CULTURA E CORPO
di Enrico Salvi
Cultura e coltura, dal latino COLERE, significano coltivare, attendere con cura, e, riferiti all’uomo, valgono istruzione e buona educazione, esprimendo la cura assidua necessaria pari a quella dell’agricoltore per far sì che piante ed erbe fioriscano e fruttifichino. Culto, sempre da COLERE, vale ossequiare, venerare e, riferito al corpo, il modo col quale si cura il proprio abbigliamento e la nettezza della persona. (etimo.it).
Osserviamo e constatiamo: la cultura costituisce la teoria in quanto formulazione più o meno sistematica di idee e principi esposta tramite il pensiero parlato o scritto, ciò valendo – ed entrando qui nel merito che più ci interessa – anche e soprattutto per la Tradizione Universale, orale e scritta, attraverso la quale si trasmette la sapienza necessaria alla cultura/coltura/coltivazione dell’uomo.
Al pari della teoria, anche la Tradizione Universale ha un’esistenza condizionata (non in sé ma presso gli uomini) dal momento che non può né esprimersi né recepirsi senza un CERVELLO alloggiante in una TESTA facente parte di un CORPO. Pertanto, il detto “gli uomini passano, le idee restano”, che in un primo momento può sembrare plausibile, è invece radicalmente falso: le idee non possono “restare” senza un uomo e quindi senza un corpo che le supporti.
Chiunque parli o scriva, ciò valendo anche per gli Autori sacri e santi, lo fa con l’ausilio di tutto il corpo e non con la sola testa pensante, lo stesso valendo anche per chi ascolta o chi legge. Una testa recisa dal corpo non parla, non scrive, non ascolta e non legge. Quindi, senza l’intero corpo non può esservi trasmissione di checchessia.
Più precisamente, nel corpo si trovano organi come cuore, polmoni, fegato, reni, e sistemi come quello sanguigno, respiratorio, osseo e linfatico, evidentemente anch’essi costituenti il corpo e perciò concorrenti tanto all’espressione quanto alla ricezione della teoria, cioè della Tradizione Universale orale e scritta. Quindi, l’impalpabile parola parlata o scritta e ascoltata o letta, non può darsi senza la struttura organica e concreta del corpo. Le corde vocali e la bocca da cui nasce il parlare sono corporee esattamente come le orecchie che ascoltano; lo stesso valendo per la mani che scrivono e gli occhi che leggono.
Risulta pertanto inconfutabile come l’autentica spiritualità non possa darsi senza il corpo, il quale, si può dire, è la soglia di passaggio dal materiale allo spirituale, dal finito all’infinito e viceversa. Digiuno e silenzio, per esempio, sono mezzi ascetici inutilizzabili senza la bocca del corpo che deve restar chiusa affinché non entrino cibi e non escano parole; l’inchinarsi e l’inginocchiarsi sono prima di tutto gesti del corpo che, in ordine alla spiritualità, influiscono (se accompagnati da sincerità di cuore) beneficamente sull’anima: non è solo il corpo che si inchina o si inginocchia, bensì anche l’anima che riconosce il Sacro che la trascende e la vivifica.
Di passaggio notiamo come anche l’intuizione-ispirazione, ovvero il “guizzo” sovra-razionale (o sub-razionale!), sia pur sempre prerogativa dell’uomo che, si ribadisce, non è senza il corpo. E se nel momento intuitivo-ispirativo il corpo “scompare” per il repentino preponderare dell’“excessus mentis”, resta pur sempre vero che senza il corpo nessuna intuizione-ispirazione è possibile. Di fatto, nessuna intuizione-ispirazione può darsi senza una precedente esperienza dei sensi corporei, sia essa visiva, auditiva, tattile, olfattiva o gustativa. Lo stesso può dirsi a proposito dell’estasi, ovvero dello star fuori di sé con inazione dei sensi e dei movimenti (etimo.it): di fatto, la “base di lancio” è sempre il corpo.
Una volta constatata l’impossibilità per la Tradizione Universale di essere escogitata, parlata o scritta ed ascoltata o letta dalla sola testa pensante e senza il concorso dell’intero corpo, e ricordando ancora che l’uomo, soggetto e oggetto della Tradizione Universale, non è senza il corpo, sorge il tema della corpificazione della Tradizione medesima, ciò trovando conferma e stimolo nello straordinario ed esclusivo enunciato della Tradizione Universale: «VERBUM CARO FACTUM EST». Il Verbo, la Parola si è fatta CARNE. Dice FACTUM, FATTA, quindi senza soluzione di continuità tra Parola e Corpo: il Verbo È Corpo e il Corpo È Verbo, ciò valendo anche per dell’Ostia consacrata: il Verbo è l’Ostia, l’Ostia è il Verbo: CORPUS DOMINI. Si sottolinea ancora CORPUS.
Quindi, il sincero seguace della Tradizione Universale lascia che “i morti seppelliscano i loro morti” e si applica integralmente, dunque con tutto il corpo, ad imitare il Verbo Incarnato; impegno che comporta preliminarmente l’impresa non propriamente agevole del farsi tabernacolo ad imitazione della Vergine Madre del Verbo, giacché l’integrale purezza verginale è condizione indispensabile al concepimento del Verbo: Tota pulchra es, Maria, et macula originalis non est in Te. Dice TOTA, TUTTA pura. Di anima e di corpo. Integrale purezza verginale che è prerogativa prettamente muliebre e con un proprio potere: Virgo Potens. Secondo san Gregorio di Nissa, la verginità rappresenta la perfezione propria della natura divina ed incorporea, ciò confermando la necessità dell’integrale purezza verginale della Madre del Verbo. In sintesi: a Gesù per Maria.
Infatti, la Parola di Dio è il seme che cade nel terreno fertile necessario al suo svilupparsi, ovvero nella verginità integrale di anima e corpo, trovandosi qui il trascendente significato culturale-colturale-cultuale della Parabola del seminatore. Nella splendida Vergine in Trono, il Perugino ci dona un’immagine della verginità integrale: contemplandola, ci si libera dai miasmi del veleno solfureo che non da oggi, e soprattutto oggi, sta corrodendo l’anima e il corpo ecclesiale.
Da notare che il Verbo Incarnato dice: «chi ha orecchi intenda». Perciò è chiaro come, oltre a riferirsi ad un’elite di ascoltatori dall’udito spirituale e quindi puro: «molti i chiamati, pochi gli eletti», l’intendere necessiti delle orecchie del corpo che recepiscano dapprima la Lettera in quanto necessario supporto dello Spirito, il quale, dandosi la condizione di integrale purezza, trasfigurerà virtualmente l’intero corpo umano, che la Tradizione Universale dice essere destinato realmente alla risurrezione.
Dunque, chi si impegna in tale impresa, come già osservato, lascia che «i morti seppelliscano i loro morti», attività necrofora che al giorno d’oggi sembra andare per la maggiore, specialmente grazie agli addetti ai lavori, fautori sconsiderati di un paradiso artificiale qui sulla terra. Un paradiso di morti viventi per i quali “virtù” e “vizio” sono parole desuete.