Fra i commenti ad un articolo sul decesso di mons. Livieres (‘La morte di Mons. Rogelio Livieres Plano “figlio obbediente della Chiesa”, MiL del 15.8.2015), qualcuno scrisse che è ora di smetterla con questi “lamenti da perdenti” e col “piangersi addosso”.
Ed io aggiunsi che nell’ottica della fede le persecuzioni che mons. Livieres ebbe a subire sono un segno di predilezione, perché sono lo stesso trattamento riservato a suo tempo a Gesù.
Qualche giorno dopo un altro commento mi chiedeva di sviluppare ulteriormente questo pensiero.
Ed allora eccomi qui, perché fa bene a tutti noi soffermarsi, di tanto in tanto, su queste verità fondamentali della nostra fede.
La stampa ha riportato la notizia della distruzione del monastero di Mar Elian in Siria.
Un’altra delle tante persecuzioni contro i cristiani; un’esplosione del male contro cui i ragionamenti servono ben poco.
Certo si deve resistere al male; ma spiegarlo razionalmente non si può, ed è qui che la fede va oltre il limite angusto della nostra ragione e ci insegna a guardare alla vita attraverso il prisma delle beatitudini: “Beati quelli che piangono, perché saranno consolati; beati quelli che patiscono persecuzioni per la giustizia; beati voi, quando vi malediranno e perseguiteranno e, mentendo, diranno tutto il male contro di voi per causa mia.”
Indignarsi, denunciare, ribellarsi, tutto ciò è comprensibile ma umano, troppo umano.
La fede ci chiede di andare oltre e di professarci, come fece mons. Livieres, “figli obbedienti della Chiesa” anche quando essa si mostri una chiesa matrigna; ci chiede di credere che il regno di Dio non si diffonde nonostante le persecuzioni, ma attraverso le persecuzioni.
Questa fede è l’unico vero antidoto contro i lamenti da perdenti ed il piangersi addosso di cui sopra, nelle grandi come nelle piccole cose.
Ed allora eccomi qui, perché fa bene a tutti noi soffermarsi, di tanto in tanto, su queste verità fondamentali della nostra fede.
La stampa ha riportato la notizia della distruzione del monastero di Mar Elian in Siria.
Un’altra delle tante persecuzioni contro i cristiani; un’esplosione del male contro cui i ragionamenti servono ben poco.
Certo si deve resistere al male; ma spiegarlo razionalmente non si può, ed è qui che la fede va oltre il limite angusto della nostra ragione e ci insegna a guardare alla vita attraverso il prisma delle beatitudini: “Beati quelli che piangono, perché saranno consolati; beati quelli che patiscono persecuzioni per la giustizia; beati voi, quando vi malediranno e perseguiteranno e, mentendo, diranno tutto il male contro di voi per causa mia.”
Indignarsi, denunciare, ribellarsi, tutto ciò è comprensibile ma umano, troppo umano.
La fede ci chiede di andare oltre e di professarci, come fece mons. Livieres, “figli obbedienti della Chiesa” anche quando essa si mostri una chiesa matrigna; ci chiede di credere che il regno di Dio non si diffonde nonostante le persecuzioni, ma attraverso le persecuzioni.
Questa fede è l’unico vero antidoto contro i lamenti da perdenti ed il piangersi addosso di cui sopra, nelle grandi come nelle piccole cose.
Piangersi addosso: ma cos’è?
La nostra vita quotidiana è intessuta di piccole cose.
E vi sono tanti che piangono e si lamentano non per le vere e grandi persecuzioni, ma per le punture di spillo che ci vengono appioppate ogni giorno.
E poiché scrivo su “Messa in latino” è naturale pensare ai lamenti che proliferano, su questo ed altri blogs,
(a) riguardo alla sciatteria e peggio di troppe celebrazioni liturgiche,
(b) riguardo alla defezione dottrinale del clero, a tali abusi liturgici strettamente collegata.
Ecco dunque qualche puntino sulle “i”.
E poiché scrivo su “Messa in latino” è naturale pensare ai lamenti che proliferano, su questo ed altri blogs,
(a) riguardo alla sciatteria e peggio di troppe celebrazioni liturgiche,
(b) riguardo alla defezione dottrinale del clero, a tali abusi liturgici strettamente collegata.
