Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 1064 pubblicata da Paix Liturgique il 9 luglio, in cui si prosegue l’analisi (QUI e QUI i precedenti post su MiL) della figura del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato e soprattutto da un po’ di tempo in aperta «campagna elettorale» in vista del prossimo (imminente?) conclave e per questo in rapporti sempre più tesi con papa Francesco.
Diplomatico di lungo corso di orientamento liberale in rapporti con il Gruppo Bildeberg e gli ambienti LGBT, «aperturista» in materia morale e «realista» in materia dottrinale, è il fautore del criticatissimo accordo con il governo comunista cinese e si è distinto negli ambienti della Curia Romana per la sua rigida avversione alla liturgia tradizionale.
Insomma, il materiale è abbondante per riuscire a tracciare le linee programmatiche del potenziale futuro papa Giovanni XXIV.
L.V.
La Chiesa di oggi, come le società liberali che ha preso al suo seguito, si trova in un grande vuoto, avendo cancellato il rigore del suo dogma e della sua morale. Ma sembra che non si possa tornare indietro. I successori di papa Francesco possono solo essere custodi della sua eredità, cioè del Concilio «compiuto» con l’esortazione apostolica postsinodale Amoris leatitia sull’amore nella famiglia e con la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Salvo un ripensamento radicale, che certamente avverrà prima o poi, il successore di papa Francesco sarà necessariamente un bergogliano. Ma o un bergogliano liberale, come potrebbe essere il card. Jean-Marc Noël Aveline, Arcivescovo metropolita di Marsiglia, o un bergogliano rigoroso. Questo dovrebbe essere il caso di colui che viene già soprannominato… Papa Giovanni XXIV.
Un uomo del serraglio progressista
Rigoroso bergogliano è l’aggettivo che si potrebbe applicare al card. Pietro Parolin, 69 anni, Segretario di Stato oggi, domani… Perché tutti a Roma sanno che la seconda figura più importante della Chiesa è in campagna elettorale. Tutti, compreso papa Francesco, che non esita a stuzzicarlo in modo un po’ seccato.
Per far sapere a tutti come vede il futuro, tre mesi fa, il 24 aprile il card. Pietro Parolin ha tenuto una conferenza all’ex Collegio Romano, oggi Ministero della Cultura, in occasione della presentazione del libro di Ignazio Ingrao, esperto vaticanista della televisione italiana, Cinque domande che agitano la Chiesa. Era una sala gremita, con la presenza di numerosi prelati di alto profilo, tra cui l’anziano card. Giovanni Battista Re, Prefetto emerito della Congregazione per i Vescovi e Decano del collegio cardinalizio, che è stato uno dei principali elettori di papa Francesco ma che da allora è rimasto più che deluso dal suo stile di governo, e naturalmente il dott. Gennaro Sangiuliano, Ministro della Cultura, i Prefetti dei Dicasteri, gli Ambasciatori presso la Santa Sede e i giornalisti che hanno seguito le reazioni degli illustri ascoltatori tanto quanto le parole dell’oratore.
È alla quinta domanda del libro, «Che ne sarà delle riforme intraprese da papa Francesco?», che il card. Pietro Parolin ha opportunamente scelto di rispondere. Anche se fa fatica a scrollarsi di dosso il suo linguaggio ecclesiastico un po’ pesante, le sue parole, tra cui quelle di «discernimento», «pazienza» e «lungo cammino» che il Decano del collegio cardinalizio ha usato, hanno trasmesso un messaggio molto chiaro: «Non si tornerà indietro». Perché quando il progresso è voluto papa Francesco, guidato dallo Spirito Santo, c’è un effetto a catena.
Questa è la pietra angolare del progetto di colui che molti vedono già come Papa Parolin: l’assicurazione che non si tornerà, nemmeno ai margini, allo stato postconciliare di Papa Benedetto XVI. A maggior ragione allo stato anteconciliare. E tanto più che lo stile di governo dell’uomo che si vede come califfo al posto del califfo, molto più pacato di quello di papa Francesco, eviterà il rischio di crisi.
Veneto di nascita, il card. Pietro Parolin è entrato nella diplomazia vaticana quando il card. Agostino Casaroli, l’uomo della Ostpolitik, era Segretario di Stato ed il card. Achille Silvestrini, per decenni leader della Roma liberale, era Segretario del Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa. Sotto la guida del card. Achille Silvestrini, che divenne il suo mentore, mons. Pietro Parolin acquisì rapidamente un’ampia conoscenza dei vertici della Curia Romana e delle Cancellerie del mondo.
