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lunedì 23 gennaio 2023

Nel luglio 2021 Benedetto XVI, sfogliando L'Osservatore Romano, scoprì che Francesco aveva reso noto "Traditionis custodes" #benedettoxvi #traditioniscustodes

Riprendiamo il post di MiL QUI, dando la versione completa (tratta da Il Sismografo) del capitolo su Traditionis Custodes del volume di mons. Georg Gänswein "Nient'altro che la verità".
Luigi

18-1-23
(a cura Redazione "Il sismografo") Ecco quanto mons. Georg Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia, e per molti anni segretario personale del Papa emerito Benedetto XVI, racconta nel suo libro (scritto con Saverio Gaeta) intitolato "Nient'altro che la verità", nel paragrafo "La pacificazione interrotta":

"Il 16 luglio 2021 Benedetto XVI scoprì, sfogliando «L’Osservatore Romano» di quel pomeriggio, che Papa Francesco aveva reso noto il motu proprio Traditionis custodes [NdR - 1] sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. La tematica era identica a quella del motu proprio Summorum Pontificum, che lui aveva promulgato il 7 luglio 2007, e anche la modalità di comunicazione fu la medesima, mediante l’accompagnamento di una lettera per illustrare i contenuti del nuovo testo. Perciò il Papa emerito lesse con attenzione il documento, per comprenderne la motivazione e i dettagli dei cambiamenti.
Quando gli chiesi un parere, mi ribadì che il Pontefice regnante ha la responsabilità di decisioni come questa e deve agire secondo ciò che ritiene come il bene della Chiesa. Ma, a livello personale, riscontrò un deciso cambio di rotta e lo ritenne un errore, poiché metteva a rischio il tentativo di pacificazione che era stato compiuto quattordici anni prima. Benedetto in particolare ritenne sbagliato proibire la celebrazione della Messa in rito antico nelle chiese parrocchiali, in quanto è sempre pericoloso mettere un gruppo di fedeli in un angolo, così da farli sentire perseguitati e da ispirare in loro la sensazione di dover salvaguardare a ogni costo la propria identità di fronte al “nemico”.
Dopo un paio di mesi, leggendo quanto Papa Francesco aveva detto il 12 settembre 2021 durante la conversazione con i gesuiti slovacchi a Bratislava, il Papa emerito corrugò la fronte dinanzi a una sua affermazione: «Adesso spero che con la decisione di fermare l’automatismo del rito antico si possa tornare alle vere intenzioni di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II. La mia decisione è il frutto di una consultazione con tutti i vescovi del mondo fatta l’anno scorso».
E ancor minore apprezzamento riscosse in lui l’aneddoto raccontato subito dopo dal Pontefice: «Un cardinale mi ha detto che sono andati da lui due preti appena ordinati chiedendo di studiare il latino per celebrare bene. Lui, che ha senso dello humor, ha risposto: “Ma in diocesi ci sono tanti ispanici! Studiate lo spagnolo per poter predicare. Poi, quando avete studiato lo spagnolo, tornate da me e vi dirò quanti vietnamiti ci sono in diocesi, e vi chiederò di studiare il vietnamita. Poi, quando avrete imparato il vietnamita, vi darò il permesso di studiare anche il latino”. Così li ha fatti “atterrare”, li ha fatti tornare sulla terra». [NdR - 2]
Da perito del Vaticano II, Benedetto ricordava bene come il Concilio avesse invece insistito sull’opportunità che «l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini» (Sacrosanctum Concilium 36) e che tutti i seminaristi acquisissero «quella conoscenza della lingua latina che è necessaria per comprendere e utilizzare le fonti di tante scienze e i documenti della Chiesa» (Optatam totius 13). Non per nulla, aveva annotato nel motu proprio Latina lingua, «in tale lingua sono redatti nella loro forma tipica, proprio per evidenziare l’indole universale della Chiesa, i libri liturgici del rito romano, i più importanti documenti del Magistero pontificio e gli atti ufficiali più solenni dei Romani Pontefici».
