La scuola statale è diventata per tante persone un ammortizzatore sociale di chi sogna il posto fisso. Dove il servizio non si adatta alla domanda (di studenti in calo per ragioni demografiche) ma invece si adatta all’offerta (in una situazione di sovrabbondanza di laureati disoccupati). È di questi giorni la denuncia lanciata via social da Rinascita Scuole Cattoliche a tutti i suoi follower, un appello che invita a iscrivere i propri figli a scuole cattoliche della Tradizione, dove il corpo docente è composto da persone consacrate e laici disposti a rinunciare anche alla carriera pur di portare avanti l'apostolato educativo.
Si tratta di una secca risposta al tracollo della scuola di Stato descritto recentemente sulle colonne de la Repubblica, che racconta di come «pizzaioli, gioiellieri, artigiani, manager, artisti di vario genere stufi della partita iva ripiegano sull’insegnamento», pur «non sapendo nulla di didattica e funzionamento scolastico».
Alcuni auspicano addirittura di «non finire come insegnanti di sostegno». Un fatto di cronaca che ci offre lo spunto per ricostruire quanto accaduto negli ultimi due governi e dare delle chiavi di lettura sulla scuola pubblica libere da ogni pregiudizio. Il piano politico. Siamo a luglio del 2022 quando Mario Draghi nel nuovo decreto aiuti annuncia alle parti sociali l’arrivo di 104mila assunzioni nella scuola. Il Consiglio dei Ministri dà così il via all'assunzione a tempo indeterminato di 94mila insegnanti e 10mila unità tra personale tecnico e amministrativo. Iniziativa che lascia perplessa anche la stampa a lui vicina che così commentava: «Non era mai accaduto che un governo dimissionario mettesse sul tavolo in piena estate tanti soldi e tanti provvedimenti».
Un anno più tardi, è la volta del governo Meloni che con un piano straordinario prevede l’assunzione di 50mila insegnanti a tempo indeterminato per l’anno scolastico 2023/24. In attesa dello svolgimento dei concorsi previsti dal piano nazionale di ripresa e resilienza, che porteranno al reclutamento di altri 70mila insegnanti, il ministero dell’Istruzione e del Merito dà così il via alla propria strategia parallela, dopo l’approvazione di un decreto legge ad hoc nel Consiglio dei ministri varato il 6 aprile.
Soldi, tanti soldi. Il sistema della pubblica istruzione è da sempre noto per la sua voracità in tema di risorse, anche se in testa restano sempre pensioni e sanità. Oggetto di finanziarie portate avanti indistintamente da governi di centro destra, di centro sinistra e a conduzione tecnica. Insomma, ce n’è per tutti. Per dare un’idea degli investimenti di Stato per discente facciamo riferimento a quanto pubblicato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito nella nota 2968, dove in tabella si riporta il costo medio per studente nelle scuole paritarie. I valori si riferiscono all’anno scolastico 2022/23.
Fonte
Alla luce di quanto detto, viene spontaneo chiedersi: la scuola pubblica italiana ha davvero bisogno di tutti questi docenti? Come si giustificano queste infornate sovietiche di nuovi insegnamenti – trasversali, da Draghi a Meloni – a fronte di una diminuzione delle classi per le evidenti contrazioni demografiche? Cosa giustifica un investimento così massiccio di denaro pubblico a fronte di un peggioramento della qualità dell’insegnamento, così come campare nelle statistiche internazionali? In una parola, dov’è – per quantità e per qualità – il ritorno dell’investimento fatto? Oltre a ciò, com'è possibile che 2 edifici scolastici su 5, siano inagibili?
L’istruzione va inserita in un quadro strategico. Parlare di scuola e in senso più ampio di sistema educativo di un Paese, non può ridursi meramente al solo piano finanziario, ma va inserito in un disegno strategico e ancor prima in una visione. Prendiamo questa ultima tabella: il costo per istruzione è spannometricamente di 7mila euro a studente, che diventano 8mila se universitario. Ora, se una volta entrato nel mondo del lavoro, il laureato si integra nel sistema sociale apportando conoscenze, competenze e contribuendo alla spesa sociale tramite la tassazione del suo reddito, questo non rappresenta più un costo per lo Stato ma un investimento. Cosa che non accade in caso di disoccupazione, inoccupazione o trasferimento all’estero, dove questo capitale intellettuale e finanziario va a beneficio del Paese ospitante. Ora, considerati i livelli di precarietà (soprattutto giovanile) e di fuga di cervelli all’estero, evidentemente qualcosa non torna in termini di ritorno sull’investimento fatto.
