QUI MiL sui martiri ugandesi che morirono per combattere il vizio tremendo dell'omosessualità: "Dedicato alla lobby gay nella Chiesa: San Carlo Lwanga e compagni".
Ad oggi molti vescovi hanno già dichiarato che non applicheranno il documento vaticano, lo vietano ai loro sacerdoti e rifiutano di impartire le benedizioni indicate dalla Fiducia Supplicans:
Luigi C.
TFP, Raffaele Citterio
Lo scorso lunedì 3 giugno abbiamo celebrato la festa liturgica di San Carlo Lwanga e compagni, martiri della Fede e della purezza.
Nato nel 1865 a Bulimo, attuale Uganda, Carlo entrò a far parte della Corte del Re di Buganda Mwanga II, diventando in poco tempo capo dei paggi. Fu ucciso assieme a un gruppo di ventidue suoi coetanei durante le persecuzioni anticristiane del 1886, particolarmente per essersi rifiutato di accondiscendere ai desideri omosessuali del re, un pedofilo seriale. Durante il suo incarico in Corte, il giovane Carlo Lwanga si prodigava per proteggere i ragazzi a lui affidati dalle attenzioni morbose del re, conducendo molti di loro alla conversione. Mentre veniva bruciato, egli si rivolse al Re: «È come se mi stessi versando dell’acqua addosso. Per favore, pentiti e diventa cristiano come me». San Carlo aveva 21 anni. Il più giovane, San Kizito, era appena quattordicenne.
Beatificati nel 1920 da papa Benedetto XV, Carlo Lwanga e compagni sono stati proclamati santi da papa Paolo VI nel 1964. In loro onore è stata eretta la Basilica dei Santi Martiri Ugandesi, a Namugongo.
Ogni anno, in occasione della loro festa liturgica, il 3 giugno, si realizza un grande pellegrinaggio nazionale al Santuario, organizzato a turno dalle varie diocesi del Paese. Il pellegrinaggio di quest’anno, affidato alla Diocesi di Nebbi, ha avuto un significato del tutto eccezionale. Da una parte, si celebravano i sessant’anni della canonizzazione. Dall’altra, c’era nell’aria un clima di effervescenza per le recenti polemiche attorno alla dichiarazione Fiducia Supplicans, del Dicastero per la Dottrina della Fede, nettamente stroncata dai vescovi del continente africano.
Ricordiamo che, all’indomani della pubblicazione della Fiducia Supplicans, che autorizza la benedizione sacerdotale alle coppie irregolari, compresse quelle omosessuali, le conferenze episcopali dell’Africa sub-sahariana hanno emesso comunicati respingendo il documento del Vaticano. Questo rigetto è stato di seguito ratificato dal Simposio delle Conferenze Episcopali dell’Africa e del Madagascar (SECAM), durante il quale il cardinale Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa e presidente del SECAM, dichiarò: “La Fiducia Supplicans in Africa è morta!”.
“Noi vescovi africani non riteniamo opportuno che l’Africa benedica le unioni omosessuali o le coppie dello stesso sesso, perché ciò creerebbe confusione”, leggiamo nel Comunicato del SECAM, “quindi non ci sarà alcuna benedizione per le coppie dello stesso sesso nelle Chiese africane”.
La reazione di Francesco è stata, a dir poco, sconcertante: ha qualificato gli africani di “culturalmente arretrati”. Ecco le sue parole: «Un caso a parte sono gli africani: per loro l’omosessualità è qualcosa di ‘brutto’ dal punto di vista culturale, non la tollerano». Insomma, gli Africani sarebbero culturalmente così arretrati da non tollerare l’omosessualità!
I vescovi africani non si sono lasciati intimidire, anzi, hanno ribadito la propria posizione, spiegata nero su bianco dal cardinale Robert Sarah, nel suo ormai storico discorso ai vescovi del Camerun: “Alcuni, in Occidente, hanno voluto far credere che voi abbiate agito nel nome di un particolarismo culturale africano… Alcuni hanno affermato, in una logica di neocolonialismo intellettuale, che gli africani non erano ‘ancora’ pronti a benedire le coppie omosessuali per delle ragioni culturali. Come se l’Occidente fosse più avanti degli africani arretrati. No! Voi avete parlato per tutta la Chiesa nel nome della verità del Vangelo e per la dignità umana e la salvezza di tutta l’umanità in Gesù Cristo. Avete parlato nel nome dell’unico Signore, dell’unica fede della Chiesa”.
Questo era il clima rovente che tirava in Africa alla vigilia della festa liturgica di San Carlo Lwanga e compagni martiri, che hanno testimoniato col proprio sangue la malvagità intrinseca degli atti omosessuali e, quindi, la totale contrarietà della condotta cristiana riguardo a tali deviazioni.
Gli africani non si sono lasciati sfuggire l’occasione. In un evento forse senza precedenti, una folla calcolata dalle agenzie di notizie in oltre quattro milioni di persone ha partecipato alle celebrazioni al Santuario di Namugongo. Per accogliere la folla, le autorità hanno dovuto usare un’isola artificiale a qualche centinaia di metri dalla basilica. Il pellegrinaggio è stato favorito anche dal clima mite.
Oltre ai fedeli ugandesi, c’erano pellegrini del Sud Sudan, Kenya, Rwanda, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Camerun, Botswana e Africa del Sud. Fra le autorità che hanno partecipato alla Santa Messa, celebrata da mons. Raphael p’Mony Wokorach, vescovo uscente di Nebbi e Metropolita eletto di Gulu, c’era anche il Presidente Yoweri Museveni.
Il senso di un tal “bagno di folla” non sfugge a nessuno: i fedeli africani stanno con i loro vescovi nella difesa della legge naturale e contro ogni tentativo di indebolire il Magistero o la pastorale della Chiesa in un tema così delicato come quello dei rapporti fra persone dello stesso sesso.
Papa Francesco dice che vuole una “chiesa povera per i poveri”, in cui “i pastori devono avere l’odore di pecora”. Speriamo che l’“odore” di questi quattro milioni di fedeli, rappresentanti del continente più povero, arrivi alle stanze di Santa Marta.
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