Grazie a Gaetano Masciullo per la sua riflessione sull'ultima Lettera del S. Padre ("Lettera del Santo Padre sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa").
Luigi C.
Il Blog di Gaetano Masciullo, 28-11-24
La Lettera del Santo Padre del 21 novembre 2024 sul rinnovamento dello studio della storia della Chiesa offre spunti interessanti, ma al contempo suscita serie perplessità. Papa Francesco pone questioni metodologiche e finalistiche che meritano attenzione, ma le conclusioni rischiano di aprire a derive pericolose per una corretta comprensione della missione della Chiesa nella storia.
Non si può negare che l’invito a studiare le fonti primarie, come la Didaché, la Lettera a Diogneto o gli Atti dei martiri, sia molto prezioso e importante. Troppo spesso, in effetti, i seminari e le università cattoliche si limitano a manuali e sintesi teologiche, senza mettere gli studenti in contatto diretto con le fonti. Questo crea una comprensione superficiale e impoverita della storia ecclesiale, priva del suo dinamismo e della sua ricchezza spirituale. Ci sono però seri punti critici all’interno delle direttive di Francesco che meritano di essere analizzate e approfondite.
Tra le affermazioni più controverse della Lettera vi è il riferimento a una presunta “memoria penitenziale” che i cattolici dovrebbero esercitare, e sul rischio di un “monofisismo ecclesiologico”, un concetto che Papa Francesco attribuisce a un presunto grande teologo francese (di cui, curiosamente, non si riportano le fonti: sospettiamo sia Henri de Lubac oppure Jean Daniélou). Se da un lato è giusto riconoscere le debolezze umane presenti nella Chiesa, dall’altro è pericoloso insistere su un’autocritica che rischia di oscurare la dimensione divina e trionfante della Chiesa stessa. Così scrive Francesco: “Secondo una tradizione orale, che non posso confermare con fonti scritte, un grande teologo francese diceva ai suoi allievi che lo studio della storia ci protegge dal monofisismo ecclesiologico, cioè da una concezione troppo angelica della Chiesa, di una Chiesa che non è reale perché non ha le sue macchie e le sue rughe”.
Lo studio della storia ecclesiastica non può, del resto, neanche ridursi a una mera analisi delle “macchie e rughe” della Chiesa. Al contrario, deve anzitutto evidenziare il suo ruolo salvifico nella storia, il suo trionfo sulle eresie e la sua missione di guida dell’umanità. È altresì fuorviante associare lo studio storico alla denuncia delle “ideologie dominanti” senza indicare chiaramente quali esse siano: il rischio è di lasciare spazio a interpretazioni secondo lo spirito del tempo, piuttosto che alla luce della verità cattolica. Lo storico cattolico, infatti, non può e non deve essere neutrale: la storia è un’arte interpretativa, ermeneutica, influenzata da una certa visione del mondo. Chi pretende di fare una storia “oggettiva” senza alcuna visione è spesso intrappolato nelle ideologie che egli stesso critica. La neutralità è spesso una maschera dietro cui si cela la storiografia marxista, “wokista” o psicanalitica, oggi tanto in voga negli ambienti accademici.
La vera storia della Chiesa non può essere un esercizio di pentimento e condanna morale verso l’istituzione fondata da Gesù Cristo, ma una testimonianza del trionfo della verità divina nella storia umana. Non possiamo dimenticare, per esempio, che le eresie sono state sconfitte dalla Chiesa per volontà di Dio. Rimuovere l’elemento apologetico dalla storia significa tradire la sua natura e finalità. L’apologetica non è una deformazione, ma un dovere del cattolico, anche quando studia la storia della Chiesa, e anzi sopratutto in essa, perché è nella propria storia che la Chiesa manifesta la sua natura di unica autorità, cioé sorgente di diritto e di verità nel mondo.
Il cattolico ha il dovere di mettere in luce il trionfo della Chiesa contro le eresie, perché tali vittorie non sono semplicemente eventi storici, ma manifestazioni della provvidenza divina nella storia. Gli eretici sono stati sconfitti non solo dalla Chiesa militante, ma anche dalla storia stessa, che ha rivelato la sterilità e la distruttività delle loro dottrine. Questo perché l’eresia, opponendosi alla verità rivelata, introduce disordine nell’anima e, di conseguenza, nella società, essendo all’origine di divisioni, conflitti e degrado morale. Anche il disordine sociale contemporaneo, che Papa Francesco denuncia con forza, ha le sue radici in ultima istanza nella perdita della regalità sociale di Cristo. Dove Cristo non regna, si moltiplicano le ideologie che disgregano la società, privandola del suo fondamento spirituale e morale. Riconoscere e proclamare le vittorie della Chiesa è dunque un atto di fedeltà alla verità e di speranza per il rinnovamento del mondo.
Pertanto, l’idea di Francesco secondo la quale “anche nella storia delle sue sofferenze la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall’opposizione di quanti la avversano o la perseguitano”, è condivisibile solo a metà: se è vero che le persecuzioni portano giovamento (il sangue dei martiri è il seme dei cristiani), non è però vero che chi avversa la Chiesa porta giovamento, ma solo confusione e dolore a Dio e all’uomo, perché l’eretico cerca di separare quella tunica “cucita tutta di un pezzo” che è simbolo dell’unità della Chiesa stessa. L’eresia, pertanto, è e deve essere giustamente la “grande esclusa” della storia.
Nelle università sedicenti cattoliche e nei seminari, il rischio di un’eccessiva trionfalizzazione storica o apologia della storia della Chiesa non esiste più da tempo. Al contrario, assistiamo a una deformazione sistematica della narrazione storica, che tende a minimizzare le glorie della Chiesa e ad esaltare le sue debolezze, frutto dello spirito post-conciliare che ancora domina molti ambienti accademici e formativi. In questo contesto, desta preoccupazione la possibilità che il contenuto della lettera del Santo Padre venga strumentalizzato da coloro che invocano una “riforma” – in realtà, una rivoluzione – della struttura e persino della natura della Chiesa cattolica. Questi falsi riformatori usano spesso la retorica del ritorno alla “Chiesa delle origini” per giustificare cambiamenti dottrinali e istituzionali che nulla hanno a che fare con la fedeltà alla Tradizione. Bisogna ricordare, tuttavia, che un organismo non è maturo alla nascita, ma cresce e si sviluppa nel tempo. La Chiesa dell’età subapostolica, pur identica nella sua essenza a quella odierna, rappresentava una fase iniziale del suo cammino. La sua maturità si è consolidata nei secoli attraverso la difesa e lo sviluppo autentico della stessa identica verità divina, immutabile e salvifica. Tornare esclusivamente alle origini significa ignorare il piano divino di crescita e perfezionamento della Chiesa nella storia.
Anche l’accusa che il papa muove di “ancillarità” della storia della Chiesa verso la teologia potrebbe essere discutibile. La storia della Chiesa, per essere compresa, deve essere letta alla luce della sua missione divina, e quindi non può essere separata dalla teologia. La storia della Chiesa può contribuire all’ecclesiologia, ma solo se quest’ultima rimane fedele al deposito della fede, senza scivolare in una visione puramente sociologica.
In conclusione, la Lettera di Papa Francesco offre spunti validi, ma soffre di un’impostazione che sembra piegarsi alle mode intellettuali contemporanee (come al solito), anziché resistervi. La storia della Chiesa non deve essere un esercizio di masochismo istituzionale, ma una proclamazione del ruolo salvifico della Sposa di Cristo nella storia. Se si perde di vista questa finalità, il rischio è di cadere in una visione relativista e autoreferenziale, che tradisce la missione della Chiesa stessa.