Disputationes Theologicae ha pubblicato un magnifico e documentato saggio di don Stefano Carusi sulla riforma della Settimana Santa ai tempi del pontificato di Pio XII. E' uno studio da leggere, assaporare e studiare, per apprendere, nella comparazione tra l'antico e il nuovo (divenuto presto anch'esso obsoleto: le riforme postconciliari erano alle porte), il senso di moltissimi gesti della liturgia di questa settimana. L'esteso articolo si apre con una sinistra citazione dalla costituzione apostolica Missale romanum del 1969 di Paolo VI:
“Si è sentita l'esigenza che le formule del Messale Romano fossero rivedute e arricchite. Primo passo di tale riforma è stata l'opera del Nostro Predecessore Pio XII con la riforma della Veglia Pasquale e del Rito della Settimana Santa, che costituì il primo passο dell'adattamento del Messale Romano alla mentalità contemporanea”
Queste parole gettano retrospettivamente una luce sfavorevole sulla riforma degli anni Cinquanta e le stesse conclusioni del breve saggio non sono encomiastiche per quell'intervento liturgico, che non si limitò ad un 'riaggiustamento' (forse opportuno) degli orari delle cerimonie (la veglia pasquale, come noto, era celebrata fino al 1951 la mattina del Sabato Santo). Il giudizio complessivamente negativo per quella riforma non tange peraltro la venerata figura di Pio XII, cui non si può certo imputare che il suo intervento sia stato un primo passo verso la devastazione liturgica che seguì, dato che solo noi posteri possiamo ricostruire, col senno di poi, quel tragico itinerario discendente. Ecco dunque le conclusioni dell'articolo:
In conclusione, come già affermato, i cambiamenti non si limitarono a questioni di orario, che legittimamente e sensatamente potevano essere modificati per il bene dei fedeli, ma stravolsero i riti secolari della Settimana Santa. Fin dalla Domenica delle Palme si inventa una ritualità verso il popolo e con le spalle alla croce e al Cristo dell’altare, il Giovedì Santo si fanno accedere i laici nel coro, nel rito del Venerdì Santo si riducono gli onori da rendere al Santissimo e si altera la venerazione della croce, nel Sabato Santo non solo si lascia libero sfogo alla fantasia riformatrice degli esperti, ma si demolisce la simbologia relativa al peccato originale e al Battesimo come porta d’accesso alla Chiesa. In un’epoca che dice di voler riscoprire la Scrittura si riducono i passaggi letti in questi importantissimi giorni, e si tagliano proprio i passaggi evangelici relativi all’istituzione dell’eucaristia nei Vangeli di Matteo, Luca e Marco. Nella tradizione ogni volta che si leggeva in questi giorni l’istituzione dell’eucaristia essa era messa in rapporto con il racconto della Passione, ad indicare quanto l’Ultima cena fosse anticipazione della morte sulla croce dell’indomani, ad indicare quanto l’ultima cena avesse una natura sacrificale. Tre giorni erano consacrati alla lettura di questi passi, la Domenica delle Palme, martedì e mercoledì santo, grazie alla riforma l’istituzione dell’eucaristia scompare dall’intero ciclo liturgico!
Tutta la ratio di questa riforma appare permeata da un misto di razionalismo e archeologismo dai contorni a volte fantasiosi. Non si vuole affatto affermare che questo rito manchi della necessaria ortodossia, sia perché l’affermazione non consta, sia perché l’assistenza divina promessa da Cristo alla Chiesa anche in quelli che la teologia chiama “fatti dogmatici” (e fra essi riteniamo debba annoverarsi la promulgazione di una legge liturgica universale) impedisce l’espressione chiaramente eterodossa all’interno dei riti. A fronte di questa precisazione, non ci si può esimere tuttavia dal notare l’incongruenza e la stravaganza di alcuni riti della Settimana Santa riformata, nel contempo si reclama la possibilità e la liceità di una discussione teologica sull’argomento, nella ricerca della vera continuità dell’espressione liturgica della Tradizione.
Negare che l’ “Ordo Hebdomadae Sanctae Instauratus” sia il prodotto di un gruppo di sapienti accademici, cui purtroppo si accompagnarono avventati sperimentatori liturgici, è negare la realtà dei fatti; con il rispetto che dobbiamo all’autorità papale che promulgò questa riforma ci siamo permessi di avanzare le suddette critiche, poiché la natura sperimentale di queste innovazioni richiede che di esse si faccia un bilancio.
