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mercoledì 15 luglio 2020

Pizzi e merletti - I parte, un commento storico-giuridico-liturgico in loro difesa - I parte

Camice di S. Ignazio 
Cari lettori, 
come eravamo rimasti meravigliati che un nostro post su un argomento abbastanza marginale (quale l’abuso dei pizzi e dei merletti dei camici - albe - dei ministri in sacris parati) avesse suscitato un vivacissimo dibattito ed ispirato un numero elevatissimo di commenti (anche sui social) da parte dei più dotti in materia di sartoria ecclesiastica, siamo rimasti ancor più stupiti dal fatto che, pur avendo aperto un dibattito sul punto con relativa disponibilità alla pubblicazione di interventi documentati sull'argomento (pro o contro), UNO solo, in poco più di 20 giorni, ci abbia inviato un contributo sul tema.

Anche nell'ambito tradizionale del mondo virtuale è attuale l'adagio sui leoni da tastiera...
Peccato.  

Pur continuando a preferire i camici senza pizzi (come fu fino al 1800, basti vedere i dipinti, affreschi e miniature) pubblichiamo di seguito, come promesso, (in più riprese), un lungo, arguto, a tratti faceto, ma corposo e documentato commento che potrebbe senz'altro definirsi un trattatello storico-dottrinale-giuridico in materia "pizzi e merletti" liturgici (che va in senso opposto a quanto da noi sostenuto) e ringraziamo il lettore Guido Ferro Canale, presidente emerito dell'Associazione "Beato Ottaviano Vescovo" per aver impiegato tempo e speso fatica per confezionare per MiL un bel testo sull'argomento. Grazie. 

Qui oggi la I parte: Premessa; La liturgia come culto legale;
- II parteSeguire, dopo l'avvento di Cristo, i precetti cerimoniali dell'AT è peccato mortale; le fonti del diritto ligurgico;
- III parteIl rifiuto del Messale del 1962: sua inammissibilità giuridica e morale;
- IV parteE veniamo ai merletti dei camici: tesi e confutazione.   


Quando la passione per la Liturgia porta

a non capire più la Sua natura
I parte
di Guido Ferro Canale

“I would therefore plead that what was written without malice may be read without umbrage, and if any remain offended I would remind them that to take oneself too seriously is bad theology.”
(E.L. Mascall, Pi in the High)

Premessa
Generalmente non scrivo su questioni strettamente liturgiche e forse per questo ignoravo, fin qui, l'esistenza del blog “Traditio Marciana”, che invece vi dedica un'attenzione in sé benemerita.

Quando un amico me lo ha fatto scoprire girandomi, sbigottito, il link all'articolo, rilanciato anche da questo sito, che propugna la “antiliturgicità” del pizzo nel camice sacerdotale, ho
inarcato le sopracciglia, ma mi sono accinto a leggere con distaccata curiosità e, aggiungerei, con un interesse piuttosto limitato. 
Chiarisco subito: a me dei pizzi, dei merletti e delle decorazioni in generale importa molto  poco, le considerazioni estetiche sui tipi e sottotipi di pizzo mi sembrano puramente soggettive e comunque restano per me del tutto indifferenti... anzi, sono pure disposto a credere che, in più di una persona, l'estetica sia degenerata in estetismo, il mezzo in fine. Ho perfino visto un caso – uno solo, è bene precisarlo – in cui lo stereotipo “pizzi & merletti” era confermato in pieno, con tanto di peccato contro natura pubblico, notorio ed ostentato. Quindi, lo dico una volta per tutte, io non scrivo in difesa del pizzo in quanto pizzo, tantomeno poi di quello di Cantù contro il gigliuccio, piuttosto che di quello a mano contro quello a macchina: li lascio tutti al libero gioco della concorrenza e di tutti egualmente mi disinteresso.
Ma se dietro al pizzo si palesa una questione di principio, oserei perfino dire una questione di dottrina, la faccenda muta bruscamente aspetto.