Ecco dunque qualche puntino sulle “i”.
Primo puntino: c’è chi, su questo blog, ha fatto una doverosa distinzione fra lamentele e denunce.
Giusto: le lamentele sono un semplice sfogo, le denunce sono in genere mirate e tendono ad un risultato specifico.
Giusto: le lamentele sono un semplice sfogo, le denunce sono in genere mirate e tendono ad un risultato specifico.
Personalmente, però, io andrei cauta con le denunce, perché se non ottengono il risultato sperato, mettono irrimediabilmente a nudo la debolezza di chi ha denunciato, senza però riuscire a tirar fuori il classico ragnetto dal buco.
Inoltre, le denunce possono diventare una cassa di risonanza – procurare, cioè, pubblicità gratuita – proprio per quegli abusi che si vogliono denunciare.
Secondo puntino sulla “i” (e chiamatemi pure complottista):
penso che, nel caso di espressioni collettive di disagio, quali appunto i commenti su vari blogs, vi sono spesso quelli che a suo tempo chiamai “mestatori in pizzi e merletti”; numericamente pochi, ma tali da influenzare molte persone di indiscussa buona fede.
I mestatori suddetti sono quelli che lavorano contro la Chiesa fondata da Gesù Cristo, ma lo fanno atteggiandosi a cattolici fedelissimi che soffrono amaramente per qualsiasi disordine, reale o immaginario, che riescono a captare nella Chiesa visibile, e lasciano che la loro sofferta indignazione dilaghi a gran galoppo sulle ali dell’etere.
Vero è che tale indignazione è alla fine temperata da un “ma bisogna aver fiducia e pregare”, “Ma Gesù non abbandona la sua Chiesa” e simili; ma queste lodevolissime espressioni, venendo dopo lenzuolate di geremiadi, fanno l’effetto dell’avviso “Il fumo è nocivo alla salute” stampato a caratteri microscopici in fondo ad un attraentissimo messaggio pubblicitario per una marca di sigarette.
Quest’accanirsi sui lati negativi, anche se cammuffato da amore per la Chiesa, genera sfiducia nella gerarchia ecclesiastica ed in genere in una chiesa ritenuta corrotta; e dalla sfiducia al distacco il passo è breve. (Sottolineatura nostra N.d.R.)
Quest’accanirsi sui lati negativi, anche se cammuffato da amore per la Chiesa, genera sfiducia nella gerarchia ecclesiastica ed in genere in una chiesa ritenuta corrotta; e dalla sfiducia al distacco il passo è breve. (Sottolineatura nostra N.d.R.)
Ma di che ci lamentiamo, veramente?
Terzo puntino sulla “i”: la radice da cui nascono i lamenti sugli abusi liturgici e sulla generale corruzione del clero.
Parrebbe ovvio che tale radice sia l’amore per la Chiesa ed il desiderio che si ripareggi la verità offuscata da insegnamenti erronei.
E magari così fosse.
Io non dubito che si tratti spesso di sentimenti sinceri, ma dobbiamo chiederci – perché, con l’aiuto fidato del principe della menzogna, facciamo presto ad ingannare noi stessi – quanto dell’indignazione e dolore manifestati siano per la situazione della Chiesa e quanto siano invece per il nostro disagio personale.
Poniamo il caso del fedele che rimpiange di non poter assistere alla Messa VO, o di poterlo fare solo con grave disagio.
Siamo sicuri che il dolore di questo fedele sia dovuto al fatto che la Messa NO non è centrata come dovrebbe su Cristo sacerdote e vittima, o non può essere che il nostro ipotetico fedele rimpiange i sentimenti, le emozioni, le riflessioni, insomma tutto l’ambiente della celebrazione VO in cui egli si sente a suo agio.
Se è questo il caso, al nostro ipotetico fedele privato involontariamente delle sensazioni di devozione e raccoglimento e di un ambiente che li favorisca potrà forse giovare questo stralcio dalla prima delle “Relazioni spirituali” di S. Teresa di Gesù.
Le “Relazioni” sono resoconti sullo stato della sua anima che la santa inviava al suo confessore.
Il testo è tratto dalle “Opere”, 2a edizione (Roma 1949) p. 403. “Molte volte invece, non solo il mio spirito non si ferma su Dio, ma si porta pure a cose indifferenti, sino a parermi di non poter fare orazione neppure sforzandomi, causa qualche grande aridità resa più grave dai dolori corporali.