Secondo Padre Carlo Braga: questa riforma fu la “testa d’ariete” che scardinò la liturgia romana dei giorni più santi dell’anno, tanto stravolgimento ebbe notevoli ripercussioni su tutto lo spirito liturgico susseguente. In effetti segnò l’inizio di una deprecabile attitudine per cui in materia liturgica si poteva fare e disfare a piacimento degli esperti, si poteva sopprimere o reintrodurre sulla base di un’opinione storico-archeologica, salvo poi rendersi conto che gli storici si erano sbagliati (il caso più eclatante si rivelerà, mutatis mutandis, il tanto decantato “canone di Ippolito”).
La liturgia non è il giocattolo nelle mani del teologo o del simbolista più in voga, la liturgia trae la sua forza dalla Tradizione, dall’uso che la Chiesa infallibilmente ne ha fatto, da quei gesti che si sono ripetuti nei secoli, da una simbologia che non può esistere solo nelle menti di accademici originali, ma che risponda al senso comune del clero e del popolo, che per secoli ha pregato in quel modo. La nostra analisi è confermata dalla sintesi di Padre Braga, protagonista d’eccezione di quegli eventi: “ciò che non era possibile, psicologicamente e spiritualmente, al tempo di Pio V e Urbano VIII a causa della tradizione (e vorremmo sottolineare questo “a causa della tradizione” nda) della insufficiente formazione spirituale e teologica, della mancanza di conoscenza delle fonti liturgiche, era possibile al tempo di PIO XII”. Pur condividendo l’analisi dei fatti, sia permesso obiettare che la Tradizione, lungi dal costituire un ostacolo alle opere di riforma liturgica, ne è il fondamento. Trattare con sufficienza l’epoca successiva al Concilio di Trento e definire San Pio V e i Papi che gli succedettero, uomini “dalla insufficiente formazione spirituale e teologica” è pretestuoso e pressoché eterodosso nel suo rifiuto dell’opera plurisecolare della Chiesa. Non è un mistero che questo fu il clima negli anni ’50 e ’60 durante le riforme. Sotto pretesto d’archeologismo si finisce per sostituire alla saggezza millenaria della Chiesa, il capriccio dell’arbitrio personale. Così facendo non si “riforma” la liturgia, ma la si “deforma”. Sotto il pretesto di restaurare aspetti antichi, sui quali esistono studi scientifici di valore dubbio e altalenante, ci si sbarazza della tradizione e, dopo aver squarciato il tessuto liturgico, si fa un vistoso rammendo ricucendovi un reperto archeologico di improbabile autenticità. L’impossibilità di resuscitare nella loro integralità riti che, se esistiti, sono morti da secoli, fa sì che il resto dell’opera di “restauro” sia lasciato allo sfogo della libera fantasia degli “esperti”.
Il giudizio globale sulla riforma della Settimane Santa, ma non solo, in ragione del carattere di assemblaggio artefatto e di attuazione di intuizioni personali, mal raccordate con la tradizione, è complessivamente alquanto negativo, essa non costituisce certo un modello di riforma liturgica. Si è analizzato il caso della riforma del 1955-56, perché fu, secondo Annibale Bugnini, la prima occasione d’inaugurare un nuovo modo di concepire la liturgia.
I riti nati da questa riforma furono universalmente praticati nella Chiesa per pochissimi anni, in un susseguirsi continuo di riforme. Oggi quel modo artefatto di concepire la liturgia sta tramontando. Una vasta opera di riappropriazione delle ricchezze liturgiche del rito romano si fa strada. Lo sguardo deve andare immancabilmente a ciò che la Chiesa ha fatto per secoli, nella certezza che quei riti secolari beneficiano dell’ “unzione” dello Spirito Santo e in quanto tali costituiscono il modello insostituibile di ogni opera di riforma. L’allora Cardinal Ratzinger ebbe a dire: “nel corso della sua storia la Chiesa non ha mai abolito o proibito forme ortodosse di liturgia, perché ciò sarebbe estraneo allo spirito stesso della Chiesa”, esse, specie se millenarie restano il faro per ogni opera di riforma.
Meno male che qualche sacerdote ha ancora il senso del sacro! Ieri sera la messa "In cena domini" nella mia parrocchia di rito ambrosiano (non dirò qual'è sennò il buon Cardinale Tettamanzi mi rimuove il Parroco) è stata splendida: coro, organo, incenso, ministranti, lettura del libro di Giona e della Passione secondo Matteo, processione eucaristica con l'ombrello ed il velo omerale alla cappella del Santissimo Sacramento. Se fosse stata in latino sarebbe stata un'apoteosi, ma va bene anche così. Deo gratias!