Appunto questo è successo, per me, quando ho letto il successivo articolo di replica dell'anonimo autore “antipizzettaro”, ut ita dicam, alle obiezioni dei “pizzomerlettari criticoni” (ipse dixit). Cito testualmente il passaggio incriminando:

“Prima della considerazione finale, en passant rispondo a un tale che scrive: I responsabili veneziani del sito, vistosamente e orgogliosamente ribelli e disobbedienti alle norme liturgiche regolate dal Motu Proprio Summorum Pontificum...
La redazione di MiL non ha pubblicato ancora la mia semplice risposta a quel commento: 'Le norme liturgiche sono stabilite dalla Quo primum tempore'. E sì, siamo orgogliosi di essere tra i pochi in Italia che difendono apertamente l'autentica tradizione liturgica romana, non intaccata dalle riforme del XX secolo, e non si accodano a 'libri liturgici del 1962', 'forma straordinaria' e quant'altro.”.


Molto più di tutto il resto della sua costruzione polemica, questo passaggio rivela il problema di fondo dell'autore: una concezione della Liturgia e della tradizione che come minimo è tutta di suo conio, oggettivamente ha il sapore, se non la sostanza, dello scisma e, almeno secondo me, sa pure di eresia.
Dichiarazioni pubbliche di una simile gravità debbono mobilitare chiunque sia in grado di sviscerarne le molteplici aberrazioni.
Mi spiace non conoscere l'autore, che altrimenti avrei anzitutto cercato di contattare in privato, perché mi rendo conto che queste mie affermazioni, nei tempi tristi in cui viviamo, rischiano di essere prese per attacchi personali; posso solo assicurargli che, appunto perché ignoro la sua stessa identità, esse non si riferiscono che al suo scritto. Mi farò carico nel prosieguo di dimostrare che sono esatte e del tutto proporzionate a ciò che la coppia di articoli in commento dice e implica. Magari non lo fossero!
Va peraltro notato, in via del tutto preliminare, che – pur volendo sostenere il carattere antiliturgico di un uso che egli stesso sa generale, quello del pizzo, rifacendosi nientemeno che all'Esodo – l'autore non definisce mai il termine principale del discorso: che cosa significa “liturgico”?
E subito dopo: chi stabilisce cosa sia liturgico, conforme al senso o allo spirito della Liturgia, e secondo quali criteri?
Sembra dunque necessario apportare chiarezza su questi punti fondamentali; la questione del pizzo, del resto secondaria già in sé, si chiarirà a valle quasi in automatico.