Ma po d’improvviso il raccoglimento e l’elevazione di spirito s’impossessano irresistibilmente di me, inondandomi in un solo istante di tutti quei vantaggi ed effetti che dopo si vedono.
E ciò senza aver visioni o intendere cosa alcuna: anzi, in quel momento non so neppure dove io sia.”
Dice dunque S. Teresa che spesso le è impossibile pregare a motivo di distrazioni, impossibilità di concentrarsi e dolori fisici vari; ma il Signore interviene comunque imprevedibilmente con quelli che lei definisce “rapimenti”, precisando però che non vi sono né visioni né rivelazioni – nulla, insomma, che ricordi un dipinto di Guido Reni.
Teresa dice semplicemente di non sapere dove sia; potremmo dire, più prosaicamente, che è fuori di testa.
Voi mi direte che noi non siamo S. Teresa e che i rapimenti non sono cosa di tutti i giorni. D’accordo, ma S. Teresa vuol far capire che purché vi sia la buona volontà iniziale di mettersi a pregare, Dio agisce in noi indipendentemente da quello che proviamo durante la preghiera; e se i rapimenti sono esperienze rare, le distrazioni, mancanza di concentrazione ed acciacchi vari capitano a tutti noi.
D’altra parte, se la nostra orazione consiste nell’assistere alla Messa, ci sarà per noi molto più che un rapimento: Dio stesso sarà presente sull’altare alla consacrazione e si darà a noi nella comunione, tutto d’un pezzo, corpo, sangue, anima e divinità; e ciò sia nelle messe VO che in quelle NO; e non c’è barba di prete ignorante, che però dica le parole della consacrazione, che possa impedire l’incontro con Cristo nell’Eucarestia.
Ed allora sono pienamente condivisibili i robusti accenti di Camillo Langone: “Io non tradirò, io non mi alzerò dal banco, io resterò in chiesa fregandomene dell’arroganza clericale, delle omelie col ditino alzato, dei loro vestiti da becchini alla moda anglicana ossia scismatica. Perché in chiesa mi ci ha portato Dio e non saranno gli uomini a spostarmi.” (Il Foglio, 19 agosto 2015).
Pensare a ciò che è essenziale nella Messa potrà eliminare qualche lamento da perdenti.
"Chiesa" è la comunione dei santi, quelli che ci hanno preceduto e quelli che sono ancora qui a lottare, dovrebbe far capire che le esternazioni di certi membri della gerarchia sono, tutto sommato, abbastanza epidermiche e non intaccano la Chiesa nella sua vita profonda di unione a Cristo, né intaccano quelli che partecipano a quest’unione.
Senza contare che, se una barca fa acqua, non si sta a torcersi le mani aspettando che ne faccia ancora di più, ma si prende un secchio e si comincia a svuotarla.
Analogamente, pensare che Cristo è il capo della Chiesa e che ” è la comunione dei santi, quelli che ci hanno preceduto e quelli che sono ancora qui a lottare, dovrebbe far capire che le esternazioni di certi membri della gerarchia sono, tutto sommato, abbastanza epidermiche e non intaccano la Chiesa nella sua vita profonda di unione a Cristo, né intaccano quelli che partecipano a quest’unione. Senza contare che, se una barca fa acqua, non si sta a torcersi le mani aspettando che ne faccia ancora di più, ma si prende un secchio e si comincia a svuotarla.
E c’è chi si rimbocca le maniche
“
Parrebbe ovvio che tale radice sia l’amore per la Chiesa ed il desiderio che si ripareggi la verità offuscata da insegnamenti erronei.
E magari così fosse.
Io non dubito che si tratti spesso di sentimenti sinceri, ma dobbiamo chiederci – perché, con l’aiuto fidato del principe della menzogna, facciamo presto ad ingannare noi stessi – quanto dell’indignazione e dolore manifestati siano per la situazione della Chiesa e quanto siano invece per il nostro disagio personale.
Poniamo il caso del fedele che rimpiange di non poter assistere alla Messa VO, o di poterlo fare solo con grave disagio.
