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mercoledì 17 luglio 2024

Mons. Pagano: "dopo il Concilio Vaticano II c’è stato uno sbandamento generale"

Tutto da leggere il libro (QUI) oggetto dell'intervista.
«Tristemente, dopo il Concilio Vaticano II c’è stato uno sbandamento generale: troppe aspettative. Si è creato disordine nella disciplina, nei seminari e negli atenei pontifici. In dottrina si è registrata una crisi sempre più profonda. E in questo clima di incertezza a prevalere è stata una vistosa confusione. Registro il disorientamento dei fedeli, e una certa decadenza del pensiero teologico. La stessa pastorale è ridotta a carità per la carità, senza un’ispirazione verticale, di fede».
Luigi C.

Monsignor Sergio Pagano: «Mai censurato carte delicate. Il bunker non basta più»

Corriere della Sera, Massimo Franco, 12-7-24

«Rimpianti non ne ho. Forse, l’unico è di avere finito il mio tempo e dunque di non potere aiutare ancora la crescita dell’Archivio. Ars longa vita brevis. Ma ho fiducia che il mio successore sarà in grado di continuare al meglio il lavoro…». Oggi si chiude un’era all’Archivio apostolico vaticano, «Segreto» fino al 2019. Dopo ventisette anni da prefetto, e quasi mezzo secolo vissuto tra i faldoni più misteriosi del mondo, monsignor Sergio Pagano, barnabita ligure, 75 anni, lascia l’incarico. Seduto al grande tavolo nel suo studio al quarto piano, tra dipinti della scuola di Caravaggio e immagini sacre, il prefetto racconta: dal sì alla pubblicazione anche dei documenti più spinosi, al no alle società statunitensi che si occupano di intelligenza artificiale e vorrebbero collaborare con l’Archivio.

Difficile negare che si chiuda un’éra. D’altronde un cardinale argentino, Jorge Mejìa, diceva: Pagano non è il Prefetto, «è» l’Archivio segreto vaticano.
«È una frase molto esagerata. Si chiude una stagione lunga, è innegabile, in cui l’Archivio è cresciuto grazie all’aiuto dei miei collaboratori e dei superiori: ho lavorato con dieci cardinali archivisti e sotto tre papi. E direi che i miglioramenti sono evidenti. Ma l’Archivio va avanti, al di là delle persone che lo guidano».

È vero che il bunker, i sotterranei che per 86 chilometri lineari ospitano i vostri documenti, non basta più a contenerli?
«È vero. Il vecchio bunker voluto da Paolo VI doveva durare cent’anni, e invece già straripa di carte. Stiamo cercando nuovi spazi. L’orientamento è di trovarli verso il Laterano, grazie allo sforzo di monsignor Angelo Zani, il nostro Archivista e mio diretto superiore».

È cambiata l’immagine luciferina dell’Archivio dopo che l’aggettivo «segreto» è stato sostituito con quello di «apostolico»?
«Non molto, nel senso che già prima avevo registrato riflessi positivi da storici perfino marxisti, agnostici, ebrei, musulmani. Vedevano la nostra volontà di condivisione dei documenti con uno stile di obiettività storica, senza apologetica rispetto alla Chiesa cattolica».

Esiste una sorta di «mappa del tesoro», un codice anche solo mentale che permetta di orientarsi e trovare quello che si cerca?
«No che non c’è, né potrebbe esserci! Il tesoro è diffuso in tutti i nostri documenti. L’unico codice è la conoscenza approfondita della Curia romana, della sua storia, della sua formazione, dei suoi uffici. È questa la realtà riflessa nei documenti dell’Archivio. Ci sono possibili “tesori” in ogni faldone. Non ne esiste uno strategico o decisivo».

Quale immagine della Chiesa emerge? Vede una decadenza o segni di rinascita?
«Tristemente, dopo il Concilio Vaticano II c’è stato uno sbandamento generale: troppe aspettative. Si è creato disordine nella disciplina, nei seminari e negli atenei pontifici. In dottrina si è registrata una crisi sempre più profonda. E in questo clima di incertezza a prevalere è stata una vistosa confusione. Registro il disorientamento dei fedeli, e una certa decadenza del pensiero teologico. La stessa pastorale è ridotta a carità per la carità, senza un’ispirazione verticale, di fede».

