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lunedì 4 gennaio 2010

Tempeste postconciliari: il Concilio di Rimini e gli ariani

Il Battistero degli Ariani, Ravenna

di Manlio Simonetti

Il concilio del 359, l'avvenimento grazie al quale la chiesa di Rimini si presenta alla ribalta della storia, rappresentò un momento importante, ancorché non favorevole all'ortodossia, nel lungo e complesso itinerario della controversia ariana nel corso del IV secolo. Nessuno dei tanti concili, ecumenici e no, celebrati durante quel secolo, raccolse un numero tanto grande di partecipanti, circa 400 soltanto tra gli occidentali, nessuno fu preparato con tanta cura dalle varie parti coinvolte nel contrasto, nessuno ebbe svolgimento tanto drammatico.

Intorno al 320 un vecchio presbitero di Alessandria, Ario, diffonde una versione radicale della dottrina del lògos, in quanto ne esaspera il subordinazionismo strutturale affermando che anche il lògos divino è stato creato da Dio, ancorché in una condizione di privilegio riguardo al resto della creazione. Ario è condannato ad Alessandria, ma trova vari consensi in oriente tra gli avversari più accesi del monarchianismo. Nel concilio di Nicea (Asia Minore), il primo ecumenico indetto dall'imperatore Costantino e celebrato nel 325, Ario viene condannato a opera di una coalizione di origeniani moderati e di monarchiani più e meno radicali. Ma, troppo esposto in senso monarchiano, il simbolo niceno suscitò forte opposizione in oriente e la reazione, favorita dall'imperatore che era consapevole di avere in precedenza forzato troppo la mano al concilio, provocò, a seguito di accuse di vario genere, la deposizione dei rappresentanti più importanti del partito antiariano, tra i quali erano il monarchiano radicale Marcello di Ancira e Atanasio, il giovane vescovo di Alessandria. Quando, dopo la morte di Costantino (337), l'impero fu momentaneamente diviso tra i figli Costante e Costanzo, anche Roma, fino allora assente dal contrasto, entrò in gioco a fianco degli esuli Marcello e Atanasio. Comincia adesso, intorno al 340, un periodo convulso di azioni e reazioni, che porta anche, dopo il fallimento del concilio ecumenico di Serdica (odierna Sofia) nel 343, alla momentanea separazione delle Chiese di oriente e di occidente, e al quale Costanzo, rimasto unico imperatore nel 353, cerca di por termine sbarazzandosi di Atanasio e favorendo l'elaborazione di una formula di fede di significato generico in modo da coagulare intorno a essa una maggioranza di moderati. Ma la ripresa dell'arianesimo radicale con Aezio ed Eunomio, e il tentennare di Costanzo tra un partito e l'altro contribuirono ad aumentare ancora di più il disordine, la confusione, la proliferazione di dottrine e professioni di fede diverse, finché, siamo nel 358, si avvertì l'esigenza di riunire un nuovo grande concilio ecumenico, tale da ristabilire la pace religiosa dell'impero. Dopo le proposte di riunirlo a Nicea o ad Ancira, l'imperatore decise per due concili paralleli, uno per l'oriente da celebrare ad Antiochia di Caria (Asia Minore) e uno per l'occidente da celebrare a Rimini. La decisione di sdoppiare il concilio, facilmente giustificabile con motivazioni di comodo data l'opportunità di evitare di spostare dall'occidente in oriente un ingente numero di vescovi, era stata probabilmente ispirata a Costanzo dagl'influenti vescovi illirici Valente di Mursa e Ursacio di Singidunum (odierna Belgrado), da sempre avversi al partito niceno, i quali temevano il concentramento degli occidentali, poco edotti della materia in discussione ma che si sapevano in grande maggioranza ostili ad Ario, con gli orientali, più frammentati dottrinalmente, in gran parte antiniceni ma anche antiariani e in buon numero perfettamente in grado di affrontare i termini dottrinali del contrasto. Non sappiamo per qual motivo la scelta delle sedi sia caduta su due città un po' fuori di mano, decentrate rispetto a quelle che erano allora le comunità più importanti della cristianità. La spiegazione che possiamo suggerire è che, nella previsione di svolgimento non pacifico dei lavori dei concili, si preferì farli svolgere in sedi tali che i funzionari imperiali incaricati di sorvegliare l'andamento dei lavori fossero in grado di tenere più agevolmente la situazione sotto controllo.

