della Segreteria generale del Sinodo, nel dicembre 2024 (e ciò spiega il motivo di fondo per cui il Papa ha scelto proprio lei, oltre al fatto che è una donna), Ciò solleva ulteriori perplessità: quale visione porterà al governo di un settore tanto delicato della vita ecclesiale?
In secondo luogo, la nomina di suor Brambilla sembra – a detta di alcuni analisti – violare apertamente il Codice di diritto canonico. Dico sembra, perché, come vedremo, la questione è più complessa. Il canone 129 §1 del Codice di Diritto Canonico così statuisce: “Sono abili alla potestà di governo […] coloro che sono insigniti dell’ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto”. In effetti, la teologia cattolica da sempre insegna che la potestà di giurisdizione o di governo discende generalmente dalla potestà d’ordine (il fatto cioé di essere validamente ordinato sacerdote). Attenzione: generalmente non vuol dire assolutamente, cioé non vuol dire sempre. Lo stesso Codice prescrive, al can. 131 §1, che “la potestà di governo ordinaria è quella che dallo stesso diritto è annessa a un ufficio; la potestà delegata, quella che è concessa alla persona stessa, non mediante l’ufficio”. E ancora, al can. 131 § 2: “La potestà di governo ordinaria può essere sia propria sia vicaria”.
La potestà di giurisdizione ordinaria è, dunque, anzitutto quella propria esercitata dal Papa, come supremo pastore della Chiesa universale, e dai vescovi, in quanto governatori delle rispettive diocesi. La potestà dei curiali non è di giurisdizione ordinaria propria, in quanto agiscono come collaboratori del Papa e, quindi, come suoi vicari. Si discute, per la verità, se la potestà di giurisdizione degli organi della Curia romana sia delegata o vicaria. Il dibattito non è risolto, ma i documenti sembrano propendere – a mio avviso in maniera piuttosto chiara – per la seconda opzione.
Senza voler entrare a fondo nella questione, basti dire che sia la potestà vicaria sia la delegata discendono da quella ordinaria propria di un superiore. Potestà vicaria e delegata differiscono poi tra loro per il fatto che la prima è permanente e permette un’estensione di azione coincidente con quella della potestà ordinaria da cui deriva (per esempio, il vicario di un vescovo fa in tutto e per tutto le veci di un vescovo, e smette di essere vicario quando l’ordinario suo superiore smette di essere tale), mentre la potestà delegata è limitata, sia temporalmente sia per quanto riguarda lo scopo sia per quanto riguarda l’ambito di competenza (per esempio, il vescovo può delegare a un sacerdote l’amministrazione del sacramento della Confermazione). Il vescovo è chiamato, in gergo canonistico, non a caso anche “ordinario”, proprio perché solo il papa e i vescovi possiedono potestà di giurisdizione ordinaria propria, che discende dalla loro potestà d’ordine.
L’art. 1 della Costituzione apostolica Pastor Bonus di Giovanni Paolo II (1988) esplicitamente sancisce: “La Curia romana è l’insieme dei dicasteri [si noti come anche prima di Francesco si usava questo termine per indicare gli enti curiali, ma in senso generico e non specifico] e degli organismi che coadiuvano il romano Pontefice nell’esercizio del suo supremo ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari”. Ed il successivo art. 6 § 1, stabilisce: “Alla morte del sommo Pontefice, tutti i capi dei dicasteri e i membri decadono dall’incarico”. Quest’ultimo articolo evidenzia in maniera particolare come gli incarichi curiali abbiano natura di potestà di giurisdizione vicaria, perché è una proprietà della potestà vicaria il fatto di cessare quando cessa l’ufficio del titolare (cioé il papa).