Siamo sicuri che il dolore di questo fedele sia dovuto al fatto che la Messa NO non è centrata come dovrebbe su Cristo sacerdote e vittima, o non può essere che il nostro ipotetico fedele rimpiange i sentimenti, le emozioni, le riflessioni, insomma tutto l’ambiente della celebrazione VO in cui egli si sente a suo agio.
Se è questo il caso, al nostro ipotetico fedele privato involontariamente delle sensazioni di devozione e raccoglimento e di un ambiente che li favorisca potrà forse giovare questo stralcio dalla prima delle “Relazioni spirituali” di S. Teresa di Gesù.
Le “Relazioni” sono resoconti sullo stato della sua anima che la santa inviava al suo confessore.
Il testo è tratto dalle “Opere”, 2a edizione (Roma 1949) p. 403. “Molte volte invece, non solo il mio spirito non si ferma su Dio, ma si porta pure a cose indifferenti, sino a parermi di non poter fare orazione neppure sforzandomi, causa qualche grande aridità resa più grave dai dolori corporali.
Ma po d’improvviso il raccoglimento e l’elevazione di spirito s’impossessano irresistibilmente di me, inondandomi in un solo istante di tutti quei vantaggi ed effetti che dopo si vedono.
E ciò senza aver visioni o intendere cosa alcuna: anzi, in quel momento non so neppure dove io sia.”
Dice dunque S. Teresa che spesso le è impossibile pregare a motivo di distrazioni, impossibilità di concentrarsi e dolori fisici vari; ma il Signore interviene comunque imprevedibilmente con quelli che lei definisce “rapimenti”, precisando però che non vi sono né visioni né rivelazioni – nulla, insomma, che ricordi un dipinto di Guido Reni.
Teresa dice semplicemente di non sapere dove sia; potremmo dire, più prosaicamente, che è fuori di testa.
Voi mi direte che noi non siamo S. Teresa e che i rapimenti non sono cosa di tutti i giorni. D’accordo, ma S. Teresa vuol far capire che purché vi sia la buona volontà iniziale di mettersi a pregare, Dio agisce in noi indipendentemente da quello che proviamo durante la preghiera; e se i rapimenti sono esperienze rare, le distrazioni, mancanza di concentrazione ed acciacchi vari capitano a tutti noi.
Ed allora sono pienamente condivisibili i robusti accenti di Camillo Langone: “Io non tradirò, io non mi alzerò dal banco, io resterò in chiesa fregandomene dell’arroganza clericale, delle omelie col ditino alzato, dei loro vestiti da becchini alla moda anglicana ossia scismatica. Perché in chiesa mi ci ha portato Dio e non saranno gli uomini a spostarmi.” (Il Foglio, 19 agosto 2015).
Pensare a ciò che è essenziale nella Messa potrà eliminare qualche lamento da perdenti.
"Chiesa" è la comunione dei santi, quelli che ci hanno preceduto e quelli che sono ancora qui a lottare, dovrebbe far capire che le esternazioni di certi membri della gerarchia sono, tutto sommato, abbastanza epidermiche e non intaccano la Chiesa nella sua vita profonda di unione a Cristo, né intaccano quelli che partecipano a quest’unione.
Senza contare che, se una barca fa acqua, non si sta a torcersi le mani aspettando che ne faccia ancora di più, ma si prende un secchio e si comincia a svuotarla.
Quarto puntino sulla “i”: il rimboccarsi le maniche e lavorare per il regno di Dio.
C’è chi lo fa; ecco qualche esempio, rigorosamente non inventato.
Un bel dì del giugno scorso mi trovavo su un treno che da Verona andava al nord.
Poco dopo Verona salì un religioso – dal saio pareva francescano – e venne a sedersi vicino al passeggero che stava di fronte a me.
Quello schizzò via come morso dalla tarantola – vi sono ancora, evidentemente, quelli che pensano che i religiosi portano iella – ed il frate ed io restammo comodamente seduti nello scompartimento.
Lui non perdette un minuto.
Con calma serafica tirò fuori il breviario e si mise a recitarlo.
Poi fu la volta del rosario.
E fra una preghiera e l’altra il buon frate non mancò di far merenda, e che merenda: una bottiglietta d’acqua e due crackers.
Finito il lauto pasto, il mio compagno di viaggio cominciò a leggere alcuni libri che estraeva uno alla volta dalla sua sacca, dove già c’erano il breviario, la bottiglietta d’acqua ed i crackers.