RispondiEliminaOttimo post. La domanda nell'aria è sempre la stessa: ma ce n'era davvero bisogno? Gli elementi vanno modificati quando si determinano stati di squilibrio, che nell'antica configurazione della Settimana Santa NON c'erano. Come si vede, non tutto il male è datato post 1965. Dopo tale data il caos è proliferato, ma - e vado ripetendolo alla nausea perché da queste parti circolano anche acritici adoratori di questo o quel Papa, compreso Pio XII - gravi errori e spettacolari eruzioni di caos si sono avuti anche prima, anche in antichità.
RispondiEliminanon ci si scordi che anche nella riforma del 1955 era all'opera mons. Bugnini e le sue fantasie.l
RispondiEliminaSì, fu Bugnini autore ed ispiratore della riforma della settimana Santa, col suo misto di ignoranza storico-liturgica e progressismo; già Giovanno XXIII ne era scontento. La considerò un inizio di quello che poi fece con Paolo VI.
RispondiEliminaOnore a chi celebra ancora la SETTIMANA SANTA con le rubriche precedenti la riforma sciagurata e dissennata del 1955 8-)
RispondiEliminaA quello che so, gli unici che lo fanno, sono i sedevacantisti (di questo o di quell'istituto o congregazione, specie negli States), quindi, occhio...detto questo ho trovato il post di Disputationes Theologicae molto interessante...in effetti, ha ragione Sullo...ce ne era davvero bisogno?
RispondiEliminalo studio non vuole certo incitare alla disubbidienza e ad usare il messale del 52 al posto del messale del 62; è uno studio liturgico che mostra incongruenze contraddizioni; dobbiamo forse far finta di non vedere tali incongruenze?
RispondiEliminaLo studio vuole, così spero, avviare una riflessione storico-liturgica; dobbiamo ritornare ad avere un sacro rispetto per la liturgia e, se necessario, la Chiesa dovrà porre mano a "riforme" avventate e per nulla "pastorali", ma molto fantasiose.
E' ora di dire : basta con tutti questi liturgisti che pensano di essere i propietari della liturgia e gli unici a capirci qualcosa. La liturgia appartiene al popolo. Se ci sono elementi di stonatura (come era una stonatura la veglia pasquale celebrata alle 10 del mattino) o di errore li si corregga, ma non si vada oltre queste correzioni.
p.s.
Ma oggi, con la riforma liturgica postconciliare, siamo sicuri che non ci siano elementi stonati?
Nalla parrocchia sotto casa la veglia pasquale domani sarà alle 22,30. In una chiesa vicina sarà alle 21, mentre nella cappella di un istituto religioso anch'esso vicino sarà alle 19,30.
Qualsiasi di questi orari e della maggior parte delle celebrazioni in tutte le parrocchie, sono stonate perché tutte celebrate prima dell'alba della domenica.
Più passa il tempo più mi convinco che lo sfascio sia iniziato sotto il lungo pontificato di Pio XII...sembra che il Papa avesse fette di prosciutto agli occhi. In fondo i vescovi Lercaro, Suenes, Dopfner,Bugnini e altri della combriccola modernista erano tutti vescovi di Pio XII...
RispondiEliminauna volta tanto riduciamo le responsabilità di Roncalli e Montini! Il cancro... è iniziato molti anni prima.
Siete degli ignoranti!!Se studiaste invece di dire scemenze su un blog fareste molto meglio!!Che capre
RispondiEliminafacile scrivere due parolette anonimamente, motiva il tuo intervento bello/a, dove stanno gli errori? e poi vediamo chi è sia ignorante che capra, se non anche maleducato!!!!
RispondiEliminaSe l'Ospite delle 15,38 che con grande carità evangelica dà indistintamente dell'ignorante a tutti ci insegnasse qualcosa, anziché lasciarci nell'ignoranza, non farebbe forse meglio?
RispondiEliminaCaprone!
Ma Bugnini non venne dalla luna. Qualcuno ce lo mise nei posti che occupò.
RispondiEliminaLo sfascio non fu e non è un processo lineare. Ma è senz'altro possibile che molte nomine disgraziate abbiano avuto luogo sotto il pontificato di Pio XII.
RispondiEliminaIl caprone che da delle capre alle colombe. Questa non si era ancora vista.