Il concilio si aprì a Rimini verso la fine di maggio del 359. Erano presenti più di 400 vescovi convenuti da tutte le parti dell'occidente. Era completamente assente la sede romana, in quanto il cedimento di Papa Liberio, che esiliato in Tracia si era piegato a sottoscrivere sia la condanna di Atanasio sia la formula di fede di Sirmio del 357, la più esposta in senso filoariano, ne aveva azzerato il prestigio in tutto il mondo cristiano. In apertura fu letta una lettera di Costanzo in data 27 maggio 359 nella quale prescriveva che, terminati i lavori, una delegazione di padri conciliari andasse da lui per incontrarsi con omologa delegazione dei vescovi orientali, e rendeva noto che nessuna delibera avrebbe avuto validità senza la sua approvazione. Era più che evidente, insieme con la riaffermazione dell'assoluto potere che l'imperatore riteneva di poter esercitare anche sul concilio ecumenico, massima espressione della gerarchia della Chiesa, l'invito a espletare rapidamente i lavori sulla base della professione di fede del 22 maggio del 358, la cui approvazione fu infatti richiesta, all'apertura dei lavori, da Valente e Ursacio, i capiparte dell'episcopato antiniceno presente al concilio, circa ottanta vescovi.

Ma la proibizione di far uso del termine ousìa ("sostanza") era di significato chiaramente antiniceno, mentre l'orientamento prevalente dei padri conciliari, estraneo alla complessità dottrinale prevalente in oriente e ostile all'arianesimo, era a favore proprio del simbolo niceno. Perciò la proposta di Valente e Ursacio fu respinta, i due furono oggetto di violenti attacchi e dopo vari giorni di discussione, sulla quale non siamo ragguagliati ma che ipotizziamo tutt'altro che serena e distesa, si giunse all'approvazione di una dichiarazione che ribadiva la validità del credo niceno, respingeva la proibizione relativa al termine ousìa, e prescriveva che non si innovasse più in materia di fede. Ne conseguì l'abbandono della chiesa nella quale si svolgevano i lavori del concilio, da parte di Valente e Ursacio con i loro partigiani, che continuarono a riunirsi per conto loro in un oratorio. Il 21 luglio, su proposta di Greciano, vescovo di Cagli, il concilio condannò Valente, Ursacio e altri capiparte avversari e ribadì la condanna delle fondamentali proposizioni ariane, in termini per altro a volte tali da far intendere che alla maggioranza dei padri conciliari erano rimaste estranee alcune sottigliezze della terminologia in uso tra gli antiariani d'oriente. Considerati terminati i lavori, il concilio inviò a Costantinopoli una delegazione di venti membri.

Valente e Ursacio erano stati più solleciti a raggiungere l'imperatore a Costantinopoli e lo avevano ragguagliato sui risultati del concilio, che non erano stati certo quelli che egli aveva auspicato: in effetti il rifiuto della formula del 22 maggio e soprattutto la riaffermazione del simbolo niceno collocavano l'episcopato occidentale su una linea dottrinale che lo poneva in contrasto non soltanto con i fautori, più o meno scoperti, dell'arianesimo, ma anche con gran parte dell'episcopato d'oriente, antiariano ma anche antiniceno, sì che qui i niceni erano ridotti a ben poca cosa, concentrati soprattutto in Egitto. Era ovvio che Costanzo non potesse accettare l'esito del concilio: rifiutò di ricevere la delegazione inviatagli e la fece sostare ad Adrianopoli, non lontano dalla capitale, in attesa del suo beneplacito. Nel contempo scrisse ai padri conciliari che erano rimasti a Rimini, spiegando che altre esigenze primarie non gli avevano consentito di ricevere la delegazione inviatagli e che, nell'attesa, nessuno dei presenti a Rimini era autorizzato ad abbandonare la città. Successivamente la delegazione fu trasferita da Adrianopoli a Nike, piccola stazione postale della Tracia, dove quei derelitti furono sottoposti a un vero e proprio lavaggio del cervello a opera di Valente, Ursacio e soci, abili ad alternare sottili disquisizioni dottrinali con concrete minacce e a farsi forti del favore dell'imperatore. E in data 10 ottobre 359 la resa fu sanzionata dall'approvazione di un protocollo.