Nel frattempo avevo detto anch’io il Rosario, però a rilento, con frequenti pause perché lo sguardo indugiava su quelle montagne note e pur sempre nuove.
Giunti a Bressanone il religioso si alzò; era arrivato a destinazione e, come vuole la buona creanza, mi salutò brevemente augurandomi buon viaggio.
Ma c’era in quel saluto – uniche parole pronunciate durante tutto il tragitto – uno sguardo di tacita complicità.
E quella complicità mi fu di buon auspicio e mi fece compagnia mentre continuavo il viaggio verso il brumoso nord.
E poi ci sono le suore (che in Europa stanno per scomparire ... N.d.R.)
A vederle, nella chiesa dove vanno ogni giorno a pregare, si direbbero un manifesto vivente del declino della Chiesa visibile.
Perché sono poche e quasi tutte in età molto avanzata; un drappello sparuto e non più tanto saldo sulle gambe, che pure continua ogni giorno, con fedeltà cocciuta a quanto promesso al Signore ormai tanti anni fa, a recarsi in chiesa sera e mattina per l’ufficio divino.
Ma se questa è la loro prima occupazione, ve ne sono altre; innanzitutto bisogna mandare avanti chiesa e convento, cose che le suore fanno senza aiuto alcuno, e poi c’è l’accoglienza a seminaristi, studenti, a famiglie di immigrati, e tutto in silenzio, perché c’è chi parla d’accoglienza e c’è chi, invece, la fa.
“Il Signore dà la forza”, dice con tutta semplicità la Madre superiora.
La forza di fare quello che agli occhi di una società laicizzata appare come un perfetto esercizio in futilità: il recarsi a pregare in una chiesa semivuota ad ore tutto sommato abbastanza impossibili, giorno dopo giorno.
C’è chi lo fa; ecco qualche esempio, rigorosamente non inventato.
Un bel dì del giugno scorso mi trovavo su un treno che da Verona andava al nord.
Poco dopo Verona salì un religioso – dal saio pareva francescano – e venne a sedersi vicino al passeggero che stava di fronte a me.
Quello schizzò via come morso dalla tarantola – vi sono ancora, evidentemente, quelli che pensano che i religiosi portano iella – ed il frate ed io restammo comodamente seduti nello scompartimento.
Lui non perdette un minuto.
Con calma serafica tirò fuori il breviario e si mise a recitarlo.
Poi fu la volta del rosario.
E fra una preghiera e l’altra il buon frate non mancò di far merenda, e che merenda: una bottiglietta d’acqua e due crackers.
Finito il lauto pasto, il mio compagno di viaggio cominciò a leggere alcuni libri che estraeva uno alla volta dalla sua sacca, dove già c’erano il breviario, la bottiglietta d’acqua ed i crackers.
Nel frattempo avevo detto anch’io il Rosario, però a rilento, con frequenti pause perché lo sguardo indugiava su quelle montagne note e pur sempre nuove.
Giunti a Bressanone il religioso si alzò; era arrivato a destinazione e, come vuole la buona creanza, mi salutò brevemente augurandomi buon viaggio.
Ma c’era in quel saluto – uniche parole pronunciate durante tutto il tragitto – uno sguardo di tacita complicità.
E quella complicità mi fu di buon auspicio e mi fece compagnia mentre continuavo il viaggio verso il brumoso nord.
E poi ci sono le suore (che in Europa stanno per scomparire ... N.d.R.)
A vederle, nella chiesa dove vanno ogni giorno a pregare, si direbbero un manifesto vivente del declino della Chiesa visibile.
Perché sono poche e quasi tutte in età molto avanzata; un drappello sparuto e non più tanto saldo sulle gambe, che pure continua ogni giorno, con fedeltà cocciuta a quanto promesso al Signore ormai tanti anni fa, a recarsi in chiesa sera e mattina per l’ufficio divino.
Ma se questa è la loro prima occupazione, ve ne sono altre; innanzitutto bisogna mandare avanti chiesa e convento, cose che le suore fanno senza aiuto alcuno, e poi c’è l’accoglienza a seminaristi, studenti, a famiglie di immigrati, e tutto in silenzio, perché c’è chi parla d’accoglienza e c’è chi, invece, la fa.
