Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 957 pubblicata da Paix Liturgique l’11 settembre 2023, in cui si riflette nuovamente sul caso di mons. Dominique Marie Jean Rey e della Diocesi di Fréjus-Tolone, una delle Diocesi più fiorenti di Francia e con un forte impronta tradizionale, ma ora sottoposta ad una visita apostolica (QUI, QUI, QUI, QUI, QUI, QUI e QUI su MiL).
L’articolo ricorda anche la sospensione delle ordinazioni imposta dal Vaticano, in palese contrasto con il diritto canonico e dal sapore intimidatorio.
Si evidenziano i contorni kafkiani dell’intera vicenda, tra l’assenza di una qualsiasi accusa formale nei confronti del Vescovo e la «triste strategia» di Roma, tra le quali emerge il vero profilo di mons. Rey: quello di un «colosso adulto e cattolico».
L.V.
La lettera di Paix Liturgique 955, datata 1º
settembre [QUI su MiL: N.d.T.], è illustrata da una foto che mostra mons. Dominique Marie Jean Rey mentre porta la Croce
durante il rito della Via Crucis del Venerdì Santo. Un chierico lo assiste, pronto ad
aiutarlo se necessario. La presenza del chierico è simbolica, il che non è
poco, ma tutto ci fa pensare che questo Simone di Cirene rimarrà disabitato.
Perché il Vescovo di Fréjus-Tolone è, senza giri di parole, un colosso.
Nel giugno 2022, il Dicastero per i Vescovi ha sospeso le
dieci ordinazioni (4 sacerdoti, 6 diaconi, cioè dieci sacerdoti per l’anno 2023, cifra
da confrontare con le cinquantacinque ordinazioni diocesane dichiarate dalla Conférence des évêques de France nell’anno 2023 per tutta la Francia) che il legittimo capo del gregge del dipartimento del Varo, in virtù dei
poteri conferiti dalla costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium (numeri 20-27), aveva
affermato essere rilevanti per il bene della Diocesi e della Chiesa in
generale. Il Dicastero per Vescovi si posizionava, in un certo senso, al di sopra
delle disposizioni conciliari, senza questa presa di potere, trascurando di
anticipare il turbamento così creato e lo scandalo di un simile abuso,
togliendosi i guanti con qualsiasi argomentazione solida.
Tipico esempio di intimidazione, la procedura ha avuto
una debolezza facilmente esprimibile: o la va o la spacca. Non avendo portato
la questione davanti ai tribunali ecclesiastici per ottenere da questi organi
qualificati un giudizio equo, opponibile alla parte sconfitta, il Dicastero per i Vescovi presumeva che il suo colpo di mento sarebbe stato sufficiente, come lo sguardo
di Medusa, a pietrificare l’avversario con una squalifica senza appello. Si
sbagliava a farlo! Da oltre un anno mons. Dominique Marie Jean Rey ha preso atto della trappola tesa
da Roma, trappola in cui non è caduto. Perché non ci è caduto? Perché mons. Rey
è un colosso adulto. Sta pazientemente aspettando che Roma si assuma la
responsabilità della sua innaturale audacia.
Perché Roma critica mons. Dominique Marie Jean Rey? Forse perché si comporta
come un Vescovo ordinando dei chierici? Sarebbe giuridicamente indifendibile. È
forse perché appartiene a una corrente ostile al Concilio Vaticano II? Per
questo ex Parroco della Santa Trinità (Parigi), vicino alla Communauté de l’Emmanuel [Comunità dell’Emmanuele: N.d.T] il sospetto sarebbe ridicolo. Sta forse maltrattando il gregge che gli è stato affidato? Che le sue «vittime» si facciano avanti ed esprimano le loro rimostranze a
proprio nome. La Chiesa è uno Stato di diritto…
Cosa c’è da rimproverare a mons. Dominique Marie Jean Rey, a parte il suo
insolente successo pastorale? Non ha avuto bisogno dell’acutezza e della
gestione brutale del defunto card. Jean-Marie Lustiger [Arcivescovo metropolita di Parigi dal 1981 al 2005: N.d.T] per dimostrare l’habitus
energico e virile di un Vescovo. Quando è stato nominato nell’anno 2000, il suo
background carismatico ha fatto sì che mostrasse poco attaccamento alle
espressioni più tradizionali della sua Diocesi, ma ha avuto la saggezza e la
prudente carità di non alienarsele. Meglio ancora, si è preso il tempo per
conoscerle meglio, come fratelli che si addomesticano a vicenda. Mons. Rey è un
colosso cattolico adulto.