Mentre a Nike si svolgevano questi drammatici fatti, il 27 settembre aveva avuto inizio il concilio di Antiochia di Caria, al quale presero parte circa 160 vescovi. Nel giro di pochi giorni furono rifiutati a gran maggioranza non solo l'homooùsios niceno ma anche la formula di fede del 22 maggio, e fu riesumata la formula di fede di Antiochia del 341, un testo orientale che affermava la piena divinità di Cristo, di tono origenianamente arcaizzante, che taceva dell'homooùsios niceno ma condannava le proposizioni fondamentali della dottrina ariana. Nel frattempo, ritornata a Rimini la delegazione col protocollo della resa, si era nuovamente riunito il concilio. Inizialmente i padri conciliari, che erano rimasti nella città, rifiutarono la loro comunione ai firmatari della resa, ma in seguito, sollecitati e pressati da Valente, Ursacio e i loro partigiani, impauriti dalla dichiarazione del funzionario imperiale, il prefetto Tauro, che per ordine di Costanzo nessuno dei partecipanti al concilio sarebbe potuto ritornare a casa propria se prima non avessero sottoscritto tutti quel protocollo, a poco a poco cominciarono, chi prima chi dopo, a cedere e a sottoscrivere una professione di fede che, semplificata, ricalcava i termini del protocollo di resa. A questo punto, pur pressati dagli avversari e dai colleghi che, anche se avevano sottoscritto, non potevano tornare a casa, resistevano tenacemente una ventina di vescovi, capitanati dai vescovi della Gallia Febadio di Agen e Servazio di Tongres. Allora Valente propose un compromesso che, in quel disperato frangente, sembrò accettabile a Febadio: purché sottoscrivesse, gli si dette facoltà di aggiungere a titolo personale i chiarimenti che desiderasse.

Non restava che comunicare all'imperatore il definitivo esito del concilio. Ne fu incaricata una nuova delegazione, capitanata questa volta dagli onnipresenti Valente e Ursacio. Le ultime sottoscrizioni si ebbero nella notte del 31 dicembre, sì che Costanzo potesse cominciare l'anno nuovo, con cui iniziava il suo decimo consolato, gloriandosi della recuperata pace religiosa dell'impero. Durante i tanti anni intercorsi dal 325, data del concilio di Nicea, al 359, i termini del contrasto tra la fede nicena e la dottrina ariana erano stati ampiamente approfonditi, inizialmente soltanto in oriente, ma successivamente, per opera di dottori quali Ilario, Mario Vittorino, Febadio di Agen, anche in occidente. Era evidente che, di fronte a un tale approfondimento dottrinale dei termini del contrasto in opposte direzioni, una soluzione di esso soltanto formale e di significato politico appariva insufficiente. Ecco perché gli esiti dei concili di Rimini e di Costantinopoli furono allora avvertiti da tutti come una vera e propria grande vittoria dell'arianesimo. Era stato invece il trionfo di Costanzo, e l'imperatore si accinse subito a consolidare il risultato raggiunto, imponendo la sottoscrizione della professione di fede riminese a tutti indistintamente i vescovi della cristianità. Ma non gli fu concesso di insistere a lungo in questa opera di consolidamento. Infatti di lì a poco l'occidente gli si ribellò acclamando imperatore Giuliano, che era suo cugino ma di idee radicalmente diverse dalla sue; egli stesso, prima di arrivare allo scontro decisivo, a seguito di breve malattia morì il 3 novembre del 361, dopo aver nominato in punto di morte suo erede Giuliano: questa morte inopinata e repentina consentì agli sconfitti di Rimini di riaprire le ostilità vanificando gli esiti del concilio.


Da L'Osservatore Romano 6 dicembre 2009

35 commenti:

  1. I vescovi non ariani, compreso Atanasio, erano solo 4, eppure la Chiesa non ci è stata tramandata Ariana... che ci sia una correlazione con l'oggi?

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  2. Una correlazione? indubiamente: nonostante la quasi totalità dei Vescovi sia neomodernista, la Chiesa del futuro sarà antimodernista.
    Perché?
    Perché i neomodernisti non san fare altro che distruggere; quando avran finito l'opera distruttiva distruggeranno se stessi. A quel punto gli antimodernisti avranno il terribile ed immane compito di ricostruzione del cattolicesimo. Ricostruzione comunque già iniziata, in quanto le forze antimoderniste già da tempo, fra mille impedimenti e mille difficoltà, cercano di ricostruire. La Fraternità san Pio X che fa se non ricostruire  (e per alcuni aspetti anche di evitare a piccole porzioni di Popolo di Dio lo tzunami distruttivo neomodernista); che fanno gli Istituti Ecclesia Dei se non ricostruire?
    Che fa il rito di sempre se non ricistruire ciò che il novus ordo ha demolito?