I principi e criteri per il servizio della Curia Romana che si trovano all’interno di Praedicate Evangelium di Francesco (II.5) sono, almeno in questo, in continuità con la visione vicariale degli incarichi curiali adottata dalla Tradizione e in particolare, come abbiamo visto, da Giovanni Paolo II nella Pastor bonus, tanto che così si afferma in maniera esplicita: “ogni istituzione curiale compie la propria missione in virtù della potestà ricevuta dal Romano Pontefice in nome del quale opera con potestà vicaria nell’esercizio del suo munus primaziale. Per tale ragione qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo, attesa la peculiare competenza, potestà di governo e funzione di questi ultimi”.
Si può dare, allora, in linea teorica (ma ciò è avvenuto anche in prassi), il caso in cui una persona non ordinata (come una suora) riceva un incarico di governo per delega o per designazione vicaria da parte di chi occupa l’ufficio. Se suor Brambilla è da considerare vicaria, ed è al vertice del Dicastero, da quale ufficio discende tale potestà? La risposta è semplice: ella è vicaria dello stesso Francesco, che occupa l’ufficio principe, cioé quello del papa. Infatti, tutti i Dicasteri (che prima di Francesco erano chiamati Congregazioni o Consigli Pontifici, e la modifica del nome non è casuale: la parola “dicastero” ha un’accezione più generica, meno gerarchica e più soft) non sono mai stati uffici per se stessi, ma dipendenti dall’ufficio principe, che è il Papato, come si evince dal complesso normativo che abbiamo appena indicato.
La vera novità è piuttosto questa: Papa Francesco porta avanti una forte politica di accentramento del governo della Chiesa. Mentre nella visione di governo classica vige la sussidiarietà – il principio per cui i problemi locali vengono risolti da autorità locali in ragione della prossimità all’interesse da curare – nella visione di governo di Francesco tutto deve essere sotto il diretto controllo del Pontefice: bisogna, per così dire, ridurre il numero o l’autonomia dei “sottufficiali”. I Dicasteri curiali devono diventare le longae manus del Papa. In tal modo, la centralizzazione del governo portata avanti da Francesco si fa sempre più evidente. Abbiamo avuto, nel corso degli ultimi anni, diversi esempi di provvedimenti accentratori di Francesco. Basti pensare alla recente riorganizzazione del Vicariato di Roma, che ha portato ad uno svuotamento di funzioni del Cardinal Vicario ed ad un accentramento delle maggiori decisioni in capo al Vescovo di Roma (v. Cost. ap. In ecclesiarum communione del 2023 ed al Regolamento Generale del Vicariato di Roma dell’ottobre 2024).
Si badi bene dunque: la novità scandalosa di questa nomina non risiede nel fatto che una persona non ordinata riceva potestà di governo, perché la sua è sì potestà di governo ordinaria, ma vicaria, e neanche che a riceverla sia una donna, per quanto Suor Brambilla sia stata la prima nella storia a occupare la carica di “prefetto”. Questo è già avvenuto in passato per altri contesti, anche in pieno Medioevo. Si pensi al caso delle badesse mitrate di Conversano, in Italia, superiori benedettine che, dal 1266 e con l’approvazione di papa Clemente IV, ebbero potestà di governo equiparata a quella di un abate (cioé di un ordinario), tanto da indossare mitra e pastorale, e pur non essendo ordinate né ordinabili come vescovi. Le badesse mitrate godevano di potestà di giurisdizione ordinaria, ma vicaria, e ciò lecitamente pur senza avere potestà d’ordine. Oppure pensiamo al caso del cardinale Giacomo Antonelli [1806-1876], il famoso Segretario di Stato sotto papa Pio IX, che fu nominato prelato secolare e referendario del tribunale superiore, e poi anche assessore del tribunale penale (tutti incarichi di potestà di governo, secondo la dottrina canonistica dell’epoca), dieci anni prima di ricevere l’ordinazione diaconale nel 1840, e non fu mai consacrato né sacerdote né vescovo. Casi rari, dunque, nella storia, ma presenti.