Dopo varie Nunziature apostoliche, tornò a Roma nel 1992, quando il card. Angelo Sodano era Segretario di Stato, come Sottosegretario per i Rapporti con gli Stati sotto mons. (poi card.) Jean-Louis Tauran, che era succeduto al card. Achille Silvestrini come Segretario per i Rapporti con gli Stati. Ma quando nel 2009 il card. Tarcisio Bertone S.D.B. sostituì il card. Angelo Sodano come Segretario di Stato di Papa Benedetto XVI, inviò mons. Pietro Parolin nella più difficile delle Nunziature apostoliche, quella del Venezuela del Presidente Hugo Rafael Chávez Frías.
L’esilio è durato poco. Papa Francesco fu convinto dal card. Achille Silvestrini e dal card. Jean-Louis Tauran a richiamare a Roma, nell’agosto 2013, questo esperto diplomatico di orientamento liberale… per sostituire il card. Tarcisio Bertone S.D.B.
Un uomo di «apertura»
Non dobbiamo mai dimenticare che il Vaticano è in Italia. Sebbene la diplomazia papale coltivi tradizionalmente una «neutralità», ovvero un certo arretramento rispetto all’atlantismo italiano, quest’ultimo è stato comunque ampiamente condiviso dalla Santa Sede fin dal venerabile Papa Pio XII e ancor più da San Giovanni Paolo II. In questo senso, l’antiamericanismo di papa Francesco ristabilisce un equilibrio più tradizionale, come abbiamo visto, ad esempio, nelle esplorazioni diplomatiche per la pace in Ucraina, per le quali ha incaricato il card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna e Presidente della Conferenza episcopale italiana.
Nel complesso, tranne che per la sua politica sulla Cina, il card. Pietro Parolin sembra più americano. Ma certamente non trumpiano. Si è parlato molto della sua presenza all’incontro 2018 del Gruppo Bilderberg, che si è tenuto a Torino. Questo gruppo è composto da un centinaio di persone cooptate tra personaggi influenti della diplomazia, dell’economia, della politica e dei media, e si considera oggi un’efficace antenna per le ideologie globaliste. La riunione a cui ha partecipato il Segretario di Stato ha analizzato l’ascesa «preoccupante» del populismo.
Allo stesso modo, il 5 aprile 2019, il card. Pietro Parolin ha tenuto un lungo incontro con una cinquantina di avvocati, giudici e politici, rappresentando la crema degli attivisti LGBT e chiedendo la depenalizzazione dell’omosessualità. Un ricevimento di grande forza simbolica, durante il quale il Segretario di Stato ha detto loro che la Chiesa condanna «ogni violenza contro le persone».
Ma poi c’è stata la questione del patto con la Cina, persecutrice del Cattolicesimo e grande nemica degli Stati Uniti. L’accordo, il cui contenuto non è stato reso pubblico, è stato firmato nel 2018 per due anni, prorogato due volte nel 2020 e nel 2022, e sarà presto prorogato di nuovo dopo un colloquio organizzato lo scorso maggio a Roma sulle relazioni di Roma con la Cina con mons. Giuseppe Shen Bin, Vescovo («patriottico») di Shanghai, e la prof. Zheng Xiaojun, Presidente della Società Religiosa Cinese, un organismo incaricato di monitorare da vicino le attività delle religioni per assicurarsi che non si discostino dalle leggi del Paese.
L’accordo con il card. Pietro Parolin consente alle autorità cinesi di presentare i Vescovi per l’investitura da parte di Roma. In parole povere, il patto in questione concede ai comunisti, che stanno ancora perseguitando la Chiesa, il diritto di nominare i Vescovi. Alcuni, come mons. Giuseppe Shen Bin, sono stati nominati unilateralmente da Pechino e confermati da Roma in tutta fretta. In virtù di questo accordo, i sette Vescovi «ufficiali» nominati sono stati reintegrati nella comunione romana, due dei quali erano sposati. Inoltre, i Vescovi clandestini, che non erano stati approvati dalle autorità comuniste, furono esclusi dal governo delle Diocesi. Ciò ha suscitato critiche indignate, in particolare da parte del card. Joseph Zen Ze-kiun S.D.B., Vescovo emerito di Hong Kong, che ha accusato il card. Pietro Parolin, «uomo di poca fede», di «svendere la Chiesa cattolica al governo comunista» e ha invitato il responsabile di questo «incredibile tradimento» a dimettersi. Ma anche il card. Gerhard Ludwig Müller nel suo libro In buona fede: «Non si può fare un patto con il diavolo».
Ma è davvero certo che questo accordo con la Cina sia un grosso handicap che impedisce al card. Pietro Parolin di apparire in talare bianca sul balcone dell’Arcibasilica di San Pietro in Vaticano? Oppure, al contrario, potrebbe essere spiegato al Sacro Collegio come un vantaggio per la Santa Sede nel ridisegno degli equilibri globali?