La Liturgia come culto legale
Il mio interlocutore – anonimo, ma a me carissimo in Cristo - si mostra assai legato alle prescrizioni cerimoniali dell'Antico Testamento; apprezzerà dunque come esse, nella loro precisione e minuziosità, rivelino la natura essenzialmente eteronoma dell'azione liturgica.
Il culto ebraico prima, il culto cristiano poi, ben lungi dall'essere mere espressioni della religiosità naturale, adorano il Dio personale che Si è rivelato. E che, in pari tempo, ha anche rivelato il modo in cui vuole che Gli si renda culto. Da ciò il principio comune a entrambi, secondo cui è gradito a Dio soltanto il culto reso in modi conformi alla Sua Volontà. Certo, le forme non sono sufficienti e il richiamo alla santità della persona di chi compie i riti è una costante anche nell'AT; però esse sono tanto necessarie che la loro inosservanza può provocare addirittura la punizione diretta da parte di Dio (come ad es. per Nadab e Abiu, Lv 10).
Cambia, tra l'Antico e il Nuovo Testamento, l'autorità abilitata a prescrivere: sotto la Legge, Dio in Persona si era fatto carico di disciplinare questo, come e più di ogni altro aspetto della vita del Popolo eletto; dopo la Pentecoste, quando la chiamata a divenire figli di Dio si estende al mondo intero, la disciplina si fa più flessibile, perché il Divino Legislatore sa che il grado di dettaglio che andava bene per un popolo collocato in un contesto socio-culturale e ambientale ben definito sarebbe stato inappropriato per una congregatio fidelium destinata ad accogliere nel suo seno tutti i popoli di tutti i tempi a venire. Sicché, nell'economia neotestamentaria, il diritto divino si è ristretto alle norme valide semper et pro semper, come i precetti morali o, ad esempio, i requisiti essenziali dei Sacramenti; su tutto il resto, l'autorità dotata di competenza esclusiva a stabilire quale sia il culto legittimo è la Chiesa. 
Resta fermo, però, il principio per cui il culto deve essere pubblico e sociale; occorre, dunque, pur sempre che sia prescritto o regolato da leggi e, in questo senso, sia sotto l'Antico sia sotto il Nuovo Testamento si può parlare della Liturgia come di culto legale per essenza. Ferma l'ignoranza invincibile dei pagani, uno solo è il culto gradito a Dio: quello che Gli viene reso dalla Chiesa, nella Chiesa e secondo la legge stabilita dalla Chiesa. 
In effetti, l'Aquinate bolla come superstizione di culto indebito del vero Dio tutto ciò che oggi chiameremmo “abuso liturgico”, cioè tutte le azioni che, per quanto possano esser dirette, nelle intenzioni, a render gloria al Signore, sono però contrarie alle norme stabilite dalla Chiesa; neanche una volontà di “fare di più” basta a giustificare la trasgressione, almeno non sul piano oggettivo (cfr. S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II-II, qu. 93, a. 1 e a. 2). 
Insomma, resta fermo oggi e sempre quanto ha detto, in un tempo migliore, il Card. Siri: “Il 3 settembre 1958 è uscito un altro Decreto della Congregazione dei Riti, personalmente approvato da Pio XII, in cui si dà la definizione di ciò che è liturgico. È liturgico ciò che la Chiesa stabilisce; non è liturgico ciò che la Chiesa non ammette” (G. Siri, Esercizi spirituali, Bologna 1962, pag. 283, sottolineatura aggiunta; il riferimento è all'Instructio de musica sacra et de sacra Liturgia, n. 1, in AAS 50 [1958] 633).

(fine prima parte)

19 commenti:

  1. Questo post incomincia già male perchè nella premessa è inficiato da un personalismo di cui non sappiamo cosa farcene e di cui non interessa niente: "Pur continuando a preferire i camici senza pizzi".
    Si parli in prima persona senza generalizzare.
    "Pur continuando a preferire quello che offre la sagrestia da secoli o da decenni" così direbbe qualsiasi chierico di buon senso.
    Internet offre anche il modo di tralasciare l'inutilità faziosa delle premesse per approdare ai seri studi canonici dell'ottimo Guido Ferro Canale.
    Mi scuso virtualmente con l'ottimo Autore se a causa della premessa faziosa non convido sui social il suo pregevole studio.

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  2. A proposito di Traditio Marciana e del giovane veneziano Autore dei post di detto sito.

    Da quando il ragazzo di Simon Piccolo ha iniziato a farsi conoscere in Italia sul suo conto piovano costantemente critiche di ogni tipo.

    La causa di tutto questo, al netto di una certa sua incoercibilità tipica dell'età del giovane e comune al nostro ambiente, è che lo stesso dimostra una intelligenza fuori dal comune ed anche una volontà notevolissima.
    Suscita invidia alle vestale delle ceneri.

    Il tanto vituperato articolo del giovane veneziano è sottoscrivibile per ogni aspetto e dispiace che non si comprenda anche il fine dello stesso.