Quanto compiuto da Papa Francesco mi sembra, dunque, al contrario di quanto hanno scritto altri analisti, in linea con la Costituzione apostolica Praedicate Evangelium, che egli stesso ha firmato nel 2022, dopo nove anni di lungo lavoro, e che ha aperto la porta alla possibilità di affidare incarichi curiali anche ai laici: “il Papa, i Vescovi e gli altri ministri ordinati non sono gli unici evangelizzatori nella Chiesa. – così si legge al punto 10 del Preambolo – Non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità”; e mi sembra anche in linea con il Codice di diritto canonico, il quale, ribadisco, come illustrato dalla casistica storica, enuncia un principio sì generale, ma che non deve intendersi in senso assoluto.
Secondo il cardinale Ghirlanda, il canonista di fiducia di Francesco, “la potestà di governo nella Chiesa non proviene dal sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica”. Questa frase, per se stessa, è sbagliata, perché contraddice il principio generale espresso dal Codice visto pocanzi. Taluni, giustamente, hanno visto in tali parole una rottura con la Tradizione. Certo, come abbiamo visto, ci sono stati casi storici di eccezione, ma sono eccezioni solo apparenti, nel senso che sempre chi ha ricevuto potestà di governo senza avere potestà d’ordine, lo ha ricevuto dall’ufficio principe del papa, e quindi la potestà di giurisdizione del delegato o del vicario discende dalla potestà d’ordine del delegante o per designazione canonica dal titolare dell’ufficio principale. Non può mai darsi il caso che un uomo privo di potestà d’ordine attribuisca a se stesso o ad altri una potestà di giurisdizione.
In tal senso, Praedicate Evangelium, almeno da questo punto di vista, è in linea con gli altri documenti del passato che regolamentano la Curia e il rapporto tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione. Anche Papa Pio XII, nella Enciclica Mystici Corporis Christi (1943), insegna che i vescovi “non sono del tutto indipendenti, poiché sono sottoposti alla debita autorità del Romano Pontefice, pur fruendo dell’ordinaria potestà di giurisdizione comunicata loro direttamente dallo stesso Sommo Pontefice”. Solo il papa e i vescovi, in quanto questi ultimi governanti delle diocesi, sono ordinari in senso proprio.
Le norme della Pastor Bonus confermano che i Dicasteri agiscono per nome e conto del Pontefice, e quindi godono di potestà di governo vicaria dal Papa. Papa Francesco, nella Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium (2022), scrive che: “la Curia Romana non si colloca tra il Papa e i Vescovi” (I. 8) e che, benché sia “in primo luogo uno strumento di servizio per il successore di Pietro per aiutarlo nella sua missione” (II.1), essa si pone anche al servizio “dei Vescovi, successori degli Apostoli, secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno” (III. articolo 1).
Qual è allora la novità scandalosa? Ci sono, a mio modestissimo avviso, tre elementi da considerare, che si aggiungono alla già citata assenza di formazione idonea: il fatto che Bergoglio si sia piegato alle logiche mondane, cioé il fatto che egli abbia nominato Suor Brambilla non per evidenti meriti, ma solo perché è una donna, per introdurre “quote rosa” in Vaticano e suscitare ancora una volta il plauso mondano che segue queste insulse ideologie; secondo, come già detto, che abbiamo a che fare con una sinodalista convinta (i cui effetti già si vedono, come vedremo più avanti); terzo, il fatto di essere stata affiancata da un pro-prefetto, cioé un vice (?) di cui non sono chiare le funzioni né gli ambiti di competenza.
Su questo terzo elemento di novità bisogna porre l’accento: il Papa ha posto al fianco di suor Brambilla, in qualità di pro-prefetto, il cardinale spagnolo Ángel Fernández Artime, ex Rettore dei Salesiani. Questa soluzione mi sembra un’operazione di facciata. Lo sdoppiamento dei poteri è in realtà già stato applicato in un altro Dicastero, e non a caso si tratta del Dicastero per l’Evangelizzazione, istituito ex novo proprio da papa Francesco nel 2022 e ritenuto dallo stesso uno dei più importanti, e in cui il prefetto è indicato esplicitamente nello stesso Papa, e il cui governo è accompagnato da due pro-prefetti. Questo elemento mette ancora più in evidenza come Bergoglio voglia riformare la Curia per centralizzare sempre più il potere e delegarlo il meno possibile.