Pubblico o privato, purché funzioni. Sarebbe interessante fare un raffronto tra istruzione pubblica e privata, in termini di numero di alunni per classe, sicurezza e decoro delle strutture scolastiche, preparazione e motivazione degli insegnanti, performance degli studenti, placement sul mercato del lavoro o accesso ai livelli superiori di studio. In assenza di tali dati – anzi, se qualche lettore meglio informato ne disponesse saremmo lieti di commentarli insieme – osserviamo quanto sia desolante che la scuola pubblica continui a stare in basso nelle classifiche di ranking con gli altri Paesi, stando alle rilevazioni OCSE PISA, la più estesa indagine internazionale nel campo dell’educazione alla quale partecipano gli studenti provenienti da più di 80 diversi Paesi tra cui l’Italia. Prendiamo ad esempio l’apprendimenti scientifico: se nel 2000 totalizzavamo 487 punti e nel 2015 diventano 481, nel 2021 l’Italia con 468 punti, torna sotto la media Ocse, di 489 punti. È dunque evidente che esiste un problema anche in termini ritorno dell’investimento sulla qualità delle strutture educative.
Quel valore aggiunto delle scuole cattoliche. Se visione e missione sono alla base del successo di un sistema educativo, investire – e finanziare, da parte dello Stato – scuole cattoliche significa investire su un sistema di valori, terreno di scommessa della crescita dei suoi cittadini. Da studi pubblicati sull’American Sociological Review sappiamo infatti che «frequentare un istituto cattolico aumenta in modo consistente la possibilità di finire nei giusti tempi le scuole superiori, passando alla formazione successiva» in quanto «è il rendimento nelle scuole religiose ad essere più elevato». Potremmo essere tutti d’accordo con il sociologo Robert Putnam che «rispetto ai loro coetanei, i giovani che sono coinvolti in organizzazioni religiose seguono corsi più difficili, ottengono voti e punteggi più alti nei test e hanno meno probabilità di abbandonare il liceo». Del resto basti pensare a scuole di eccellenza e università di prestigio fondate da ordini religiosi o visionari cattolici, testimonianza in Italia come nel mondo di quanto detto.
Insomma, se l’invito che viene da più parti è di «cercare, progettare e sperimentare modelli scolastici» per affrontare le sfide attuali, forse è giunto il momento di accantonare ideologia e pregiudizi sull’istruzione privata, iniziando a praticare anche nei confronti del mondo cattolico quella inclusione e libertà tanto ostentate dalle laiche e democratiche élites del momento.
Robert
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Calma. Sono esistite tante scuole cosiddette "cattoliche", con suore e preti, francamente deludenti, frequentate da bulli e bulle a cui della religione cristiana non importa nulla e con insegnanti laici ignoranti e sottopagati, mentre al contrario le rette che i genitori dovevano pagare erano alte o venivano aumentate nel corso dell'anno. La testimonianza cristiana è ben altro.
RispondiEliminaSi senza parlare degli abusi sessuali
RispondiEliminaLa scuola deve insegnare il “saper essere”, pima ancora del “saper fare”. Un progetto formativo con valori forti e radicati è quello che fa la differenza tra la scuola pubblica, dove i modelli sono affidati ai singoli docenti, e le scuole cattoliche della Tradizione, insiti nella loro missione. Questa mi sembra l’essenza vostra bella e chiara analisi che condivido in pieno. Complimenti per la Rubrica! Arnaldo P.
RispondiEliminaPenso che l'articolo si basi su studi della situazione statunitense, molto diversa da quella italiana.
RispondiEliminaNella mia città natale c'era un liceo classico cattolico, che era il rifugio di quelli che fallivano nel pubblico. Del resto, come si diceva già allora, bastava pagare...
E le rette? Proprio alla portata di tutti?
RispondiEliminaMi sembra che i commenti non siano molto favorevoli alle scuole private, cattoliche e no
RispondiEliminaCi mancherebbe altro! Le scuole devono essere pubbliche, laiche e di alto livello. Io ho fatto la scuola cattolica: un incubo! Rette altissime e zero mezzi, zero laboratori, zero equipaggiamento.
EliminaHo l'impressione che questo articolo sia stato un' autorete notevole.
RispondiEliminaE comunque anche nella scuola pubblica a volte c'e' di tutto. .
RispondiEliminaIo ho frequentato 3 licei diversi nella città di Torino e non mi sono mai trovato bene. Ho perso speranza nella scuola e vedo alla Montessori e alla Steiner come a un’alternativa curiosa, ma comunque dubbia, perchè non l’ho provata sulla mia pelle e non saprei dire. Anche quando sento studenti in scuole private e/o cattoliche sono incuriosito dalla loro esperienza. Ho sempre invidiato i ragazzi che andavano in scuole di quel tipo a Torino e trovavo quei giri di persone i piu interessanti. Ma quanto ciò dipenda dalla didattica non posso saperlo. Dipende anche e soprattutto dalla scelta dei genitori di mandare i figli in una certa scuola. Figli di genitori con gusti simili si trovano a stare assieme e formano una certa elite rispetto ad altre scuole dove si va un po’ tutti in massa...
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