Grazie al Maestro Porfiri per queste utili riflessioni sul monachesimo.
Luigi C.
Aurelio Porfiri, 18-11-24
I miei amici di Hong Kong mi chiesero di trovare, per un loro pellegrinaggio, un Monastero benedettino dove si esegue il canto gregoriano, possibilmente a Roma o nei dintorni. Certamente ce ne saranno, ma confesso che le mie prime indagini in questo senso sono state infruttuose. In molti Monasteri si è persa questa caratteristica così importante, quella del pregare con il canto liturgico per eccellenza. Ma il problema non è solo collegato ad un rifiuto del canto stesso, che probabilmente in alcuni casi proprio non c’è, ma al fatto che molti Monasteri hanno anche pochissimi monaci. In alcune Abbazie un tempo gloriose, siamo proprio ai minimi termini.
Mi è venuto da pensare ai monaci considerando la vita di Sant’Oddone di Cluny (879-943), monaco e grande riformatore. Fu successore di Bernone, fondatore dell’Abbazia di Cluny, divenendo secondo abate di questa fondazione. Fu grande riformatore, come detto, facendo diventare Cluny una sorta di casa madre di quello che sarebbe stato poi considerato quasi un impero monastico.
Nella Udienza Generale del 2 settembre 2009, Benedetto XVI diceva questo su Oddone:
“In un passo di un sermone in onore di Maria di Magdala l’abate di Cluny ci rivela come egli concepiva la vita monastica: “Maria che, seduta ai piedi del Signore, con spirito attento ascoltava la sua parola, è il simbolo della dolcezza della vita contemplativa, il cui sapore, quanto più è gustato, tanto maggiormente induce l’animo a distaccarsi dalle cose visibili e dai tumulti delle preoccupazioni del mondo” (In ven. S. Mariae Magd., PL 133,717). E’ una concezione che Oddone conferma e sviluppa negli altri suoi scritti, dai quali traspaiono l’amore all’interiorità, una visione del mondo come di realtà fragile e precaria da cui sradicarsi, una costante inclinazione al distacco dalle cose avvertite come fonti di inquietudine, un’acuta sensibilità per la presenza del male nelle varie categorie di uomini, un’intima aspirazione escatologica. Questa visione del mondo può apparire abbastanza lontana dalla nostra, tuttavia quella di Oddone è una concezione che, vedendo la fragilità del mondo, valorizza la vita interiore aperta all’altro, all’amore del prossimo, e proprio così trasforma l’esistenza e apre il mondo alla luce di Dio”.
Papa Benedetto così proseguiva poco più avanti:
“Era austero, ma soprattutto era buono, un uomo di una grande bontà, una bontà che proviene dal contatto con la bontà divina. Oddone, così ci dicono i suoi coetanei, effondeva intorno a sé la gioia di cui era ricolmo. Il suo biografo attesta di non aver sentito mai uscire da bocca d’uomo “tanta dolcezza di parola” (ibid., I,17: PL 133,31). Era solito, ricorda il biografo, invitare al canto i fanciulli che incontrava lungo la strada per poi far loro qualche piccolo dono, e aggiunge: “Le sue parole erano ricolme di esultanza…, la sua ilarità infondeva nel nostro cuore un’intima gioia” (ibid., II, 5: PL 133,63). In questo modo il vigoroso ed insieme amabile abate medioevale, appassionato di riforma, con azione incisiva alimentava nei monaci, come anche nei fedeli laici del suo tempo, il proposito di progredire con passo solerte sulla via della perfezione cristiana”.
Fu teologo ed autore di numerosi testi, anche nel campo della teoria musicale per cui è oggetto anche di considerazione da parte dei musicologi. Egli ci insegna che riformare non vuol dire rivoluzionare, ma significa “formare un’altra volta” con il materiale che già si ha a disposizione, per trovare nuove prospettive che non vadano lontano dalla Tradizione, ma solo più in profondità. In questo seguiva l’aureo principio che recita: nihil innovetur nisi quod traditum est, cioè che nulla deve essere rinnovato se non è rinnovato nel senso della tradizione.
Ricordiamo che tanti monaci come Oddone, sono dietro a molte delle glorie della nostra civiltà Cristiana. Un Libro di Thomas E. Woods Jr. si chiama How the Catholic Church has built Western Civilization. Questa è una realtà che anche un nemico implacabile del Cattolicesimo difficilmente può negare: dobbiamo a stuoli di Cattolici - papi, cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche, monaci - gran parte di ciò che ammiriamo nella nostra civiltà e che stiamo, con molto impegno bisogna dire, distruggendo. Nel terzo capitolo del suo libro, Woods parla di come i monaci hanno salvato la civilizzazione occidentale (che vuole dire anche l’eredità greca), ma anche di come essi ne abbiamo permesso il progresso, attraverso non solo la preghiera ma anche l’applicazione di nuove tecniche agricole, industriali e artigianali che hanno portato un avanzamento impressionate in molti campi. Non dimentichiamo poi il loro ruolo nel proteggere la santa liturgia e il lavoro di restaurazione del canto gregoriano nei due secoli trascorsi. Un lavoro imponente e altamente meritorio.
Insomma, vediamo nella presente crisi del monachesimo anche in nuce le ragioni della crisi della nostra civiltà, le radici della crisi della Chiesa. Che Dio susciti presto un altro Oddone, un altro Benedetto, un altro Antonio e che la preghiera incessante che si innalzerà ancora da tanti Monasteri possa essere frumento di un rinnovato cristianesimo e di una più intensa vita spirituale.