Leggo sul nostro blog dell’ultima intervista papale: «La Chiesa deve cambiare. Pensiamo a come è cambiata dal Concilio a oggi e a come deve continuare a cambiare, per proporre una verità immutabile. Cioè, la rivelazione di Gesù Cristo non cambia, i dogmi della Chiesa non cambiano, crescono e si nobilitano come la linfa di un albero. Chi non segue questo cammino, segue un cammino che fa passi indietro, un cammino che si chiude su sé stesso. I cambiamenti nella Chiesa avvengono all'interno di questo flusso identitario della Chiesa. E deve continuare a cambiare lungo il cammino, man mano che si affrontano le sfide. Per questo il nucleo del cambiamento è fondamentalmente pastorale, senza rinnegare l'essenza della Chiesa».
Sembrerebbero dichiarazioni rassicuranti per tutti, “progressisti” (La Chiesa deve cambiare. Pensiamo a come è cambiata dal Concilio a oggi e a come deve continuare a cambiare…), e conservatori (…per proporre una verità immutabile. Cioè, la rivelazione di Gesù Cristo non cambia, i dogmi della Chiesa non cambiano…). Insomma: la teoria (cioè la dottrina) non cambia, resta perennemente la stessa; ma cambiano il modo in cui essa si traduce nella pratica, il modo in cui viene compresa, crescendo e nobilitandosi, la prassi pastorale.
Tutto a posto, dunque?
Forse no, perché se i contenuti della teoria (leggi: della dottrina) sembrano resistere, muta sostanzialmente il peso e il ruolo della teoria in quanto tale, quali ne siano i suddetti contenuti: muta il suo rapporto con la prassi, cioè con la pastorale. Nell’intervista questo tema viene affrontato più implicitamente che esplicitamente, sottolineando soprattutto l’importanza e la radicalità del cambiamento; ma la questione può e deve essere compresa allargando lo sguardo a tutto ciò che viene detto e fatto, nella Chiesa e dai suoi vertici, ormai da quasi un decennio a questa parte.
In particolare, ci è stato ripetutamente spiegato, soprattutto a partire da Amoris Laetitia, che la teoria non è più il criterio orientativo dell’azione, stabilito una volta per tutte, perché, al contrario, l’azione deve trovare in se stessa e solo in se stessa la propria giustificazione: teoria e prassi diventano variabili indipendenti, viaggiano su piani distinti e non comunicanti, ai quali non si applica il principio delle convergenze parallele.
Come segnala LifeSiteNews (ved. anche qui, su MiL), il Card. Lacroix ha dichiarato espressamente pochi giorni fa che «l’obiettivo del sinodo, come sapete, non è quello di affrontare aspetti dottrinali, ma di esaminare i nostri atteggiamenti e il nostro modo di discernere, di imparare a camminare insieme, e una volta tornati a casa potremo affrontare tutte queste questioni. (…) Questo non è un sinodo dottrinale». D’altra parte, richiesto di pronunziarsi in merito, anche il card. Hollerich aveva chiarito che al Sinodo non si parla di dottrina, l’assise non ha lo scopo di cambiarla, essa resterà intonsa; nel Sinodo si deciderà come accogliere, includere, ecc. ecc.. Accogliere e includere chi? Tutti coloro che indossano l’abito nuziale? O anche, forse soprattutto, coloro che non lo portano, la cui condizione non è conforme alla dottrina? E, in quest’ultimo caso, a che scopo? Per conformarli ad essa? Cioè, detto in tradizionalese: per convertirli? O per accoglierli a prescindere dalla valutazione dottrinale del loro status, nonostante essi vi persistano, e per permettere che vi persistano?
Al fondo di tutto ciò, si colloca il principio per cui la dottrina attiene alla teoria, è un gioco intellettuale, mentre a noi dovrebbe interessare la pratica (si dice anche “la vita vera delle persone”), per la quale la dottrina deve essere, in sostanza, irrilevante. Sicché chi la invochi come parametro inderogabile dell’azione e del giudizio, la sta usando come “pietra scagliata addosso alle persone” (slogan un po’ passato di moda, ma sempre attuale…), e diventa uno sterile ideologo (ove per ideologo intendesi chi vuole orientare la propria azione in base a principi razionalmente riconoscibili e riconosciuti a priori). Per chi ragiona come il card. Hollerich - e, pare, non solo come lui - il dato sostanziale è sempre superiore agli arzigogoli mentali nei quali cerchiamo di costringerlo, elaborando dottrine e teorie inevitabilmente inadeguate, che esprimono solo la nostra provvisoria e illusoria conoscenza piuttosto che la pienezza della verità, che, in definitiva, ci è preclusa. Di fronte alla prassi, l’idea, cioè la dottrina, conta poco o niente…. Siccome, poi, la prassi è per sua natura mutevole, in quanto va sempre adattata alla più cangiante contemporaneità, chiunque si richiami alla dottrina diventa anche indietrista, perché tra le caratteristiche della dottrina come astratta ed immobile c’è anche quella di essere strutturalmente in ritardo sullo sviluppo della storia (penso che questa idea sappia di storicismo, ma non sono un esperto della materia…).
È come se si dicesse: la matematica non cambia, per cui 10 meno 4 fa sempre 6. Però se tizio deve pagarmi 4 euro, mi consegna una banconota da 10 e devo dargli il resto, poiché la matematica resta confinata sul piano della pura teoria e non ha alcuna attinenza con la pratica, io posso tranquillamente rendergli 2, 5, 7 o 8 euro, o nulla del tutto, a seconda di quanto ritenga momentaneamente utile, giusto o comodo.