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  3. è triste pensare che molti di noi in questa vita vedranno, ancora per molto tempo, soltanto l'onda lunga della distruzione che si spande attorno a loro, sospingendoli col suo moto inerziale tra gli edifici via via cadenti....
    e giammai l'alba del nuovo giorno della Chiesa ricostruita, semplicemente perchè vivono in lande estese dove c'è ancora molto da demolire e le forze demolitrici sono nel pieno del loro vigore!

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  4. I commenti di questo blog diventano ogni giorno più inclini all'eresia. Altro che Athanasius! Qui ci si permette allegramente di giudicare la sede Apostolica. Ma chi siete padri della Chiesa? Una spremuta di umiltà vi risparmierebbe tanto purgatorio!

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  5. dizionario etimologico4 gennaio 2010 alle ore 15:10

    eresia  = ??

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  6. Eresia è il modernismo, anzi, secondo la Pascendi, è la "sintesi di tutte le eresie".

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  7. Incredibile come anche propio la Sede Apostolica sia stata contaminata dal neomodernismo o come, almeno, dopo il Vaticano II poco o nulla abbia fatto per arginarlo, e molto, direttamente o indirettamente, per favorirlo; dopo che tanto fece in epoca preconciliare per estirparlo.

    Mistero della Fede.

    Non è però una novità:
    anche Pietro, quando venne indicato come un discepolo del Maestro, negò di esserlo.

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  8. Nicolas Gomez Davila4 gennaio 2010 alle ore 15:38

    Il moderno distrugge più quando costruisce che quando demolisce.

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  9. utile lettura per il guest delle 15.07 (e per tutti):
    <span style="font-family: Arial; ">Il seguito del Vaticano II ricorda a Benedetto XVI il "caos totale" succeduto al Concilio di Nicea, il primo della storia. Da quel tempestoso Concilio venne però il "Credo".</span>
    (di Sandro Magister su 
    http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/158061)
    racconta Benedetto XVI:
    <span style="font-family: Arial; ">"Abbiamo tanto sperato, ma le cose in realtà si sono rivelate più difficili...</span>
    <span style="font-family: Arial; ">....Ma perché è andata così? Prima vorrei cominciare con un’osservazione storica. I tempi di un postconcilio sono quasi sempre molto difficili. Dopo il grande Concilio di Nicea – che per noi è realmente il fondamento della nostra fede, di fatto noi confessiamo la fede formulata a Nicea – non è nata una situazione di riconciliazione e di unità come aveva sperato Costantino, promotore di tale grande Concilio, ma una situazione realmente caotica di lite di tutti contro tutti. 
    San Basilio nel suo libro sullo Spirito Santo paragona la situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea a una battaglia navale nella notte, dove nessuno più conosce l’altro, ma tutti sono contro tutti. Era realmente una situazione di caos totale: così descrive con colori forti il dramma del dopoconcilio, del dopo Nicea, san Basilio. "</span>
    <!--EndFragment-->

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  10. L'anonimo ospite delle 15.07.20, prima ci dice che siamo eretici, subito dopo si/ci domanda se siamo  padri della Chiesa, come se i Padri, quelli veri, fossero tutti eretici!

    Ma la cosa più divertente dei neomodernisti è che allegramente si credono di essere dei Padri Eterni condannandoci addirittura a molti anni di Purgatorio.

    Ahahahahahah

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  11. Nicolas Gomez Davila4 gennaio 2010 alle ore 16:06

    Il Concilio Vaticano II più che un'assemblea episcopale sembra una riunione di commercianti spaventati per aver perso la clientela.

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  12. <!--StartFragment-->
    <span style="color: #333333; "><span style=""><!--StartFragment--> </span></span>
    <span style="color: #333333; ">

    <span><span style=" font-family: Verdana; color: #333333;">..... i padri conciliari, che erano rimasti nella città, .......a poco a poco cominciarono, chi prima chi dopo, a cedere e a sottoscrivere una professione di fede che, semplificata, ricalcava i termini del protocollo di resa.</span></span>
    <!--StartFragment-->

    <span><span style="">....i Concili di Rimini e di Costantinopoli furono allora avvertiti da tutti come una vera e propria grande vittoria dell'arianesimo. Era stato invece il trionfo di Costanzo, e l'imperatore si accinse subito a consolidare il risultato raggiunto, imponendo la sottoscrizione della professione di fede riminese a tutti indistintamente i vescovi della cristianità.</span></span><span><span style=""> </span></span>
    <span><span style=""><span style="font-weight: normal;">---------------</span></span></span>
    <span><span style=""><span style="font-weight: normal;"><span style="font-style: normal;">mysterium iniquitatis</span></span></span></span>

    <!--EndFragment-->
    </span>

    <!--EndFragment-->

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  13. "Io non ho paura del diffondersi di false dottrine...
    ho paura della vasta ignoranza (che le accoglie a braccia aperte) !"
    (così diceva un illustre uomo di Chiesa vari decenni fa...)

