Sembra di essere oggi nel disastro degli uomini della Chiesa di oggi.
"In nome della pace della Chiesa e dell’Impero, in nome della comunione tra i vescovi, la verità veniva calpestata, Cristo sacrificato, il giusto Atanasio condannato, i vescovi ortodossi esiliati e perseguitati. Se ne trovarono solo cinque, oltre ad Atanasio, che resistettero, insieme ad un pugno di chierici e di anonimi laici, che si ritrovarono senza i propri pastori e con le sedi episcopali occupate da ariani o da vescovi, che, pure non essendo ariani, avevano accettato di aderire alle loro trame o avevano ceduto alla minaccia imperiale. Ma a Dio bastò questo piccolo numero, per rovesciare l’empietà e ridare vigore alla sua Chiesa".
QUI i nostri post e la rassegna stampa sui Dubia dei 5 cardinali sugli errori del Sinodo.Luigi
Luisella Scrosati, La Nuova Bussola Quotidiana, 8-10-23
La crisi ariana non rimase nel campo puramente teologico: presto, con l'imperatore Costanzo, si passò a perseguitare ed esiliare quanti non accettavano le formulazioni anti-nicene. A resistere, con S. Atanasio, furono una manciata di vescovi, ma a Dio bastò questo piccolo resto...
Lo stratagemma omeista (vedi qui), architettato soprattutto da Acacio, vescovo di Cesarea (+ 366), successore di Eusebio in quella sede, aveva avuto lo scopo di guadagnare appoggi sia tra i cattolici d’Occidente che tra i semi-ariani d’Oriente. L’idea di una formula che fosse più scritturistica, scevra da qualsiasi terminologia della metafisica greca, appariva come particolarmente ragionevole. L’idea del Figlio simile in tutto al Padre si mostrava più elastica e, di per sé, non contraddittoria rispetto all’homousion del Concilio di Nicea. Di fatto, si trattava però di rifiutare la formula del Concilio; tant’è vero che, oltre all’accettazione della nuova formula, veniva richiesto di sottoscrivere la condanna di sant’Atanasio, che dell’homousion era di fatto divenuto il difensore principale. Tanto più che la propaganda ariana presentava il termine niceno come una formulazione che favoriva l’eresia in senso sabelliano, ossia un’eresia che non manteneva la chiara distinzione tra il Padre e il Figlio. Atanasio poi veniva accusato di ogni genere di nefandezza.
Si evidenzia quanto affermavamo in conclusione del precedente articolo: la crisi ariana è stata in fondo uno scontro sull’interpretazione della formulazione nicena. Quelli che per comodità chiamiamo “atanasiani” non facevano altro che difendere l’interpretazione ortodossa della formula nicena: il Figlio è della stessa sostanza del Padre, ma non è il Padre. Sul fronte dell’“ermeneutica della rottura” del tempo, abbiamo due schieramenti: da un lato quelli che volevano respingere quella formula, perché non volevano affermare che il Figlio e il Padre sono uno nella sostanza divina; dall’altro, quelli che sostenevano che quella formula non era sufficientemente precisa per frenare lo scivolamento interpretativo in direzione sabelliana, ossia era ritenuta incapace di mantenere la distinzione tra il Padre e il Figlio.
Quest’ultimo schieramento poté ben presto ricevere ‒ ed esibire ‒ una formidabile “conferma” alla propria tesi. Uno dei grandi campioni della definizione nicena, Marcello, vescovo d’Ancira (285-374 ca), antiariano fino al midollo, finì precisamente per sostenere una tale unità sostanziale del Padre e del Figlio da non riuscire più a scorgerne la distinzione. E lo fece sulla base della sua interpretazione del Concilio di Nicea. I cattolici, nonostante le posizioni di Marcello fossero più che sospette, cercarono di difenderlo e lo reintegrarono nella sede episcopale di Ancira, dopo che era stato deposto dall’ariano Eusebio di Nicomedia. Ma alla fine dovettero lasciarlo andare per la propria strada, divenuta ormai sempre più chiaramente indifendibile. La sua dottrina venne definitivamente condannata dal canone 8 del Tomus Damasi del Sinodo di Roma (382).
Anche un discepolo di Marcello di Ancira, il vescovo di Sirmio, Fotino (+376) era un vescovo ritenuto di parte nicena, ma cadde in un’eresia simile a quella del suo maestro. Si trattava di ghiotte occasioni per diffamare i cattolici e cercare di piazzare vescovi ariani sulle sede episcopali; decisamente dei colpi dolorosi in una situazione già molto critica per i sostenitori della posizione cattolica.
La situazione era quanto di peggio si potesse immaginare: simboli ambigui; vescovi deposti, poi riammessi, poi deposti; vescovi niceni che poi cadevano nell’eresia opposta all’arianesimo. La disputa non rimase nel campo puramente speculativo: ben presto si passò ai fatti, con persecuzione ed esilio per quanti non accettavano le nuove formulazioni anti-nicene.