E così, alla fine, anche il dato dottrinale diventa prassi: prassi ermeneutica. La stessa immutabile dottrina cambia, eccome se cambia! Che significa, infatti, che la comprensione della rivelazione, del dogma si evolve, si sviluppa, cresce e si nobilita ecc. ecc. – altro tema ricorrente, da ultimo particolarmente caro al nuovo prefetto del Dicastero per la dottrina della fede?
Mettiamola in questi termini: ogni mattina ci svegliamo, e vediamo il sole sorgere ad oriente, percorrere il cielo, e la sera tramontare ad occidente. Lo vediamo così nel 2023, lo vedevano così nel 1023, e anche nel 1023 avanti Cristo. Possiamo ritenere certo che lo vedranno ancora così nel 3023, se nel frattempo non sarà sopraggiunta l’apocalisse.
Nel 1023, per scegliere una data del passato, questo fenomeno veniva compreso secondo il modello tolemaico: terra al centro, sole orbitante attorno a lei. Poi arriva Copernico, e la comprensione ne cambia radicalmente: sole al centro, terra orbitante attorno a lui. In seguito ci sono stati ulteriori sviluppi, ma non è di astronomia che vogliamo parlare.
Ebbene: possiamo dire che tra ciò che, vedendo esattamente lo stesso fenomeno (cioè, quanto alla fede: considerando esattamente lo stesso dato rivelato, lo stesso contenuto dottrinale, lo stesso dogma), ne percepivano gli osservatori del 1023, e ciò che ne percepiamo noi c’è solo una variazione accidentale? Che vediamo la stessa cosa, ma ne è “solo” cambiata la comprensione? Certo, possiamo dirlo. E, dicendolo, diciamo che tra noi e gli osservatori di mille anni fa c’è una frattura incomponibile, che apparentemente vediamo lo stesso fenomeno, ma in realtà, comprendendolo diversamente, ne vediamo un altro. Nel 1023 vedevano il sole muoversi, nel 2023 vediamo il movimento della terra. Che vedranno nel 3023?
Quando ci dicono che la dottrina non cambia, ma ne cambia evolutivamente la comprensione, ci stanno dicendo qualcosa di simile: ci stanno dicendo che la dottrina “nuovamente” compresa non è più quella del passato, e non è ancora quella del futuro, che risulterà dai processi avviati oggi e poi da quelli che verranno avviati domani e posdomani, e così via.
Si dovrebbe considerare che un’innovazione, per essere “solo” un mutamento di comprensione senza alterazione del contenuto, deve comportare che l’oggetto permanga inteso eodem sensu eademque sententia (non mi ci soffermo ulteriormente, perché confido che i miei venticinque lettori lo sappiano): ma per i sostenitori della comprensione evolutiva la cosa non ha alcun senso, perché per loro l’evoluzione consiste proprio nel non lasciarsi imbrigliare dall’eodem sensu eademque sententia, in un quadro in cui - come ha detto recentemente p. Robert Sirico a Edward Pentin, dopo aver ricordato le gravi preoccupazioni del Card. Pell – «se si può dire che qualsiasi cosa può diventare qualsiasi cosa, se non si hanno garanzie su quello che è lo sviluppo di una dottrina, allora lo Spirito Santo può dirvi qualcosa nel primo secolo e dirvi il contrario nel secondo, nel terzo o nel ventunesimo secolo» (la traduzione è mia).
Sicché, per fare un ennesimo esempio, un evoluzionista può dirci senza esitazione che la S. Eucarestia resta il sacramento dei vivi - vivi alla Grazia, s’intende; ma poi che oggi comprendiamo che tra questi vivi vanno inclusi anche i morti viventi, cioè quegli zombies spirituali i quali, dopo adeguato discernimento, si scoprono ossi troppo duri per aprirsi completamente alla Grazia e, così, manco ci provano. In effetti, non è questo il succo del famoso cap. VIII di Amoris Laetitia? Sicché non stupisce che, come riferisce Michael Haynes in un suo tweet del 9 ottobre, il Card. Hollerich avrebbe dichiarato, nel breefing sinodale di quel giorno, che «in profonda comunione con il Padre attraverso lo Spirito Santo, Gesù ha esteso questa comunione a tutti i peccatori. Siamo pronti a fare lo stesso? Siamo pronti a farlo con gruppi che potrebbero irritarci perché il loro modo di essere sembra minacciare la nostra identità? Todos... tutti... Se ci comportiamo come Gesù, testimonieremo l'amore di Dio per il mondo. Se non lo facciamo, sembriamo un club identitario» (la traduzione è mia).
Infine, mi sembra che questa “nuova” considerazione della dottrina, come cosa con la quale o senza la quale si resta tale e quale, insieme alla completa svalutazione del principio di non contraddizione, stia anche alla base delle risposte tutt’altro che pertinenti che si danno oggi a dubia e perplessità vari.
Ecco, questa è la Chiesa sinodale: secondo Hannah Brockhaus, lo scorso il 18 ottobre, padre Dario Vitali – che partecipa al Sinodo quale Coordinatore degli Esperti teologi - avrebbe sostenuto, in una relazione teologica presentata ai delegati, che quando raggiungeremo il consenso sul fatto che la Chiesa è costitutivamente sinodale, dovremo ripensare l'intera Chiesa, tutte le istituzioni, l'intera vita della Chiesa in senso sinodale. Un ripensamento - conclude chi scrive - che non potrà non coinvolgere la dottrina, la sua comprensione e la sua traduzione “nella vita concreta delle persone”.
Auxilium Christianorum, ora pro nobis!
Enrico Roccagiachini