RispondiEliminaLo fanno anche alcuni gruppi di anglicani. Queste sono foto della cerimonia a Londra nella chiesa di St. Magnus the Martyr:
RispondiEliminahttp://ad-dominum.com/?p=3822
Dimenticavo, dicono che anche l'Istituto di Cristo Re usi le antiche rubriche, pur celebrando la vigilia pasquale la sera e non la mattina, che e` l'unica cosa lodevole della riforma, a mio avviso.
RispondiEliminaQuesta davvero non la sapevo...naturalmente, mi pare un'ottima cosa (ovvero, la possibilità di poter partecipare a Messe ante-riforma bugniniana senza per questo doversi buttare tra i sedevacantisti o gli anglicani ancora scismatici), però sapevo che l'unico messale permesso fosse quello del 1962...è corretto?
RispondiEliminaDicono che l'ICR abbia un indulto.
RispondiEliminaAndate a Gricigliano, è un vero paradiso! Che il Signore e la Santa Vergine Regina Confessorum proteggano sempre l'ICRSS.
EliminaPosseggo un CD, con l'Uffitium Taenaebrarum stiLe XIX Secolo, registrato nel 1980, presso la Cattedrale Vetero-cattolica di Utrech. L'ho comprato alcuni ani fa, presso un centro New Age. Un frequentatore di tale centro, mi disse che era pratico della Liturgia Tridentina, visto che più volte era stato a Messa, in provincia di Asti, da un eremita finlandese, prete di uno scisma della Chiesa Cattolica Liberale.
RispondiEliminaPosseggo un CD, con l'Uffitium Taenaebrarum stiLe XIX Secolo, registrato nel 1980, presso la Cattedrale Vetero-cattolica di Utrech. L'ho comprato alcuni ani fa, presso un centro New Age. Un frequentatore di tale centro, mi disse che era pratico della Liturgia Tridentina, visto che più volte era stato a Messa, in provincia di Asti, da un eremita finlandese, prete di uno scisma della Chiesa Cattolica Liberale.
RispondiEliminaSono tornato ora dall'azione liturgica del Venerdì Santo (secondo le riforme del '56), si tratta di un rito stravolto, ora ne sono convinto.
RispondiEliminaSe perfino gli scismatici (veterocattolici), gli eretici (anglicani e sedevacantisti) e, addirittura, i non cristiani (non mi si dica che una Chiesa, come quella Cattolica Liberale, che crede nella metempsicosi sia cristiana) hanno conservato queste tradizioni e forme liturgiche, siamo messi davvero bene...
RispondiEliminaChi conosce la storia della liturgia, non si sorprende. Per secoli Roma ha distrutto o tentato di distruggere liturgie tradizionali. Infine, si e` rivolta contro se stessa. Ti consiglio questo libro, che uscira` in nuova edizione quest'anno:
RispondiEliminahttp://www.amazon.com/Banished-Heart-Heteropraxis-Catholic-Fundamental/dp/0567442209/ref=tmm_pap_title_0
Ottimo articolo, che mi trova più che d'accordo.
RispondiEliminaLe uniche riforme rubricali del '55 con un qualche senso sono, a mio avviso, la modifica della preghiera per l'autorità al Venerdì Santo (non essendoci più l'imperatore) e, forse, lo spostamento serale della celebrazione del Sabato Santo/Veglia di Pasqua: per tutto il resto, siamo chiaramente alle prese con il primo tentativo nella storia di un cambio artificiale della liturgia cattolica.
Essendo la Settimana Santa tradizionale un "corpo estraneo" nella liturgia, con regole, particolarità e anche paramenti e suppellettili tutte sue, essa ben si prestava a svolgere il ruolo laboratorio sperimentale: se si fosse riusciti a cambiare la Settimana Santa, creando da nuovo un rito, poi si sarebbe potuto cambiare e rifare anche tutto il resto. Rifare, però, non in maniera armonica, "tradizionale" appunto, bensì creando artificialmente, a tavolino, qualcosa di completamente nuovo. Come poi è stato effettivamente fatto, per giunta dagli stessi soggetti (Bugnini).
Ritengo che sarebbe veramente tempo per allargare e approfondire la discussione sulla Settimana Santa pre-1955: anche se temo, però, che dovrà passare ancora parecchio tempo, prima che si muova qualcosa nel senso di un recupero del rito tradizionale.