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  14. Chi difende la Fede e l'ortodossia, pronto a dare la vita per testimoniare la Verità
    di Cristo, che non tollera "ammodernamenti"....costui viene accusato di eresia!
    Mysterium iniquitatis.

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  15. fede e/o potere politico4 gennaio 2010 alle ore 17:22

    Bignamino  (per chi non ha pazienza di leggere neanche wikipedia):
    <span style=" color: #333333; font-style: italic; line-height: 22px; "> professione di fede riminese (=professione di fede ariana)</span>
    imposta con la forza al Sinodo di Rimini del 359, ai Padri conciiliari che,
    <span style=" color: #333333;">impauriti dalla dichiarazione del funzionario imperiale, il prefetto Tauro, che per ordine di Costanzo nessuno dei partecipanti al concilio sarebbe potuto ritornare a casa propria se prima non avessero sottoscritto tutti quel protocollo,<span style="">a poco a poco cominciarono, chi prima chi dopo, a cedere e a sottoscrivere una professione di fede che, semplificata, ricalcava i termini del protocollo di resa.</span></span>
    <!--StartFragment--><!--EndFragment--><!--StartFragment--><span><span style=""> 
    </span></span><!--EndFragment-->

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  16. per chi avesse la pazienza di leggere notizie su fatti mai letti o studiati a scuola,
    un piccolo quadro dell'epoca:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Costanzo_II
         Costanzo II
    "...Sebbene Costanzo sia riuscito alla fine del proprio regno a riunificare la Chiesa in una posizione, il credo "omoeano" o semi-ariano; in realtà furono proprio i teologi da lui messi in minoranza, gli omoousiani radicali, che presero il sopravvento, e alla storia della Chiesa Costanzo e gli ariani sono passati come eretici."
    (eretici sono gli ariani, NON coloro che difendono la vera Fede: cercare su quella pagina la spiegazione di omoousiani, basta solo un po' di pazienza e....di umiltà
    <span style="font-style: normal; "> :)  ...)</span>

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  17. E' da vedere chi sia l'erede degli ortodossi, certo che sappiamo chi appoggia il movimento neotridentino: ieri la massoneria nera, oggi il neoconservatorismo bushiano.

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  18. Ebbene sì, ci hai scoperti! George W. infatti a Santo Stefano è stato visto servire in cotta e turibolo a un vetus a Igea Marina.

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  19. Tra parentesi, il Concilio Vaticano II volle definirsi pastorale e non dogmatico; primo concilio universale della Chiesa a non essere dogmatico. Se non è dogmatico, non siamo tenuti a rispettarne i dettati, a parte la Costituzione dogmatica Lumen Gentium e la Dei Verbum. La seconda non l'ho letta (e temo che non l'abbiano letta neanche i modernisti...); ma della prima mi lasciate dire un commento da villico non teologo ignorante ed evidentemente ereticoide (e degno dell'Inferno per questo)? molto fumo, moltissimo anzi, ma ben poco arrosto e sostanza....

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  20. Il "dogmatico" fu un aggettivo apposto dopo a quanto mi risulta.
    Comunque poco conta Nike. Un concilio della chiesa, "se veramente tale"(per capire che intendo con "veramente" leggete Gherardini), va seguito senza alcun indugio.

    Il Magistero vivente(papa+vescovi), che è "la regola prossima della fede"(Pio XII), si manifesta molto più attraverso la pastorale che le pronunce ex cathedra("pochissime" in tutta la storia).

    La verità è che il concilio non si è ancora capito cosa voglia dal Cattolico, il quale non raramente davanti ad esso è disorientato. Per questo il mio consiglio di sopra. Attendere l' autorità.

    L' argomentazione "è comunque pastorale", fatemelo dire per l' ennesima volta, è una PATACCA.
    Sia dottrinalmente che logicamente.

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  21. Don Curzio Nitoglia sarà un ottimo studioso, ma sostiene una tesi estremistica e inaccettabile: quella del papato materiale, per la quale da Paolo VI in poi, i pontefici occupano materialmente il loro ruolo ma non sono legittimati a farlo avendo aderito all'eresia conciliare.
    Cmq non c'è limite al peggio: i francesi di Rore Sanctifica dichiarano invalide le ordinazioni episcopali col rito conciliare, così che Wojtyla e Ratzinger sarebbe semplici preti...