    Tergestinus

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    1. Nutro profondo rispetto ed ammirazione per il giovane cerimoniere veneziano di cui si è scritto perchè dai filmati e dalle foto su internet ho veduto uno studente piamente proteso "ad Deum": ce ne fossero dei ragazzi così! Ringraziamo Dio che nel versante adriatico possiamo avere un tale gioiello di compentenza liturgica.
      Pur svolgendo (indegnamente) delle mansioni quasi da sagrista non ho alcuna competenza sui cosiddetti pizzi e merletti nel senso che non so neppure riconoscere la datazione o la patenità di un ricamo. Parafrasando la celebre aria del primo atto de il Rigoletto potrei dire "questo o quello per me pari sono".
      Specifico pure che sto parlando di una chiesa che , secondo le intenzioni del Santo fondatore, che trascorse una parte della vita in prigione, doveva per suo stesso volere essere povera e molto severa. Si doeva distinguere dalle altre chiese per sobrietà e severità essendo dedicata alla Passione di Gesù.
      Eppure , a parte un camice, tutti gli altri hanno dei sobri ricami, niente di che ma sono ricamati.
      Premesso questo quando mi affidano settimanalmente il compito di preparare il vestiario liturgico per la messa tridentina ( gli altri ministranti arrivano all'ultimo momento ) mi affido a quello che trovo nel bancone dei camici: se è quaresima uno con delle croci: per le feste mariane uno con una M ecc ecc
      Non so perchè ma trovo qualcosa di ideologico o freudiano nella perdente battaglia contro i camici ricamati. Perdente perchè nella stragrande maggioranza dei casi non interessa a nessuno : conosco assai bene il mondo tradizionalista e mi dispiace che articoli così possano all'esterno dare una falsata idea di frivolezza. Altro discorso sono gli addobbi e l'uso delle pianete: il mio essere filo-meridionale mi fa scegliere l'impostazione di "maravigliare" e di circondare di bellezza il trono di Dio che è l'Altare. Un ringraziamento di cuore a tutti coloro che settimanalmente si dedicano alla gloria di Dio attraverso la cura della Messa in latino in tante comunità nella nostra Penisola. Pur non volendomi firmare Vi saluto tutti con grande ammirazione.

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    2. Perché mi avete cassato un commento dove dicevo che una persona del genere dovrebbe essere seriamente seguita e guidata da un sacerdote e che tali persone mettono in cattivissima luce tutti i fedeli cattolici che, nel 99% dei casi è composto da gente normale che vuole solo imparare e vivere la Fede? Non mi pare di aver insultato nessuno!

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  3. Non male davvero definire come peccatore contro natura un sacerdote effeminato, ma che ne sa lui di come vive.

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    1. Visto che mandano via dai seminari gente che non può permettersi economicamente gli studi, possono anche evitare di scegliere gente palesemente omosessuale che si fa prete solo perchè sceglie di non commettere peccati contronatura, anche se le regole della Chiesa sono chiare e confermate che non possono essere scelti per l'avvio al seminario visto le "tentazioni" tra bambini e colleghi tutti maschili di stanze, solo perchè hanno i parenti con grosse possibilità economiche e che a loro che vivono di donazioni servono tantissimo!

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  4. È fondamentale ciò che disse a suo tempo il Card. Siri: “Il 3 settembre 1958 è uscito un altro Decreto della Congregazione dei Riti, personalmente approvato da Pio XII, in cui si dà la definizione di ciò che è liturgico. È liturgico ciò che la Chiesa stabilisce; non è liturgico ciò che la Chiesa non ammette” (G. Siri, Esercizi spirituali, Bologna 1962, pag. 283).
    Mi riallaccio ad un precedente commento e a quanto dichiarato dal Card. Siri per dire che è chiaramente un grave abuso liturgico intestardirsi ad usare il Messale ante 1962, poiché è un oltraggio a ciò che un decreto pontificio stabilisce, cioè che l'unico Messale ammesso è quello del 1962. Ma questo abuso, insieme a tanti altri, sembra essere tipico non solo dell'esuberante giovane veneziano, ma di tanti che contribuiscono al blog "Traditio Marciana".
    Non comprendo questa mania di sindacare le norme ecclesiastiche. È un sintomo di malafede.

