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martedì 5 marzo 2024

In risposta ad Andrea Tornielli: non esistono benedizioni non liturgiche #fernández #fiduciasupplicans #francesco

Andrea Tornielli su Vatican News (QUI) ha un bel coraggio a tirare in mezzo Benedetto XVI per difendere Fiducia Supplicans, confondendo, volutamente, "PREGHIERE" con "BENEDIZIONI".
L'ex conservatore Tornielli, convertito al progressismo, dovrebbe vergognarsi di certe posizioni.
Ce lo ricordiamo, e se lo ricorda MiL, quando difendeva tutte le posizioni conservatrici e tradizionaliste. Ma così va il mondo.
Ad oggi molti vescovi hanno già dichiarato che non applicheranno il documento vaticano, lo vietano ai loro sacerdoti e rifiutano di impartire le benedizioni indicate dalla Fiducia Supplicans: QUI l'elenco e QUI.
Luigi C.


NON ESISTONO BENEDIZIONI NON LITURGICHE

Pensiero Cattolico, Nicola Bux, 29-2-24

Vatican News del 27 febbraio 2024, ha pubblicato l’articolo: Fiducia supplicans, benedizioni non liturgiche e quella distinzione di Ratzinger. Il titolo accosta la recente Dichiarazione, ad alcuni passaggi contenuti nell’Istruzione Ardens Felicitatis del 14 settembre 2000, promulgata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, prefetto il cardinal Ratzinger, con oggetto le preghiere per ottenere da Dio la guarigione. Quel documento nasceva dalla necessità di mettere ordine nella confusione di quegli anni, circa i raduni di preghiera e il carisma di guarigione.
L’accostamento che l’articolo di Vatican News fa, tra le preghiere di cui parla l’Istruzione Ardens Felicitatis e le benedizioni di Fiducia Supplicans è del tutto errato. La preghiera è una domanda insistente, come la parola stessa indica, la benedizione è una formula di approvazione – bene dicere – dall’alto, cioè da parte di Dio. Il buon pastore, a cui accenna l’articolo, che non si dà pace finché non trova la pecorella smarrita, non va a benedire la pecora perché si è smarrita, ma a prenderla sulle spalle per riportarla all’ovile, non senza farle intendere che è andata fuori strada.

Ma torniamo all’Istruzione. Sin dal titolo: Instructio de orationibus ad obtinendam a Deo sanationem (sulle preghiere per ottenere da Dio la guarigione), spiega l’obbiettivo: invocare la liberazione dal male corporale e spirituale. Nessuna preghiera può essere fatta a Dio per confermare lo stato di peccato in cui si fosse caduti. Infatti, il desiderio di felicità insito nel cuore umano, si unisce sempre con la volontà di ottenere la liberazione dalle malattie e di comprenderne il senso, quando se ne fa esperienza.

L’Istruzione Ardens Felicitatis, interveniva pure a disciplinare la novità crescente di raduni di preghiera, che si uniscono a celebrazioni liturgiche finalizzate ad implorare da Dio la guarigione. In casi non del tutto rari, si diffonde la voce di avvenute guarigioni; in tal modo, cresce l’aspettativa di ciò, e l’interesse per tali raduni. In tale contesto, si fa appello ad un opinabile carisma di guarigione. Raduni di questo tipo, indetti per ottenere guarigione, suscitano domande su come li valuti l’autorità ecclesiastica, in specie riguardo all’aspetto liturgico su cui essa deve vigilare e dare norme, affinché sia disciplinato rettamente. A tal fine, l’Istruzione premette la parte dottrinale riguardante le grazie di guarigione e le preghiere per ottenerle. Innanzitutto, il significato della malattia e della guarigione nell’economia della salvezza. Nell’Antico Testamento, il malato che implora da Dio la guarigione, riconosce che a causa dei suoi peccati è afflitto da giuste pene. Ma la malattia affligge anche il giusto, e l’uomo chiede a Dio ragione di ciò: è celebre il caso di Giobbe. Questi è figura di Gesù Cristo, della cui passione, secondo l’Apostolo, l’uomo può essere partecipe col suo dolore e persino gioire (Col 1,24): a tal punto, il Nuovo Testamento eleva la sofferenza.