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  22. Mi sa che ti sei perso almeno 3 anni di vita di Don Curzio Nitoglia.
    La tesi di cassiciacum l' ha abbandonata da tempo e le ragioni le spiega proprio negli articoli da me postati.

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  23. La pastorale applicata spesso è figlia del suo tempo; ovvero, passate alcune generazioni, lo spirito di questo mondo cambia, e quindi cambia anche la maniera (umanamente) vincente per affrontarla... d'altra parte abbiamo un metodo eterno: quello dei Vangeli e degli Atti. Peccato che dopo il Concilio (post hoc, propter hoc?) proprio quel metodo santificato da Lui e dai Suoi apostoli è stato a lungo abbandonato. Grazie a Dio sta tornando nella forma di evangelizzazione di strada e di spiaggia. Senza però che i giovani che la fanno vivano molto di più che l'entusiasmo...
    D'altra parte, direi che cogli nel segno dicendo che il Cattolico non ha capito che cosa gli chiede il Concilio... essendo molto generico ha potuto fare da base a tutte le eresie pratiche con cui ci troviamo a convivere!
    Mi dispiace, non ho letto mons. Gherardini. Lo farò appena potrò. In compenso, posso sapere se hai letto Iota Unum?

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  24. Vero C.C. Vero che Don Nitoglia è extra cassiciacum! ma è altrettanto vero che non è propriamente in Ecclesia! Insomma! Perchè non essere totalmente cattolici obbedienti a Pietro ( magistero è papa+ vescovi se vescovi seguono Papa altrimenti non è magistero!)?
    Don Nitoglia pecca di superbia ogni tanto. Ed ogni tanto è comunque peccato!
    Matteo Dellanoce

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  25. <span>1)I Vescovi sono magistero se seguono il Papa dove?.  
    2)Cosa vuol dire seguire il Papa oggi?  
    3)Quale è la volontà del Papa oggi?.  
     
     
    -Chi lo decide chi segue il Papa e chi no?...tu?...  
    Non credo...  
     
    Da che mondo è mondo infatti, è il Papa(L' autorità ) stesso a dirci chi lo segue e chi no. Esistono le pene canoniche per questo. Prima di esse esistono anche i richiami, i consigli etc etc.  
     
    In ambito "tradizionalista" va tanto di moda urlare la propria fedeltà al Santo Padre. Peccato che essa in realtà non si sa in cosa consista dato che vilipendono vescovi, cardinali e altri principi di chiesa.  
    Lo fanno con la giustificazione che tali principi disobbedirebbero al Papa.  
    Eppure i principi rimangono dove sono, senza nè richiami, nè sanzioni.  
     
    In termini logici dovremmo pensare due cose:  
     
    a)Sbaglia il Papa e hai ragione il "tradizionalista"(tipicamente indultista)  
    b)Il vescovo che tu ritieni disobbediente non sta disobbedendo. Al massimo esprime una "sensibilità" diversa, rientrante nel pluralismo legittimo di Santa Roma Chiesa.  
     
     
    -Tuttavia io non credo in nessuna delle due ipotesi sopra.  
    La verità è che il problema oggi giorno della autorità è talmente radicato da rendere il Santo Padre pressochè impotente di fronte ad alcuni fatti interni. A tal punto da essere non solo in balia di altri soggetti, ma anche incapace realisticamente di far rispettare quantomeno discretamente il diritto canonico(la legge).  
    Nella chiesa oggi non esiste legge. E' un dato di fatto. Lo stesso Papa(che è il Capo assoluto e che dunque teoricamente, <span style="text-decoration: underline;">in condizioni normali</span>, potrebbe intervenire) lo ha dichiarato implicitamente(ma mica tanto) nella lettera ai vescovi di Marzo.  
     