In merito allo stesso argomento, segnalo altri 3 link interessanti:
1) l'eccellente serie di articoli sulla riforma della Settimana Santa del 1955, apparsa l'anno scorso sul sito di "New Liturgical Movement", ad opera di Gregory DiPippo. Gli articoli, in inglese, sono 9, divisi in 11 parti. Ecco il link all'ultimo apparso, in cui sono riportati anche gli indirizzi di tutti gli altri:
http://www.newliturgicalmovement.org/2009/05/compendium-of-1955-holy-week-revisions_11.html
2) il "St. Lawrence Press Blog", che sta pubblicando, giorno per giorno, dei curatissimi articoli (con foto), in merito alle differenze tra la Settimana Santa tradizionale, e quella post-1955:
http://ordorecitandi.blogspot.com/
Il blog, anch'esso in inglese, è curato dall'utente "Rubricarius" che appare nei commenti agli articolo di "New Liturgical Movement".
3) l'articolo di monsignor Gromier (in francese) sulla riforma del '55, citato anche nell'articolo di don Stefano Carusi:
http://www.salve-regina.com/Liturgie/Semaine_sainte_Gromier.htm
Stefano
E' un tema davvero complesso, e cmq ringrazio la redazione di avere avuto il coraggio di inserirlo. Parlare di queste cose nn vuol dire essere filo sedevacantisti. Vuol dire ragionare. Per la prima volta nella mia vita ho partecipato a tutte le celebrazioni, giovedi' santo, funzione delle 3, via crucis serale ect. Tutte novus ordus, disgraziatamente. L'ho fatto per disponibilita' di tempo e con lo spirito di sforzarmi di camminare sulle orme di Chi in quei giorni attraversava il deserto e la morte anche per noi.
RispondiEliminaAl di la' delle mie motivazioni personali, resta un senso di grande confusione. Riti fondamentali evidentemente sono stati alterati, e resi fertili per l'immissione di un pensiero personalista. Al venerdi' pregare per la liberta' religiosa mi ha fatto sorridere ed ho rifiutato di dire il prescritto Amen. Credo in tempi di grande confusione, sia necessario ripartire dalla base, considerando il punto di arrivo della nuova riforma con i suoi limiti. Ho partecipato anche ad una via crucis in cui nn si faceva eco di una stazione, e dico nn una.
Una considerazione su Pio XII, che ho sempre pensato la perfezione. Grandissimo papa, ma anche lui sbaglio' evidentemente. E questo ci insegna e ci rimanda all'unica perfezione esistente che e' quella del Dio uno e trino. Una lezione di umilta' x noi tutti.
Pregherei la redazione di ritornare sul caso francese del parrocco rimosso. Paix liturgique parla di un Card. 23, artefice del successo, e convinto di dare l'affondo finale ai tradi francesi, approffittando delle debolezze di B XVI.
Come avevo postato anche io giorni fa', la rimozione del parroco, avvallata da Roma, sembrerebbe la vittoria dell'episcopato francese.
Denunciamo rapidamente se possibile ogni mossa sleale del cardinale-matematico, che sembra forse il nemico piu' implacabile della tradizione liturgica.
Secondariamente chiedo chi tra i tradizionalisti nn sedevacantisti e' autorizatto a celebrare il triduo ante riforma di Pio XII e grazie a quale provvedimento.
Grazie a chi vorra rispondere.
I sedevacantisti di Mater Boni Consilii propongon di tornare addirittura al Breviario precedente a Pio 10°. Quelli di Rore Sanctifica dichiarano invalide le ordinazioni episcopali e presbiterali successive al Vaticano 2°. Messainlatino è sulla "buona strada" (e io pensavo che si fosse fermata all'ottocentismo eteroclito di Guido Marini http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/article-insipienza-liturgica-47671683.html e invece no, no si ferma). Una proposta, perchè no tornate a come celebrava Gesù?
RispondiEliminaE' lecito porsi degli interrogativi di studio o la Chiesa intera deve obbedire alle fantasie di Bugnini, Braga e Marini il Vecchio?
RispondiEliminaVedi sopra.
RispondiEliminaPREMESSO CHE: l'IMBC non sono sedevacantisti ed usano le rubriche di San Pio X; PREMESSO CHE gli studi sulla dubbiosità delle Ordinazioni, così come sono state riformate nel 1968 ed imposte dopo il 1972 non mancano, caro il mio oOspite, non essere semplicistico Ninja Superiore di fujibaiaschi
RispondiEliminaPREMESSO CHE: l'IMBC non sono sedevacantisti ed usano le rubriche di San Pio X; PREMESSO CHE gli studi sulla dubbiosità delle Ordinazioni, così come sono state riformate nel 1968 ed imposte dopo il 1972 non mancano, caro il mio oOspite, non essere semplicistico Ninja Superiore di fujibaiaschi
RispondiEliminaPerché la tradizione è una cosa, e l'archeologismo un'altra.