Non ha esattamente il profilo di un bullo. Fisicamente
imponente, privo di cuoio capelluto il cui taglio o colore rivela difetti
intimi, l’Ordinario si distingue dalla massa. La familiarità, tallone d’Achille
di tanti sacerdoti, non ha alcuna presa su di lui. Può sembrare distante e
ieratico; lo è, quanto e non più di, ma non è un Gesuita. Governa, insegna, ha
una «vista», quella del bene della Chiesa. Sostiene i deboli, frena i
forti, recupera gli smarriti. È un pastore, un buon pastore, un vero pastore. Insinuare
che sia pronto a svolgere il ruolo di capro espiatorio è tragicamente miope.
In assenza di un’accusa formale, la colpa di mons. Dominique Marie Jean Rey
sta nel fatto che spetta all’immaginazione di tutti dargli un contorno
plausibile. Perché non rischiare, alla luce del recente precedente dello
spietato esilio di madre Marie Ferréol e, perché no, del drammaturgo Franz Kafka*? Di
cosa mi accusate? Lo sai meglio di chiunque altro… (Der Process). Chi mi darà
giustizia e quando? Quando la Corte prenderà in mano il caso… (Der Process).
Quando il Castello ascolterà il mio caso? Quando riterrà che io abbia fatto una
richiesta deferente. Il suo silenzio dimostra che non è così. Come si può
essere approvati senza sapere come? I cittadini subordinati del Castello muoiono di lenta consunzione (Das Schloss). Se il Castello ha
ragione, io ho ovviamente torto. Mons. Rey non ha ceduto alle provocazioni. Non
si è disperato di fronte all’obbrobrio; sta aspettando che Roma assuma la sua
triste strategia agli occhi del mondo intero…
Un dialogo dello sceneggiatore Michel Audiard ci fornirà un po’ di leggerezza,
anche se molto lucida. Nel film Mélodie en sous-sol [nella versione italiana, Colpo grosso al casinò: N.d.T.] (1965) del regista Henri Verneuil, la
madre di un giovane delinquente (interpretato dall’attore Alain Delon) gli dichiara: «Tuo padre e io moriremo di dolore per te», e lui risponde: «Almeno così non troveremo l’arma del delitto!». Il dispregiatore romano di mons. Dominique Marie Jean Rey è un appassionato di cinema e/o un lettore di Franz Kafka? Possiamo
ipotizzare che il suo sogno sia il seguente, tanto sono dannose le sue pretese
di governare e la sua incapacità di vincere: sarebbe bello se mons. Rey morisse
per mano sua e se l’arma del delitto portasse le sue impronte digitali. Ma non
si prospetta nulla di buono per il dicastero dell’odio. Perché, ripetiamo,
mons. Rey è un colosso adulto e cattolico: nessuna dimissione da lui firmata
infangherà e screditerà il suo fin troppo invidiabile palmarès… In unione di
preghiere affinché mantenga la rotta, con grande dispiacere di un alto clero
disonesto.
* Lo scrittore Franz Kafka (1883-1924), austro-ungarico (ora
ceco), ebreo e di lingua tedesca, ci sembra sia stato ingiustamente definito il
maestro dell’assurdo, mentre sembra essere stato soprattutto un profeta
maledetto per aver intravisto troppo presto ciò che tutti gli orrori
contemporanei sarebbero diventati… Non si può non fare un parallelo tra il
modo in cui viene governato il «castello» nell’opera di Kafka e il
modo in cui le massime autorità del Vaticano governano attualmente i loro
subordinati, siano essi Vescovi, preti o suore.
non dimentichiamo mai il caso ancor più brutale di mons Oliveri ,cacciato senza alcuna colpa: si è visto alla prova dei fatti la bontà del suo lavoro e dei suoi sacerdoti....la diocesi di albenga imperia nel 2020 è stata la sola in italia a non aver sospeso i sacramenti(per volontà dei sacerdoti in gran parte formati da mons Oliveri);e questi erano coloro che i giornali massoni descrivevano come preti gay,ladri e persino assassini(si andate a controllare gli ignobili ed infondati articoli del tempo)
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