    <span style="text-decoration: underline;">COME SI PUO' DUNQUE IMPUTARE A QUALCUNO DI NON RISPETTARE LA LEGGE IN UNO STATO ANARCHICO?</span></span>
    <span><span style="text-decoration: underline;"></span></span>
    <span><span style="text-decoration: underline;"></span></span>

    RispondiElimina
  26. Le tesi gherardiniane sarebbero che il papa deve chiarire cos'ha detto veramente il concilio? Tanto varrebbe a quel punto dichiarare che i concili sono superflui. Anche se sulle interpretazioni più devianti si è comunque espressa (condannandole) la Congregazione per la dottrina della fede. Non so, a me il concilio non toglie il sonno. Non è stato il concilio a vietare la messa tradizionale e a dire che la Chiese deve diventare una succursale dell'assessorato ai servizi sociali. C'è stato un modo di pensare che è nato prima del concilio e ha in parte influito su di esso, ma si è dispiegato soprattutto dopo di esso e di certo non solo nella Chiesa.

    RispondiElimina
  27. L' autorità deve chiarire come il concilio si concili con la tradizione bimillenaria della Chiesa. Questo dice Gherardini.
    Per il resto lei ha ragione.
    E anzi aggiungo. Non solo il concilio non mi toglie il sonno,ma non è sull' estensione della libertà religiosa o sulla collegialità episcopale che saremo giudicati.
    Solo che questo è anche un forum di discussione e quindi discutiamo anche di queste cose.

    RispondiElimina
  28. <span><span>Nella chiesa oggi non esiste legge. E' un dato di fatto</span></span>

    Sottoscrivo.
    ma allora mi chiedo anche: con quale criterio saremo giudicato, se viene meno anche il riferimento certo del Magistero che indicava con certezza una legge morale da rispettare, mediante un'Autorità indicussa nell'ordine gerarchico, e che oggi invece si presenta soggetta (quasi sottomessa) a critiche e controverse interpretazioni dei suoi comandi?
    Cioè: se viviamo in uno stato di reale anarchia, chi e di che cosa potrà essere giudicato? sembra quasi che, essendo il Gregge allo sbando, ogni pecora sia costretta a "darsi una regolata" da sola, e quindi non sia responsabile di nessuna decisione....("Il Pastore è percosso, il gregge disperso")

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  29. mi pare che la Chiesa con le "aperture al mondo" esposte nel Concilio, abbia dato un buon contributo a quel modo di pensare, purtroppo...; si ritorna sempre alle controverse interpretazioni dei testi conciliari (nelle loro ambiguità)!

    RispondiElimina
  30. <span><span>mi pare che la Chiesa con le "aperture al mondo" esposte nel Concilio, abbia dato un buon contributo a quel modo di pensare, purtroppo...; si ritorna sempre alle controverse interpretazioni dei testi conciliari (nelle loro ambiguità )</span></span>

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  31. Magari dirai che sto offendendo la Cattedra di san Pietro, ma è un dato di fatto che il papa abbia molta paura, troppa. E come ricordava qualcuno tempo fa sul sito, se avere paura è lecito, abiurare è peccato mortale. Ho purtroppo l'impressione che il papa ci lasci abbastanza soli. Potrebbe fare una cosa sola: gridare; ma purtroppo sa già che la maggioranza dei preti, del popolo e dei vescovi farebbe uno scisma. Eppure sappiamo che a volte è necessario tagliare qualcosa perché il resto del corpo viva. Così come è oggi la situazione, le pecore sono allo sbando; i pastori arroganti; gli unici che per anni hanno inghiottito per obbedienza, i tradizionali, vengono derisi, umiliati, tacitati, rinchiusi in chiese secondarie, secondo l'arbitrio di vescovi che solo con loro scoprono tutto il proprio potere. E Roma pare tacere e chiudere gli occhi: non vedo-non sento-non parlo...
    Certo, la disperazione è peccato mortale, ma il semplice scandalo dei piccoli?

    RispondiElimina
  32. Figurati...non stai offendendo nessuno.
    A meno che "fare ipotesi sulla realtà"  sia un' offesa.

    La tua ipotesi di un Papa che ha paura è plausibile.

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  33. La domanda è molto interessante.
    Di certo ne salva molti più l' ignoranza che altro.(questo in tutti i tempi, non di certo solo oggi)
    Ma ne danna altrettanto molto più l' ignavia e l' agnosticismo teologico/morale che l' errore dottrinale.

    Ma andiamo per ordine

    1)<span style="text-decoration: underline;">ASPETTO MORALE</span>

    -Esiste una legge che è implicitamente presente nell' animo/coscienza di ognuno di noi. Sempre e in tutti i tempi. 
    Obbedire a questa Legge <span style="text-decoration: underline;">E'</span> obbligo di ognuno di noi e non esiste ignoranza che tenga.