Condivide il giudizio secondo il quale l’Archivio segreto è la centrale dell’intelligence prima europea, oggi mondiale?
«Potrebbe anche farmi piacere una definizione del genere. Ma non è realistica. Noi non abbiamo strategie politiche, non elaboriamo dati né forniamo analisi operative. Noi studiamo la storia della Chiesa e del mondo attraverso le carte che ci arrivano. Più che la centrale dell’intelligence, siamo la centrale della memoria del mondo, cattolico ma non solo».

Finora siete riusciti a sottrarvi a intrusioni e manipolazioni. Teme che l’intelligenza artificiale spezzi questa rete protettiva?
«È una domanda spinosa ma pone un problema vero. Anche perché sono arrivate richieste di future collaborazioni tra l’Archivio e una centrale di elaborazione dati degli Stati Uniti che si occupa di intelligenza artificiale. La mia posizione è stata ed è quella di sempre: l’Archivio non è una banca dati. Ne possiede tantissimi che mette a disposizione degli storici. Ma non vuole siano estrapolati dati semplici da documenti complessi, per non annullare lo sfondo storico e umano nel quale sono nati».

Vede il rischio di manipolazioni?
«Più del rischio. Se accettassimo l’ottica dell’intelligenza artificiale, saremmo di certo soggetti a manipolazioni e perfino falsificazioni. Per questo siamo restii a cedere. Di fronte a queste richieste, ho sempre risposto che l’Archivio aspettava direttive chiare dagli organi vaticani. E finora non sono arrivate».

Qualcuno la accuserà di rifiutare la modernità: proprio lei che fece una battaglia per introdurre nell’Archivio segreto macchine da scrivere elettriche e poi computer.
«Il mio è solo cauto e doveroso attendismo. D’altronde, lo stesso papa Francesco ha stigmatizzato i pericoli dell’intelligenza artificiale».

Insegnerà ancora Diplomatica alla scuola dell’Archivio e resterà membro dei Lincei?
«All’Accademia dei Lincei rimango. La cattedra di Diplomatica l’ho ceduta da vent’anni a un mio alunno, e sono orgoglioso dell’altissimo livello scientifico raggiunto».

Quando passerà davanti a questo edificio che impressione le farà?
«Quella di un luogo dove ho lavorato tanto, che mi ha dato tanta consolazione e che spero di non abbandonare del tutto».

Mai avuto qualche remora per avere dedicato la vita agli studi e poco all’attività di vescovo?
«Su questo non ho alcuno scrupolo, sinceramente. Analizzando l’antichità e i tempi moderni ho visto la stima che i Papi hanno mostrato verso gli studi e gli uomini di studio. Non pochi pontefici erano archivisti e cancellieri, per poi diventare uomini di Curia e Segretari di Stato. Studiare la storia della Chiesa e divulgare le fonti è un’opera pastorale non minore di quella di un parroco che gioca a pallone all’oratorio con i giovani».

Ha mai nascosto o censurato documenti perché potevano essere un danno per la Chiesa?
«Nascosto no. Dico di più: a volte sono stato rimproverato da alcuni studiosi cattolici per avere detto troppo, per non avere avuto alcuno scrupolo nel pubblicare documenti delicati. Ma sono critiche che ho sempre ignorato. Le considero il riflesso di chi ritiene si dovrebbero tacere vizi e difetti degli uomini di Chiesa. La mia direttiva è che non bisogna commettere peccati, ma una volta verificati e documentati, vanno resi pubblici, contestualizzandoli nella storia. Anche perché la stragrande maggioranza della nostra documentazione attesta il bene fatto dalla Chiesa. I difetti sono parte dell’umanità».

Insomma, sono critiche che accoglie quasi come una medaglia.
«Quasi».