Le altre carte di un programma di rifocalizzazione
C’è un altro paradosso: il fatto di essere diventato meno vicino a papa Francesco potrebbe diventare un vantaggio per il card. Pietro Parolin quando si tratterà di succedere a papa Francesco, e quando ci sarà sicuramente una reazione contro il dispotismo sotto il quale la Curia Romana e i Cardinali gemono. Il card. Pietro Parolin si è trovato direttamente interessato dall’esposizione, nel 2019, di una transazione sospetta effettuata dalla Segreteria di Stato nel 2012: l’investimento di quasi 200 milioni di euro in un lussuoso edificio londinese soggetto a ipoteca. L’immobile era stato acquistato a un prezzo fortemente sopravvalutato con i fondi raccolti dall’Obolo di san Pietro, per poi essere venduto in forte perdita. Si trattava di una situazione relativamente classica, in cui chierici che pensavano di essere esperti finanziatori si rivelavano estremamente ingenui. La responsabilità principale ricade sul primo collaboratore del card. Pietro Parolin, il card. Giovanni Angelo Becciu, oggi Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei santi, che ha dovuto dimettersi dal suo incarico, ha perso tutti i diritti legati al Cardinalato ed è stato portato davanti ai tribunali vaticani insieme ad altri alti funzionari romani. Queste accuse di appropriazione indebita o di grave imprudenza hanno fatto sì che, alla fine del 2020, la Segreteria di Stato sia stata spogliata da papa Francesco dei suoi beni e del suo enorme portafoglio di investimenti. A tal punto che la Segreteria di Stato, per pagare il personale diplomatico, ha dovuto svendere i gioielli di famiglia: le Nunziature apostoliche di Parigi e Vienna, per cominciare, dovevano essere vendute (don Filippo di Giacomo, La diplomazia vaticana deve fare cassa, quotidiano La Repubblica, 28 giugno 2024).
Anche il suo incerto stato di salute – il card. Pietro Parolin è stato curato per un cancro – gli fa onore: compenserebbe la sua giovane età (69 anni) per i Cardinali elettori che vogliono limitare i rischi delle loro scelte cercando papabili per regni brevi. L’età del card. Jorge Mario Bergoglio è stato uno degli argomenti addotti dai suoi sostenitori durante il conclave del 2013…
Il card. Pietro Parolin ama darsi un’aria di moderazione. Mentre ha reso sacrosanta l’«apertura» morale del Pontificato bergogliano, facendo elogiare da papa Francesco i Vescovi argentini per la loro interpretazione ultra-liberale dell’esortazione apostolica postsinodale Amoris leatitia sull’amore nella famiglia (in parole povere: l’interpretazione più liberale di Amoris leatitia è ufficialmente quella giusta), è stato, al contrario, estremamente cauto nel sostenere solo a parole la dichiarazione Fiducia supplicans sul senso pastorale delle benedizioni, un documento altamente divisivo che permette la benedizione delle coppie dello stesso sesso. Il 12 gennaio 2024, nell’occasione stranamente scelta di una conferenza tenuta davanti agli scienziati dell’Accademia Nazionale dei Lincei a Roma, ha addirittura fatto un passo indietro rispetto al documento del Dicastero per la Dottrina della fede: «Questo documento ha suscitato reazioni molto forti; ciò significa che è stato toccato un punto molto delicato e sensibile; sarà necessaria un’indagine più approfondita».
Rispetto ai Cardinali più progressisti, il card. Luis Antonio Gokim Tagle, Pro-prefetto della Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari del Dicastero per l’evangelizzazione, e il card. Jean-Claude Hollerich S.I., Arcivescovo di Lussemburgo, il card. Parolin rappresenta una certa rifocalizzazione. Si è detto che alla XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi dell’ottobre scorso è intervenuto per «difendere la dottrina», anche se il contenuto preciso del suo intervento non è stato rivelato, ma il tema era che la dottrina deve essere posta al centro della sinodalità, in altre parole che la sinodalità non deve far esplodere l’istituzione. Sappiamo anche che, senza chiudere alcuna porta, egli desidera prendere le distanze dalle assurdità del Synodale Weg [cammino sinodale tedesco: N.d.T.]. Perché questo «realista» sa che la transazione tra progresso e conservazione è il grande mezzo con cui la Chiesa post-conciliare è durata e può continuare a durare.
L’inciampo della Santa Messa tradizionale
Ma c’è un punto su cui il card. Pietro Parolin non vuole scendere a compromessi, ed è la liturgia tradizionale, a differenza dei liberali bergogliani di cui abbiamo parlato all’inizio, che pensano che le si possa concedere una certa libertà per controllarla meglio.