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    1. E' interessantissimo il commento di Anonimo delle 03:31. Se si tratta in qualche domenica dopo la Pentecoste o dopo l'Epifania di fare una seconda Colletta per ricordare un Santo o una Santa particolarmente venerato non penso che ci sia niente di male. E' anche bello poter esprimere la nostra ultima raccomandazione al Signore con la recita dell'ultimo Confiteor prima della Santa Comunione. Mi pare che si facesse anche dopo la pubblicazione del Messale del '62.

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    2. Aggiungo che il Messale ante-1962 è usato dai sedevacantisti che dicono che le modifiche approvate da Pio XII (Riforma Piana 1952-1955) erano "inquinate" da Bugnini che fu l'autore delle riforme del Vaticano II e l'autorità era quindi messa in "dubbio".

      Qui non si tratta di scismatici, ma quasi eretici!

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    3. @ Anonimo 16 luglio 2020 14:39

      Il "Confiteor" prima della comunione rimane "facoltativo" nel Messale del 1962, ma si recitava ugualmente come abitudine pre-riforma.

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    4. l'argomento 'lo fanno anche i sedevacantisti, quindi è sbagliato' è leggermente debole e lascia il tempo che trova, oltre a non rispondere nel merito degli argomenti

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    5. gsimy17 luglio 2020 17:21

      Allora si chiami scismatico come gli ortodossi, ma eviti di considerarsi nell'ovile di Pietro cum Ecclesia.

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    6. il confiteor prima della comunione era un abuso, finchè un responso dell'Ecclesia Dei alle domande di un sacerdote ha detto che è un'usanza tollerata dove sussiste

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  5. Interessante. Grazie MiL.

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  6. Un conto è la storia del costume liturgico, un conto è l'estetismo tipico omosessuale e "dandy" di una certa fazione entrata anche nella Chiesa che vuole riportare all'archeologismo (Mediator Dei) condannato dalla Chiesa.

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    1. Esatto è pieno di dandy tra i preti. Molto fanatici e poco umili. Quello che manca è il mondo contadino con i suoi valori e semplicità che si adatta al cattolicesimo. Essere preconciliari con il mondo capitalistico non ha senso. Non è tanto il concilio Vaticano II è la distruzione del mondo contadino ad aver buttato giù la Chiesa

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  7. Rispondo all'Anonimo delle 14:39 che mi chiama in causa.
    Diciamo che nelle Messe in Vetus Ordo non è che si possa aggiungere o togliere a piacere. È tutto previsto dal Messale del 1962 (l'unico che si possa usare secondo il Decreto Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI) e dalle rubriche. La Domenica è il giorno del Signore e non si commemorano mai i Santi. Può succedere che in qualche domenica ricorra la solennità di un santo (per es. San Giuseppe, San Giovanni Battista, il Santo Patrono) o della Beata Vergine Maria. In quel caso si aggiunge la Commemorazione della Domenica alla Colletta, alla Secreta e al Postcommunio.
    La Recita del Confiteor prima della Comunione non è prevista dal Rituale, ma è tradizionalmente molto diffusa.

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    1. Grazie! Spiegazione chiarissima!

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    2. Grazie a lei. Aggiungo una cosa che non le ho detto. Se per i Santi che hanno testimoniato la vita e gli insegnamenti di Cristo (gli Apostoli, San Giuseppe, San Giovanni Battista, la Beata Vergine Maria e pochi altri), laddove la solennità cada di domenica, si celebra la Messa del Santo con la Commemorazione della Domenica, per tutti gli altri Santi, laddove la solennità cada di domenica, giorno dedicato al Signore, la memoria del Santo per quell'anno non si celebra.
      Per sapere che tipo di Messa si deve celebrare ogni giorno dell'anno, senza commettere abusi, la Libreria Editrice Vaticana pubblica ogni anno, a Novembre, il manuale "Ordo Divini Officii Recitandi Sacrique Peragendi secundum antiquam vel extraordinariam ritus romani formam pro anno Domini" 2020/21,22 ecc. (€ 16,00).

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