“Il Signore dà la forza”, dice con tutta semplicità la Madre superiora.
La forza di fare quello che agli occhi di una società laicizzata appare come un perfetto esercizio in futilità: il recarsi a pregare in una chiesa semivuota ad ore tutto sommato abbastanza impossibili, giorno dopo giorno.
Queste suore non hanno tempo per far le pulci ai discorsi del Papa o per scandalizzarsi delle varie pecche ecclesiastiche.
Hanno gli occhi fissi al Signore e tutto il resto è paglia.
E l’operosità di queste anime – il frate di Bressanone, le religiose – è il miglior rimedio contro i lamenti da perdenti ed il cronico piangersi addosso.
Perché la Chiesa vive (lo hanno detto in tanti) come un fuoco sotto la cenere, ed un giorno divamperà.
Ma a ben guardare, già si vede questa vampa nella vita di chi ha scelto di nulla anteporre all’amore di Dio.
Ma a ben guardare, già si vede questa vampa nella vita di chi ha scelto di nulla anteporre all’amore di Dio.
Luciana Cuppo
( che ringraziamo ...)
Foto di Mark Micallef Perconte :
Malta, Solennità dell'Assunta 2015 nelle Parrocchie di Gudja e di Mosta.
Ma non vi accorgete che il blog sta morendo?
RispondiEliminaLo avete ereditato che faceva anche 9000 visite al giorno e adesso siamo arrivati agli scritti della Sig.ra Cuppo che sembra un temino di quinta elementare.
Rispondo sommariamente all'Anonimo di ieri delle 17:24 che non può conoscere i dati interni del blog ne' le "visite" che giornalmente riceve.
EliminaE' facile screditare il blog con battute sommarie, che rasentano la diffamazione del tipo il "blog sta morendo" .
Il blog gode di buona salute tant'è che alcuni siti tradizionali ( mi riferisco per esempio a Disputationes Teologiae ) hanno bisogno della vetrina di MiL per far conoscere le proprie idee e i propri scritti.
E così anche altri siti analoghi.
Dovrei citare tutti coloro che "hanno bisogno" di MiL come vetrina d'informazione ecclesiale tradizionale?
La signora Cuppo, a cui abbiamo chiesto per cortesia un articolo, considerate le belle ed apprezzate parole che aveva scritto come commento in alcuni recenti post, evidentemente ha centrato il problema.
Ne è prova proprio questo commento così pieno di acredine che non ha nulla di cristiano.
Non ho certamente voglia di continuare a "colloquiare" con un anonimo che forte della sua posizione scrive cose che non stanno ne' in cielo ne' in terra.
Ancora una lamentela! A contrario di NN, trovo che il "temino" sia proprio centrato.
RispondiEliminaDobbiamo essere sempre propositivi .... e magari fare come il frate, l'autrice e le suore affidarci alla forza della preghiera.
Meglio i "temini" della cuppo che le untuosita' della Siccardi. E viva questo blog, che risente anch'esso dell'estate...ma ancora per poco
RispondiEliminaGrazie!
RispondiEliminail terzo passeggero sotto il saio aveva visto il Sarchiapone.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaRISCRIVO CERCANDO DI FARE MENO ERRORI POSSIBILE.
RispondiEliminaRepetita iuvant.
Coloro che non hanno accesso al sistema operativo interno non possono "conoscere i dati interni del blog ne' le "visite" che giornalmente riceve.
E' facile screditare il blog con battute sommarie, che rasentano la diffamazione del tipo il "blog sta morendo" .
Il blog gode di buona salute tant'è che alcuni siti tradizionali ( mi riferisco per esempio a Disputationes Teologiae ) hanno bisogno della vetrina di MiL per far conoscere le proprie idee e i propri scritti.
E così anche altri siti analoghi.
Dovrei citare tutti coloro che "hanno bisogno" di MiL come vetrina d'informazione ecclesiale tradizionale?"
Noi non stiamo in adorazione laica dei numeri ne' dobbiamo copiare il modo laico di intendere la comunicazione ( = informazione guidata).
La nostra informazione ecclesiale è una catechesi di carattere tradizionale.
Non concordo con le conclusioni di questo articolo, come non concordo con tutte le minimizzazioni e/o generalizzazioni, comprese quelle a commento dell'articolo.
