Grazie al prof. Roberto de Mattei per queste utili riflessioni.
Luigi C.
ROBERTO DE MATTEI, 27-5-24
La scorsa settimana ho parlato su RadioRomaLibera dell’arte di utilizzare le proprie colpe secondo l’insegnamento di san Francesco di Sales (https://www.radioromalibera.org/larte-di-utilizzare-le-proprie-colpe/). Ma quest’arte, questo atteggiamento spirituale che ci aiuta a vincere lo scoraggiamento dopo le nostre cadute, presuppone la pratica di un sacramento oggi molto trascurato: quello della penitenza. Oggi nelle chiese si formano lunghe file al momento della comunione, ma non ci sono file ai confessionali. La confessione è accantonata perché si è perduto non solo il senso del peccato, ma anche il sentimento di un Dio che giudica le nostre colpe. La comunione è vista come un atto collettivo, che ci mette in sintonia con la comunità cristiana, mentre la confessione sembra essere un sacramento privo della dimensione comunitaria, perché è intesa, riduttivamente, come l’incontro con un singolo uomo, il sacerdote, in cui si fatica a riconoscere il rappresentante di Dio. Il fatto che i sacerdoti spesso ricevano i penitenti fuori dal confessionale, in maniera amichevole e colloquiale, favorisce questa interpretazione umana, più che divina, del sacramento.
Per questo alcune verità di fondo vanno ricordate. La penitenza o confessione è il sacramento istituito da Gesù Cristo per rimettere i peccati commessi dopo il battesimo. Mediante il battesimo il peccato originale viene distrutto e il Regno di Dio si stabilisce nell’uomo. Ma la ferita del peccato originale rimane e per la debolezza del suo cuore e della sua carne l’uomo di fatto soccombe continuamente al male. Nessuno pensi di essere senza peccato. San Giovanni afferma: se, come fanno gli eretici anticristiani, i quali si dichiarano immuni da ogni peccato, affermiamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi (1 Gv. 1, 8). Nella Chiesa esistono i peccatori, ma la Chiesa in sé non è peccatrice, è sempre, in sé, santa ed immacolata.
Gesù Cristo ha dato ai sacerdoti il potere di rimettere i peccati e di restituire davanti al suo tribunale la grazia perduta. La penitenza è il tribunale di Cristo, di cui il confessore fa le veci (Gv, 20, 22-23). E’ però un tribunale di misericordia, l’unico in cui si assolve sempre il reo.
Tuttavia sarebbe un errore pensare che il fine della confessione sia unicamente quello di assolverci dai peccati commessi. Il sacramento della penitenza ha un grande valore sostanziale ed una straordinaria efficacia per lo sviluppo della vita cristiana (Antonio Royo Marin, Teologia della perfezione cristiana, Paoline, Roma 1963, pp. 530-521). Esso infatti sviluppa lo spirito di penitenza, che è indispensabile nella vita cristiana di ogni giorno.
Lo spiritò di penitenza è una virtù soprannaturale per cui ci pentiamo dei peccati commessi con l’intenzione di rimuoverli dall’anima. Con questo spirito l’uomo cerca di aderire in modo più vivo alla gloria di Dio, che si fonda sulla morte e sulla risurrezione di Cristo. Ci sono molte forme di penitenza, ma la più alta e la più efficace è quella sacramentale. Essa tuttavia non va isolata come un atto a sé stante, ma deve essere considerata come il coronamento di uno spirito che deve pervadere la vita di ogni cristiano. Il sacramento della penitenza è l’istituzione voluta da Dio per la pratica della penitenza. L’istituzione presuppone l’esistenza della pratica di una virtù. Questa virtù, a sua volta, trova espressione nel sacramento.
La penitenza presuppone il pentimento dei propri peccati. Il Concilio di Trento definisce il pentimento «un dolore dell’anima e una detestazione del peccato commesso con il proposito di non più peccare» (Sess. 14, cap. 4). Questo pentimento costituisce uno degli elementi necessari alla validità della confessione. Il sacramento della penitenza, oltre a lavarci dai nostri peccati, aumenta notevolmente le forze dell’anima, dandole energie per vincere le tentazioni e fortezza per il compimento del dovere. Siccome queste forze tendono a indebolirsi, è necessario rinnovarle con la confessione frequente.
La comunione frequente è una pratica encomiabile, ma non può essere separata dalla confessione frequente, anche dei soli peccati veniali. Per questo la Madonna a Fatima chiese a suor Lucia che la comunione riparatrice dei primi sabati del mese fosse preceduta o seguita, nello spazio di una settimana, dalla confessione.
Pio XII nella enciclica Mystici Corporis del 29 giugno 1943 ha confutato le false asserzioni di coloro che negano l’utilità della confessione frequente dei peccati veniali. “E’ vero – dice il Papa – che in molte lodevoli maniere possono espiarsi questi peccati, ma per un più spedito progresso nel quotidiano cammino della virtù, raccomandiamo sommamente quel pio uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, della confessione frequente, con cui si aumenta la retta conoscenza di sé stesso, cresce l’umiltà cristiana, si sradica la perversità dei costumi, si resiste alla negligenza e al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e aumenta la grazia in forza dello stesso sacramento”.
Il sacramento della penitenza è un’arma di battaglia per il militante cattolico. Il suo significato infatti, è di esser in particolar modo un sacramento contro il peccato (Michael Schmaus Dogmatica cattolica, vol. IV/1, Marietti, Torino 1966, p. 481).
Solo accettando questo combattimento contro il mondo, il demonio e la carne (Ef 6, 10-12), potremmo comprendere il significato della visione del Terzo Segreto di Fatima. I pastorelli videro «al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un Angelo con una spada di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incendiare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava dalla sua mano destra verso di lui: l’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza!»