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venerdì 27 ottobre 2023

Convegno Summorum Pontificum. L'accorata testimonianza di Michela Di Mieri #sumpont2023


La storica e latinista Di Mieri esordisce schernendosi per l'emozione, poiché oggi parlerà non in astratto delle materie che studia, ma della sua concreta esperienza di vita.

Emiliana, pianse amaramente all'età di dieci anni per la morte del compagno Berlinguer, segretario del Partito Comunista, venerato nella sua famiglia di partigiani.

Cresciuta nel suo quartiere periferico di Bologna, vide amici e conoscenti perdersi, o scomparire, vittime dell'eroina e poi dell'aids.

A quattordici anni si iscrisse al Liceo Classico, con l'idea gramsciana che la cultura è fondamentale per prendere la guida delle masse sfruttate e portarle alla guerra di classe e alla rivoluzione. Marxista-leninista, partecipa alle lotte, occupa scuole e fabbriche, si becca anche qualche manganellata. 

In Emilia questa attività di militanza può anche 'rendere' e ti si aprono le porte giuste; ma non è questo che cerca.

All'età di 30 anni, il suo amato fidanzato, in poche ore, muore. E qui Marx non aiuta. Così come non basta la psicoterapia, o i mantra tibetani che alcune sue amiche recitano come litanie.

Si dedica all'insegnamento agli stranieri ed è colpita dall'attaccamento degli immigrati musulmani alla loro religione e alle loro tradizioni. Approfondisce i suoi studi storici e classici

e in particolare il latino, quella lingua inutile e vagamente fascista. Verifica nei dati storici l'errore della tesi marxista e rousseauviana di un uomo fondamentalmente buono e una società cattiva. L'uomo, da solo, non è in grado di realizzare la giustizia e il 'paradiso in terra'.

Poi, girando su internet, scopre che da qualche parte si celebra una Messa tradizionale, quella di don Camillo. Guarda foto, scopre siti internet e resta colpiti da una bellezza ed una ieraticità che non pensava potesse essere ancora esistere in Occidente.

Una domenica di luglio, va ad una Messa antica nella sua città. Da quel giorno, non ha più smesso. Non sapeva perché ci fosse andata, ma sapeva di esserci arrivata. Vedere il sacerdote sollevare l'Ostia al suono di un campanello, nel silenzio, ha dissodato e seminato la sua anima e le ha dato la forza di sostenere sacrifici che da sola non avrebbe potuto sostenere.

Da donna femminista, comunista, autodeterminata, si sente ora femminile ed eteroguidata da Qualcuno molto più grande di lei.

Avrebbe avuto lo stesso effetto il novus ordo? Aristotele diceva che la natura è fatta di forma e sostanza e noi umani, creature di materia, abbiamo bisogno della forma per capire e conoscere la sostanza.

Qualcuno potrebbe dire: è solo per via dei suoi studi, delle sue conoscenze classiche e del latino. Ma non è vero, perché per mesi, ci dice la relatrice, non comprendeva nulla di tutto quanto accadeva sull'altare. E' stata la Bellezza a catturarla, quella che come dice Dostojevski salverà il mondo.

E poi fornisce un concreto esempio contrario: suo marito è un gommista, non sa nulla di latino; eppure partecipa ad una liturgia scomoda per orario e luogo, dicendo semplicemente che "è più bella".

La nostra relatrice percepisce di essere in guerra. Guerra contro le forze ctonie, che non vogliono vedere salvare un'anima. E guerra contro le forze della modernità occidentale, che disprezzano la trascendenza. Ma quel che l'ha più colpita, è la guerra che le stesse gerarchie cattoliche conducono contro la liturgia che per millenni ha irrorato la Fede, ma anche la cultura e l'arte delle generazioni che ci hanno preceduto.

Durante la guerra civile spagnola, i repubblicani si davano coraggio con l'esortazione ¡No pasarán!. Ma noi abbiamo una promessa di ben maggior valore: Non praevalebunt.

La Verità prima o poi trionfa e passerà la sbornia modernista

Enrico



2 commenti:

  1. Non è un mistero o una cosa per pochi studiosi.La messa in latino tocca il cuore dei fedeli e per questo è così odiata.Anche da tanti che dovrebbero celebrarla.

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    1. E' ben per questo che dopo il CVII hanno rivoluzionato la liturgia introducendo il la Messa di Paolo VI, con la scusa che così la gente capisce, la cosiddetta "cena".

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