RispondiEliminaTradizione è, come l'etimo suggerisce, ciò che viene tramandato. Il tramandare non esclude l'innovazione, anzi essa è prevista: perché, quando si ha chiaro cosa significa tramandare, l'innovazione sarà sempre graduale, armonica, non artificiale, e si innesterà naturalmente su ciò che è stato tramandato, rendendolo più bello e prezioso.
L'archeologismo di chi propone recuperi del sacramentario Gelasiano (e, non casualmente, sono gli stessi che hanno scritto, a tavolino, le riforme del '55 e la Messa nuova), o di chi suggerisce ritorni "a come celebrava Gesù", ha invece come obiettivo l'instaurazione di una "tradizione" finta. Una tradizione morta, poichè sepolta dai secoli e senza alcuna memoria, e non una tradizione viva, come invece quella legata all'uso e alla prassi della Chiesa.
Alla fine, l'archeologismo altro non è che modernismo sotto mentite spoglie perché, con la scusa del "ritorno al principio", se ne inventa uno a suo uso e consumo, al fine di cancellare tutta quella tradizione che, invece, è l'unica garante di un legame ininterrotto con tale principio.
Comunque, per rispondere a questi dubbi, basta leggersi la "Mediator Dei" di Pio XII: è tutto lì.
Perché la tradizione è una cosa, e l'archeologismo un'altra.
RispondiEliminaTradizione è, come l'etimo suggerisce, ciò che viene tramandato. Il tramandare non esclude l'innovazione, anzi essa è prevista: perché, quando si ha chiaro cosa significa tramandare, l'innovazione sarà sempre graduale, armonica, non artificiale, e si innesterà naturalmente su ciò che è stato tramandato, rendendolo più bello e prezioso.
L'archeologismo di chi propone recuperi del sacramentario Gelasiano (e, non casualmente, sono gli stessi che hanno scritto, a tavolino, le riforme del '55 e la Messa nuova), o di chi suggerisce ritorni "a come celebrava Gesù", ha invece come obiettivo l'instaurazione di una "tradizione" finta. Una tradizione morta, poichè sepolta dai secoli e senza alcuna memoria, e non una tradizione viva, come invece quella legata all'uso e alla prassi della Chiesa.
Alla fine, l'archeologismo altro non è che modernismo sotto mentite spoglie perché, con la scusa del "ritorno al principio", se ne inventa uno a suo uso e consumo, al fine di cancellare tutta quella tradizione che, invece, è l'unica garante di un legame ininterrotto con tale principio.
Comunque, per rispondere a questi dubbi, basta leggersi la "Mediator Dei" di Pio XII: è tutto lì.
Perché la tradizione è una cosa, e l'archeologismo un'altra.
RispondiEliminaTradizione è, come l'etimo suggerisce, ciò che viene tramandato. Il tramandare non esclude l'innovazione, anzi essa è prevista: perché, quando si ha chiaro cosa significa tramandare, l'innovazione sarà sempre graduale, armonica, non artificiale, e si innesterà naturalmente su ciò che è stato tramandato, rendendolo più bello e prezioso.
L'archeologismo di chi propone recuperi del sacramentario Gelasiano (e, non casualmente, sono gli stessi che hanno scritto, a tavolino, le riforme del '55 e la Messa nuova), o di chi suggerisce ritorni "a come celebrava Gesù", ha invece come obiettivo l'instaurazione di una "tradizione" finta. Una tradizione morta, poichè sepolta dai secoli e senza alcuna memoria, e non una tradizione viva, come invece quella legata all'uso e alla prassi della Chiesa.
Alla fine, l'archeologismo altro non è che modernismo sotto mentite spoglie perché, con la scusa del "ritorno al principio", se ne inventa uno a suo uso e consumo, al fine di cancellare tutta quella tradizione che, invece, è l'unica garante di un legame ininterrotto con tale principio.
Comunque, per rispondere a questi dubbi, basta leggersi la "Mediator Dei" di Pio XII: è tutto lì.
Le riforme di Pio XII sono da rigettare interamente.
RispondiElimina