Come Segretario di Stato, il card. Pietro Parolin ha svolto un ruolo chiave nella stesura della lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 del 2021. Si ricorderà che il primo atto è stato il sondaggio tra i Vescovi del mondo organizzato dalla Congregazione per la Dottrina della fede il 7 marzo 2020, volto a fare il punto sull’applicazione della lettera apostolica «motu proprio data» Summorum Pontificum. I risultati potrebbero certamente essere interpretati come un’approvazione di Summorum Pontificum, ma ciò che era previsto era la sua abrogazione. Nelle riunioni della Congregazione per la Dottrina della fede che hanno discusso la questione, sono intervenuti oratori molto ostili all’usus antiquior, come il card. Beniamino Stella, allora Prefetto della Congregazione per il Clero, il virulento card. Marc Ouellet P.S.S., che era Prefetto della Congregazione per i Vescovi, e il card. Giuseppe Versaldi, allora Prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica (responsabile dei seminari). Tuttavia, il card. Pietro Parolin si dimostrò particolarmente determinato e in uno di questi incontri si dice che abbia detto, giocando sul titolo della Santa Messa tradizionale «Messa di sempre»: «Dobbiamo porre fine a questa Messa per sempre!».
Per lui, come per mons. Celestino Migliore, Nunzio apostolico in Francia, che si dice diventerà Segretario di Stato di Papa Parolin (vedi la nostra Lettre 1059 del 27 giugno 2024) [QUI; QUI su MiL: N.d.T.], l’asse della lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes è essenziale per salvaguardare il Concilio Vaticano II. Si può riassumere così: esiste una sola lex orandi corrispondente all’unica lex credendi, quella del Concilio Vaticano II. Sono possibili alcune tolleranze provvisorie e limitate, ma in nessun caso una libertà parallela e concorrente. Più di ogni altra riforma conciliare, quella liturgica è irreversibile.
La logica di questa intransigenza è fondamentalmente il desiderio di spingere i sostenitori della liturgia tradizionale, e soprattutto i sacerdoti ad essa devoti, ai margini e, in ultima analisi, allo scisma: «Lasciateli andare!». Questo rigorismo ideologico non tiene conto della crescente importanza relativa di questa liturgia, anche per la sua fecondità vocazionale. In effetti, nelle Chiese occidentali la liturgia tradizionale è sempre più visibile. Tuttavia, anche la determinazione di ciò che costituisce uno scisma – come era ben noto nell’antichità – ha provvidenzialmente qualcosa di relativo, laddove si finisce per scoprire che lo scomunicatore è in realtà il vero scomunicato. Nel grande vuoto dottrinale che è oggi la Chiesa docente, la Chiesa che dovrebbe insegnare, è certamente esplosivo scontrarsi frontalmente con la Santa Messa tradizionale, che rappresenta la dottrina tradizionale.
"Se una persona va alla Messa in latino e cerca il Signore, e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?"
RispondiEliminaMi sembra che questa ricostruzione -in più puntate- assomigli un po' ad un lavoro di fantasia di qualche vaticanista. Il supporto pare essere in qualche pettegolezzo. Ben di rado un segretario di stato è diventato pontefice e vedo molto difficile che il prossimo sia italiano. Oltretutto non mi sembra una figura carismatica o con così peso in una prospettiva globale.
RispondiEliminaNon condivido. Nei rapporti con la galassia cosiddetta lgbt Parolin non è affatto aperturista e/o liberale. È lontano anni luce da bergoglio e dai suoi favori a queste realtà di corruzione e perversione.
RispondiEliminaHo sentito fargli fare un riferimento al fumo di Satana all'interno della Chiesa.
RispondiEliminapur non essendo un profeta, sono pressochè sicuro che il prossimo Papa non sarà lui (da un certo punto di vista mi ricorda il Card. Casaroli) LUNGA VITA A BERGOGLIO !
RispondiEliminaMi spiegate come fate a credere che tutto ciò abbia qualcosa a che fare con Dio? Questa gente mercanteggia la fede calibrandola in base al consenso interno alla gerarchia, non credendo nel Vangelo ma solo nel loro governo. Come fate voi di questo sito a credere che questa gente sia nella Chiesa cattolica? Svendono la fede, non credono a nulla: pensate che il fato che siano vescovi implichi qualcosa di cattolico? Ma anche gli ortodossi hanno vescovi, ma non sono cattolici!
RispondiEliminaCarrierismo, leccapiedismo, cerchiobottismo , volpesco opportunismo,...lo si chiami pure come si vuole, ma la sostanza non cambia, la magna pars della gerarchia vaticana di contorno s questo papato non pensa al vangelo ne ad amare Cristo in Verità, e Fede ma al proprio posto , prestigio mondano e al proprio tornaconto personale, e come se non bastasse sono ricolmi di modernismo ed ecumenismo cattoprogressistoide da cima a fondo. In poche parole del tutto irrecuperabili, accecati come sono dalla loro orgoglio e arrogante superbia sotto la maschera di un becero buonismo da strapazzo, lupi travestiti da agnelli.
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