In secondo luogo, l’Istruzione, presenta il desiderio di guarigione e la preghiera per ottenerla. Dopo che il malato ha accettato la volontà di Dio, è pienamente umano il suo desiderio di riacquistare la salute; non deve abbattersi ma pregare, e il Signore lo curerà. Il documento non si limita alla preghiera di guarigione da parte di ogni singolo fedele per sé e per gli altri, ma ricorda che la Chiesa eleva questa preghiera, specialmente mediante l’Unzione dei malati, che allevia e può anche guarire dal male fisico e psichico, per l’efficacia del sacramento, che è un annunzio di risurrezione. L’Epistola di Giacomo, infatti, mostra come la preghiera dell’unzione non è semplicemente ‘per’ ma ‘sull’infermo’, cioè si tratta di un’azione efficace, come ha definito il concilio di Trento.

Il documento presenta altri tre aspetti: Gesù stesso ha esercitato il carisma di guarigione, dono dello Spirito che viene concesso pure ad alcuni fedeli; le preghiere di guarigione nella tradizione e il carisma di guarigione nell’attuale contesto.

La seconda parte dell’Istruzione, presenta le disposizioni disciplinari. L’art. 2: Le preghiere per ottenere la guarigione – sottolinea – si chiamano liturgiche se si trovano nei libri liturgici approvati, altrimenti sono preghiere spontanee (a proposito di queste devono restare distinte dalle liturgiche e non si devono confondere con quelle: cfr. anche art.5, §1 e 2). Quindi non sono benedizioni, e non hanno efficacia, soprattutto se il fedele non vuol abbandonare lo stato di peccato. Anche il riferimento all’Ordo benedictionis infirmorum, presente nel Rituale Romanum, nel punto 2 dell’Istruzione, riguarda “i testi eucologici”, cioè le preghiere di guarigione in esso contenute, non le formule di benedizione che costituiscono invece il sacramentale vero e proprio; si noti la disposizione dell’art.8 § 2, sulla necessità di tenere distinte le preghiere di esorcismo dalle celebrazioni per ottenere la guarigione, sia liturgiche che non. Dunque, l’articolo di Vatican News incorre in una clamorosa svista, chiamando in causa Ratzinger.

In nessun punto dell’Istruzione si parla di benedizioni. Se si vuole, la distinzione tra preghiere ‘per ottenere’ e benedizioni ‘che ottengono’, è analoga a quella che la liturgia orientale fa tra formule deprecatorie e formule dichiarative. Conviene chiarire poi, che ‘liturgico’ (dal greco: azione del popolo santo) è il culto pubblico della Chiesa, popolo di Dio adunato nel Nome della Trinità; ‘non liturgico’, invece, è l’esercizio di pietà che il singolo fedele fa’ da solo o con altri, ma non coinvolge la Chiesa e necessita la di lei vigilanza, affinché non scivoli in isterismi, artifizi, spettacoli (cfr. art 5, § 3). La liturgia e la pietà privata sono ordinate l’un l’altra, ma non vanno confuse.

Infine, conviene affermare che la benedizione, in ebraico berakah, quale atto spirituale e sacro, fa memoria, loda la presenza di Dio e intercede, affinché la sua potenza discenda sulla persona o sull’oggetto e li santifichi; presenza e discesa possono essere ricondotte rispettivamente a Cristo e allo Spirito Santo: come, nei sacramenti, l’anamnesi e l’epiclesi. La benedizione nutre ed esprime la fede, attraverso il segno di croce e l’aspersione dell’acqua benedetta. La benedizione è un sacramentale, cioè una estensione della grazia del sacramento, che per essere ricevuta esige la buona disposizione a ricevere l’effetto principale del sacramento a cui è ordinato (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, a. 1667).

Premesso che la benedizione non è compatibile con uno stato di peccato – non si può benedire ciò che disgrega, consuma, distrugge – a quale sacramento è ordinata la benedizione di una coppia irregolare? Non è vero che la benedizione non promuove e non giustifica nulla, perché essa promuove implicitamente gli “atti disordinati” e la pseudo unione. Nel testo di Fiducia Supplicans, ricorre esplicitamente sette volte l’espressione “benedizioni di coppie dello stesso sesso”: ma di uno stesso sesso non esiste coppia, perché sono simili, e i simili fanno un paio, non una coppia.

Dunque, non esiste una benedizione che non sia liturgica, quando è fatta da un ministro ordinato, che esercita il munus sanctificandi con e nella sacra liturgia, a nome della Chiesa. L’articolo di Vatican News, dunque, è ingannevole e costituisce una spudorata falsificazione, forse con l’intento di piacere a corte.

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