    ESEMPI:
    a)Un soggetto ateo(un vero ateo) che giunge a tale conclusione erronea in seguito a un profondo ragionamento sul perchè delle cose e sul suo destino, non è condannabile se, <span style="text-decoration: underline;">senza dolo/colpa </span>ignora la vera Fede e <span style="text-decoration: underline;">senza dolo/colpa</span> è giunto alla soluzione sbagliata.

    <span style="text-decoration: underline;">L' AGNOSTICO E' SEMPRE COLPEVOLE </span>Non è infatti lecito a nessun essere umano di non interrogarsi sul suo destino. Perchè questo interrogativo è obbligo di ognuno di noi che innatamente abbiamo. Lasciarlo stare, metterlo a tacere, è già una colpa. <span style="text-decoration: underline;">E non ammette alcuna ignoranza.</span>
    <span style="text-decoration: underline;"></span>
    b)Un soggetto eterosessuale, monogamo, con fidanzata con la quale fa l' amore non è condannabile se ignora l' illiceità del rapporto prematrimoniale o se non coglie come colpa il rapporto prematrimoniale.

    Un soggetto che, per puro diletto, va a letto con 1 donna diversa ogni sera, <span style="text-decoration: underline;">E' SEMPRE COLPEVOLE </span>perchè tale atto stride contro coscienza a prescindere dalla conoscenza dottrinale del soggetto. E' malizioso in sè, ma non in virtù di una naturale debolezza, bensì in virtù di programmazione. <span style="text-decoration: underline;">E' "AGNOSTICISMO" MORALE</span>
    Ossia "Non mi interrogo minimamente sulla moralità o meno dei miei atti. Non me ne frega".
    Allo stesso modo di colui che "programma" di non interrogarsi su Dio. Ossia è agnostico.

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  34. <span style="text-decoration: underline;">2)ASPETTO DOTTRINALE</span>

    E' UN GRAN CASINO AMICO MIO...

    a)Oggi giorno, come ho detto prima, sia la legge canonica che la dottrina appaiono fumose, poco chiare, solo vagamente definite.
    A tal punto che non è del tutto campata per aria l' affermazione "Oggi non esiste eresia formale".
    Nel senso che oggi la maggiorparte di coloro che "la sparano grossa" molto spesso lo fa in virtù di un assenza di insegnamento chiaro, di pena e comunque in quasi assoluta buonafede.
    E come ben sapete l' eretico è tale solo se è pienamente avvertito di ciò che sta dicendo e lo dice in maniera totalmente deliberata.
    Inutile dire che posso anche io o te avvertire, ma non abbiamo alcuna autorità per essere ascoltati. Se il soggetto avvertito da noi, trova alleati in catechisti, sacerdoti e vescovi, allora si torna punto e a capo.
    In caso di buona fede, è come se non fosse avvertito.

    b)Diverso invece il caso di coloro che, colgono inequivocabilmente la verità di alcune cose ma, nonostante questo, come nel caso della morale, per vivere meglio senza farsi problemi, non credono.
    In questo caso la colpa si configura certamente.

    ESEMPIO: Capisco pienamente come il concetto di laicismo/laicità moderna sia completamente assurdo. Lo colgo perfettamente, ma nonostante questo, lo avvallo pubblicamente e platealmente per ragioni di opportunità.

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  35. Un conto è la fumosità della dottrina in quanto tale e tutt'altro conto è la presentazione della dottrina in forma distorta e lacunosa, che è poi quello che avviene oggi. La dottrina non è realmente cambiata, semplicemente sono stati costruiti dei filtri per farla vedere del colore che si vuole. Prendiamo l'esempio, che è stato qui fatto, della collegialità. Visto nell'ambito della dottrina cattolica non è un problema, perché esiste un dogma di fede riguardante l'infallibilità del papa (mentre non ne esiste uno riguardante l'infallibilità del collegio dei vescovi, a meno che non si strutturi in concilio - comunque sottoposto in ultima istanza ad approvazione papale). Se nel parlamento italiano sedesse un deputato le cui decisioni hanno il crisma dell'infallibilità e della inappellabilità non ci sarebbero dubbi su chi comanda in Italia, pur all'interno di un organo "collegiale"! Ciò che oggi si fa nella Chiesa (ciò che fanno alcune correnti) è ignorare questo dogma di fede, fare finta che non esista, e battere l'accento sulla collegialità, come se la Chiesa fosse diventata un parlamento dove si vota solo per alzata di mano. Come si vede, il trucco consiste nel dimenticarsi di un pezzo di tradizione. E la reazione è tornare al contrario a insistere sulla tradizione nel suo complesso, come unicum indivisibile.

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