Entrò infatti in campo l’imperatore Costanzo, che cercò di forzare la mano ai vescovi latini contro Atanasio. Riuniti in concilio ad Arles, i vescovi chiesero come condizione previa che il concilio riunito da Costanzo in Oriente, ad Alessandria, riconoscesse il credo niceno e condannasse Ario. La risposta fu un’azione violenta dell’imperatore contro i vescovi d’Occidente, che capitolarono, scomunicando Atanasio, incluso l’inviato di papa Liberio, Vincente di Capua. Due anni dopo, nel 355, i nuovi legati del Papa, Eusebio di Vercelli e Lucifero di Cagliari, chiesero un nuovo concilio; ma anche questa volta, il Concilio, riunito a Milano, condannò quasi all’unanimità Atanasio, sotto la minaccia imperiale di esilio per i dissidenti. Oriente e Occidente si stavano unificando per condannare un vescovo ortodosso.
Secondo san J. H. Newman (cf. Gli ariani del IV secolo), questi vescovi pativano una forte disorganizzazione, che non resse alle manovre ariane e alla forza imperiale. E anche un temperamento debole e una certa mancanza di allenamento dell’intelligenza contribuirono alla débâcle. Ma non fu solo il momento dei pavidi, degli incerti, dei confusi, dei traditori; fu anche il tempo del coraggio, dello zelo, della dottrina illuminata. Il Signore non fece mancare alla sua Chiesa vescovi fedeli che, di fronte all’alternativa imposta da Costanzo, “o la firma della condanna di Atanasio o l’esilio”, scelsero l’esilio. Esilio che era accompagnato da pressioni, stenti e persino torture, per cercare di “persuadere” i presuli a cambiare posizione.
La Chiesa di Milano, che ospitava il Concilio, si può gloriare del grande vescovo Dionigi, che dapprima sembra abbia apposto la propria firma; poi, resosi conto della gravità della situazione per consiglio di Eusebio di Vercelli, si ravvide. Fu esiliato in un piccolo villaggio della Cappadocia, dove morì intorno al 360, senza poter vedere la fine del momentaneo trionfo ariano. Al suo posto, la sede di Milano fu occupata per quasi vent’anni dal vescovo ariano Aussenzio, fino al 373, anno della sua morte.
Il secondo campione della fede fu Lucifero, vescovo di Cagliari (+370 ca), che papa Liberio scelse come suo legato imperiale, dopo il tradimento di Vincente. Lucifero finì esule dapprima in Siria, nella provincia di Germanicia, poi ad Eleuteropoli, in Palestina e infine nella Tebaide. Lucifero è venerato come santo in Sardegna, ma secondo alcuni autori assunse posizioni rigoriste, che lo portarono a rifiutare il perdono a coloro che avevano in qualche modo ceduto all’arianesimo.
Il terzo vescovo che resistette alla minaccia ariana fu Eusebio di Vercelli. Straordinario apostolo del Piemonte e della Valle d’Aosta, fu anch’egli inviato da papa Liberio all’imperatore Costanzo. Intervenendo al Concilio di Milano, Eusebio richiese che, prima di ogni atto, si sottoscrivesse il Simbolo niceno. Al rifiuto dei vescovi presenti, egli rispose con un altro rifiuto: quello di sottoscrivere la condanna di Atanasio e scelse così l’esilio.
Ilario, vescovo di Poitiers, non era presente a Milano, ma alzò la voce contro l’esilio di vescovi legittimi e cattolici. Bastò questo perché Costanzo spedisse anche lui in esilio, in Frigia, dove già era stato esiliato un altro vescovo, san Paolino di Treviri, che si era rifiutato di condannare Atanasio al precedente Concilio di Arles. Ma dalla Frigia, sant’Ilario venne allontanato, perché, tutt’altro che rassegnato, continuava a denunciare le macchinazioni degli eretici e a difendere l’ortodossia. Rispedito in Gallia, si diresse verso Milano per contrastare il vescovo Aussenzio, usurpatore della sede che era di Dionigi.
Rimandiamo al prossimo articolo la posizione di papa Liberio nei confronti dell’arianesimo e di Atanasio.
In nome della pace della Chiesa e dell’Impero, in nome della comunione tra i vescovi, la verità veniva calpestata, Cristo sacrificato, il giusto Atanasio condannato, i vescovi ortodossi esiliati e perseguitati. Se ne trovarono solo cinque, oltre ad Atanasio, che resistettero, insieme ad un pugno di chierici e di anonimi laici, che si ritrovarono senza i propri pastori e con le sedi episcopali occupate da ariani o da vescovi, che, pure non essendo ariani, avevano accettato di aderire alle loro trame o avevano ceduto alla minaccia imperiale. Ma a Dio bastò questo piccolo numero, per rovesciare l’empietà e ridare vigore alla sua Chiesa.