Quali sono la strategia e gli effetti di questa gestione sdoppiata? Presto detto. La strategia è quella di separare l’aspetto mediatico da quello reale, in modo tale che il tutto appaia bello e “aperto di mente” agli occhi del mondo. In realtà, così facendo, le decisioni sostanziali restano saldamente nelle mani del Pontefice. L’effetto pro-Bergoglio è quello di un controllo vicendevole: il pro-prefetto controlla il prefetto designato, e viceversa, un po’ come avveniva nell’antica diarchia spartana o nel consolato romano, cioé per evitare che uno dei due prenda troppo “spirito di iniziativa”, cosa molto sgradita al Sedente, come le vicende vaticane degli ultimi anni dimostrano ampiamente.
Non bisogna però ignorare la possibilità che da questo potere sdoppiato scaturisca anche un effetto che vada ai danni di Bergoglio, e cioé che questa decisione di nominare un pro-prefetto possa accrescere il fronte degli scontenti, anche tra i sostenitori di Francesco: chissà, infatti, se il cardinale Artime, creato tale proprio da Bergoglio nel concistoro del 30 settembre 2023, veda di buon grado questa sua posizione di subordinato ad una suora?
Infine, il primo atto di governo di Suor Brambilla è stato emblematico. Ha inviato delegati pontifici agli Istituti del Verbo Incarnato e ai Servi del Signore e della Vergine di Matará. Ufficialmente, le problematiche sollevate riguardo a questi Istituti riguardano “carenze nel discernimento vocazionale, formazione inadeguata dei candidati e dei religiosi, l’inesperienza dei formatori e la governance affidata a superiori inesperti.”
Tuttavia, non si può fare a meno di chiedersi se questa mossa segnali un’agenda più ampia per ridimensionare un altro ordine religioso promettente, particolarmente radicato nella Tradizione della Chiesa. L’Istituto del Verbo Incarnato, ad esempio, ha dichiarato nel 2007 che il suo carisma è centrato su 11 “elementi non negoziabili”. Tra questi vi sono: la celebrazione reverente e dignitosa della Liturgia, caratterizzata da una profonda devozione eucaristica; l’obbedienza al Magistero “di tutti i tempi”; una chiara adesione alla dottrina di San Tommaso d’Aquino; e un quarto voto di “schiavitù mariana”, secondo la spiritualità di San Luigi Maria Grignion de Montfort.
Questi elementi pongono gli Istituti in netto contrasto con le tendenze progressiste della riforma sinodale, che spesso sminuiscono tali caratteristiche tradizionali a favore di interpretazioni più fluide della dottrina e della governance. La decisione di Suor Brambilla di prendere di mira questi Istituti come primo atto di governo sembra emblematica, rafforzando i timori che la sua nomina faccia parte di un più ampio sforzo per omogeneizzare la Chiesa secondo i dettami di un progressismo sinodale che resiste alla fedeltà agli insegnamenti perenni.
La nomina di suor Brambilla è anche un ulteriore esempio dell’emotività di molte decisioni di Bergoglio. Nel 2015, Francesco aveva ridimensionato l’idea di affidare un dicastero a una donna, definendo tale scelta un atto di “funzionalismo”. Eppure, oggi, si assiste al ribaltamento di quell’idea. La nomina di suor Simona Brambilla non è un episodio tra tanti, ma l’ennesimo passo di una strategia politica molto chiara, anche se non forse direttamente evidente, di questo pontificato. La preoccupazione è che tali decisioni possano compromettere ulteriormente la credibilità della Chiesa e allontanare quei fedeli già disorientati da anni di turbolenze dottrinali e pastorali. Una Chiesa che ambisce a essere più sinodale è una Chiesa che vuole sacrificare la verità in senso democratico e rivoluzionare il governo in senso assolutistico.