Come è evidente nei suoi scritti, in particolare La festa della fede (1984) e Introduzione allo spirito della liturgia (2000), il teologo Ratzinger agli inizi era favorevole riguardo alla riforma liturgica: questo tema fu sempre tra i suoi prediletti, poiché lo riteneva fondamentale per la fede cattolica, e non per caso volle che la prima pubblicazione della sua Opera omnia fosse quella dedicata alla liturgia, anche se nel piano progettuale era l’undicesimo volume. Però, vedendo i successivi sviluppi di quella riforma, si rese conto delle diversità fra ciò che il Vaticano II voleva e quanto invece fu fatto dalla Commissione per la realizzazione della Sacrosanctum Concilium [NdR - 3], con la liturgia che è diventata un campo di battaglia per opposti schieramenti, in particolare rendendo la celebrazione in latino il baluardo da difendere o il bastione da abbattere.
Benedetto si è impegnato soprattutto affinché la liturgia fosse celebrata nella sua bellezza, poiché essa è la celebrazione della presenza e dell’opera del Dio vivente, vedendo nell’Eucaristia il gesto di adorazione più elementare e grande della Chiesa. Ai suoi occhi, ogni riforma della Chiesa doveva derivare dalla liturgia, in quanto essa soltanto può incarnare un rinnovamento della fede che parte dal centro. E da teologo affermava: «Come ho imparato a intendere il Nuovo Testamento come l’anima della teologia, così ho colto la liturgia come il suo motivo di vita, senza la quale quella inaridisce».
Fondandosi su tale consapevolezza, con il Summorum Pontificum [NdR - 4] volle rendere più agevole la possibilità per un sacerdote di celebrare con il rito antico, superando la necessità del riferimento al vescovo diocesano e accordando la competenza alla Commissione “Ecclesia Dei”. Restò comunque sempre chiaro per lui che esisteva un unico rito, seppure con la compresenza di quello ordinario e di quello straordinario. La sua unica motivazione era il desiderio di riparare la grande ferita che via via si era creata, volontariamente o involontariamente che fosse.
Non fu un’operazione svolta clandestinamente, come pur qualcuno in cattiva fede ha sostenuto. A occuparsi del testo del motu proprio fu infatti la Congregazione per la Dottrina della fede, con il coinvolgimento dei membri della feria quarta e della plenaria. Benedetto seguiva costantemente i progressi del testo attraverso gli aggiornamenti che gli faceva il cardinale prefetto Levada nelle udienze di tabella e, dopo la pubblicazione, chiese regolarmente ai vescovi, in occasione delle visite ad limina, come procedesse l’applicazione di quella normativa nella loro diocesi, ricavandone sempre una sensazione positiva.
Per questo motivo a Papa Ratzinger apparve incongruo quel riferimento alle sue «vere intenzioni», poiché, come si legge in Luce del mondo, egli aveva voluto «rendere più facilmente accessibile la forma antica soprattutto per preservare il profondo e ininterrotto legame che sussiste nella storia della Chiesa. Non possiamo dire: prima era tutto sbagliato, ora invece è tutto giusto. In una comunità, infatti, nella quale la preghiera e l’Eucaristia sono le cose più importanti, non può considerarsi del tutto errata quella che prima era ritenuta la cosa più sacra. Si è trattato della riconciliazione con il proprio passato, della continuità interna della fede e della preghiera nella Chiesa».
Restò misterioso anche per Benedetto il motivo per cui non vennero divulgati i risultati della consultazione dei vescovi fatta dalla Congregazione per la Dottrina della fede, che avrebbero consentito di comprendere più precisamente ogni risvolto della decisione di Papa Francesco. Allo stesso modo si rivelò sorprendente, per tutto il lavoro di analisi e di approfondimento fatto in precedenza, il trasferimento e lo spezzettamento della competenza sulla questione dalla Dottrina della fede al Dicastero per il Culto divino e la Disciplina dei sacramenti e a quello per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica."
(Pag. 288 - 291 - Nient'altro che la verità)
***
Note della Redazione
[NdR - 1]
[NdR - 2]
[NdR - 3]
[NdR - 4]