RispondiEliminaL'errore più marcato, a mio avviso (e ci tengo a sottolineare, A MIO AVVISO), che patiamo da Cattolici Tradizionali è non tanto la disunità di obiettivi, ma a volte di metodo, e spesso anche di intenti.
Si è inaugurata, con l'assiepamento sui media di Rete del "radicalismo" (di vari partiti ecclesiali), l ' "occhio per occhio, dente per dente". Sarebbe a dire che ad ogni punta di veemenza o di esagerazione in un senso, si "controbilancia" col contrario.
Così non si fa affatto informazione ( e formazione), ma si duella. Dialetticamente e ideologicamente. Il contrario della Formazione è il Partito. Il contrario della disputa teologica o della critica costruttiva, è la fazione. Che esiste anche in questo articolo, che intenderebbe "dare morale", criticando il piagnisteo. Mentre invece fa il piagnisteo contrario .... a chi lo fa.
Si può concordare, come ripeto, in linea generale, sulla inutilità del "lamento" e sulla futilità dello zelo "amaro". Ma chi lo critica, ancora non mostra di analizzare realmente la situazione, cosa che sarebbe doverosa per chi si pone in disaccordo con qualcosa e/o qualcuno. Se non altro per dare basi solide al proprio argomentare, senza le quali risulterebbe un...piagnisteo!
Dal mio punto di vista, se una "giustificazione" in più deve esserci per qualcuno, quella dovrebbe essere per i "zelanti amari", i "lamentosi", gli "insopportabili" del "tradizionalismo". Anche per i mestieranti, gli ideologi, i radicalisti del lamento. Perché? Perché "sfruttano" un fatto innegabile, epocale, ingiustificabile: il crollo della Fede e della Liturgia Cattolica, e una apostasia nemmeno più "silente". I tempi che corrono sono eccezionali, incredibili e forse irripetibili nella storia della Chiesa. Trattarli come fossero "simili ad altri tempi", portando esempi di altre crisi ecclesiali, non rende giustizia né a chi lo dice, né a chi lo pensa. Oggi è messa in discussione l'esistenza stessa, l'essenza stessa, e la realtà stessa della Chiesa, ma prima ancora di Gesù Cristo e del Vangelo! Ed è messa in discussione, presumibilmente, dalla stessa CHIESA! Il che impone di "comprendere" l'assurdità della situazione, e la indiscutibilità del "lamento". Poi si può criticare l'ossessività e l'infertilità dell'atto che non va oltre. Ma se si dice che la Chiesa è in una crisi di Fede e Liturgia allucinante, che il NOM è un disastro, che i Sacramenti sono stati scarnificati e che sono stati banalizzati, che non si riesce a partecipare serenamente alla Liturgia "ordinaria", che è criticabile, che è sbagliata, che la Fede in Cristo viene "nascosta", ecc, ecc, SI DICE IL VERO! Se si dice che i Papi hanno, da 50 anni, "deposto" il proprio MUNUS, limitandosi allo stretto indispensabile, SI DICE IL VERO. Tanto che occorre fare l'ermeneutica dei loro discorsi, sovente provocano scandalo tra i fedeli. E se qualcuno fa emergere questo scandalo, è pure accusato di disobbedienza e insubordinazione! QUESTA SAREBBE CARITA'! In realtà non è giustificabile in nessun modo la mancanza di chiarezza, e del Vaticano II (dove non l'ambiguità vera e propria) e dei gerarchi! I quali dovrebbero insegnare CHIARAMENTE e serenamente, le Verità ETERNE, e non quelle temporanee...
Quindi, è vero che si deve andare avanti e che si deve andare oltre il "lamento" (che ci può pure stare, e che è stato fatto anche dei PROFETI), ma è altrettanto vero che lo sconcerto e il dolore per la situazione INCREDIBILE di oggi, può produrre varie reazioni. E che se una giustificazione ci potrà essere, essa dovrà riguardare i "tradizionalisti"!
Criticare si fa bene,ma cercare di essere sempre propositivi.La critica alla Chiesa secondo me giova,visto che ci sono tante cose che non vanno,tante contraddizioni ,speriamo che questo papa dia un'impronta decisiva...
RispondiEliminaArticolo che mi è piaciuto molto.
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