Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 889 pubblicata da Paix Liturgique l’11 ottobre 2022, in cui si riproduce l’intervento di Jean-Pierre Maugendre, presidente di Renaissance Catholique, alla conferenza Quale avvenire per la Messa tradizionale? tenutosi a Parigi sabato 24 settembre (QUI e QUI su MiL).
È una profonda riflessione sul concetto di «tradizionalismo […] Una fedeltà a credenze, abitudini e comportamenti che gli anni del post-concilio hanno preteso di far suonare come campane a morto», ed invece «in tutta la Francia, i laici si unirono per sostenere i sacerdoti che continuavano a celebrare la Messa secondo l’“usus antiquior”».
Da costoro spontaneamente nacquero molte comunità tradizionali ed oggi si può affermare che «il mondo tradizionale nel suo complesso è giovane e missionario. È giovane per le famiglie numerose che vi si formano […]. Giovani, perché le conversioni sono numerose, attratti dal trittico: “trascendenza, esigenze, coerenza”».
E allora perché la gerarchia ecclesiastica persiste nel negare questa importante realtà? Conclude con un raggio di speranza l’autore: «Le difficoltà del momento non devono essere motivo di scoraggiamento, al contrario. Se i nostri anziani avevano temuto che il filo della nostra tradizione liturgica e dottrinale si sarebbe spezzato, la situazione non è più la stessa. Sappiamo che il futuro ci appartiene perché, attraverso la Tradizione, siamo legati agli apostoli stessi e quindi a Cristo. Le mode passano. La croce di Cristo continua a proteggerci e a illuminarci con le sue braccia tese».
L.V.
Sabato 24 settembre si è tenuta a Parigi una conferenza sul futuro della Messa tradizionale, che ha riunito quasi cinquecento partecipanti. Il grande successo di questo evento, co-organizzato dalle associazioni Oremus-Paix Liturgique e Renaissance Catholique, è stato dovuto alla qualità degli interventi, in particolare a quello di Jean-Pierre Maugendre, presidente di Renaissance Catholique, che qui riproduciamo per sua gentile concessione.
Tutto è iniziato bene: “Il Concilio che si è appena aperto è come un’alba splendente che sorge sulla Chiesa, e già i primi raggi del sole nascente riempiono di dolcezza i nostri cuori. Qui tutto respira santità e gioia. Vediamo stelle che brillano nella maestosità di questo tempio, e queste stelle, come testimonia l’apostolo Giovanni (Ap 1, 20), siete voi!”. Così disse il buon Papa Giovanni nel suo discorso di apertura del Concilio l’11 ottobre 1962! Il programma proposto era biblicamente semplice: “La Chiesa non ha mai smesso di opporsi [agli errori]. Li ha anche condannati spesso e molto severamente. Ma oggi la Sposa di Cristo preferisce usare il rimedio della misericordia, piuttosto che brandire le armi della severità, risponde meglio alle necessità del nostro tempo facendo maggior uso delle ricchezze della sua dottrina”. Il metodo proposto era perfettamente chiaro: “È necessario che [la Chiesa] si rivolga ai tempi attuali, che portano nuove situazioni, nuove forme di vita e aprono nuove strade all’apostolato cattolico. È per questo motivo che la Chiesa non è rimasta indifferente alle ammirevoli invenzioni del genio umano e al progresso della scienza, di cui oggi godiamo, e che non ha mancato di apprezzarle nel loro vero valore”. In realtà, queste intenzioni, indubbiamente molto lodevoli nella sostanza, hanno portato a quello che Jacques Maritain, che non è molto sospettoso di fondamentalismo, e persino, se posso dirlo, l’“imam nascosto” del Concilio Vaticano, ha definito nel “Paysan de la Garonne”: “Inginocchiarsi davanti al mondo” (p. 85. In pochi anni, un’eredità secolare è stata buttata all’aria, abitudini millenarie sono state dimenticate, disprezzate, castigate e condannate. La signora Michu, che non aveva letto gli Atti del Concilio e non aveva intenzione di dedicarvi dieci secondi, osservò tuttavia con stupore, nella sua parrocchia:
- L’abolizione del coro, che andava bene, ma… più a lungo.
- L’eliminazione del latino; lei non lo capiva, ma l’obiettivo era che Dio lo capisse.
- L’apparizione di un tavolo davanti all’altare: l’aveva fornito il suo vicino.
- La celebrazione della Messa rivolta verso il popolo, con il celebrante che dava le spalle al tabernacolo, cosa che sembrava incongrua alla signora Michu, non al celebrante.
- La distribuzione della comunione nella mano; la signora Michu aveva visto bambini mettere l’ostia in tasca.
- Lo sconvolgimento del calendario e la soppressione del santo patrono della parrocchia. Venne a sapere che anche Santa Filomena, la santa preferita del Curato d’Ars, era scomparsa nel tumulto.
- La distruzione dei confessionali.
- Il divieto di inginocchiarsi.
- La soppressione del Corpus Domini.
- L’abbandono della recita del rosario, ecc.
La signora Michu fece come un’altra vicina, decise di non andare più in chiesa, se non per matrimoni e funerali. La sua religione era stata cambiata. Come riporta Patrick Buisson nel suo importante libro La fin d’un monde, citando una brava madre, moglie di un meccanico: “La religione non dovrebbe cambiare, perché ciò che cerchiamo è di essere sicuri di qualcosa” (p. 266). Da parte sua, Guillaume Cuchet nota, nella conclusione della sua preziosa opera Comment notre monde a cessé d’être chrétien: “Questa rottura all’interno della predicazione cattolica ha creato una profonda discontinuità nei contenuti predicati e vissuti della religione su entrambe le sponde degli anni Sessanta. È così evidente che un osservatore esterno potrebbe legittimamente chiedersi se, al di là della continuità del nome e dell’apparato teorico dei dogmi, si tratti ancora della stessa religione” (p. 266). Tutto questo fu imposto con una brutalità senza precedenti. Questa brutalità era certamente in opposizione al discorso ufficiale sull’ascolto, l’apertura, il dialogo, il rispetto per gli altri e l’accettazione delle differenze, ma era necessaria perché tutti questi sconvolgimenti non rispondevano in alcun modo alle richieste dei fedeli cattolici. Un sondaggio del 13 agosto 1976, nel cuore dell’estate calda così chiamata per l’ondata di calore di quell’anno ma anche in riferimento alla tradizionale messa celebrata dall’arcivescovo Lefebvre, davanti a migliaia di fedeli, a Lille, pubblicato dall’IFOP e dal Progrès de Lyon, rivelò l’entità del malessere. Mentre il 40 per cento dei fedeli abituali ritiene che le riforme avviate dal Concilio Vaticano II debbano essere portate avanti, il 48 per cento ritiene che la Chiesa si sia spinta troppo in là con le riforme. A questa cifra va senza dubbio aggiunta la grande maggioranza di coloro che hanno smesso di praticare tra il 1965 e il 1976. Ancora oggi, tutte le indagini condotte dall’associazione “Paix Liturgique” lo confermano. Complessivamente, il 30 per cento dei frequentatori abituali della chiesa parteciperebbe alla Messa tradizionale se fosse celebrata nella propria parrocchia. Mentre è di moda denunciare il clericalismo, gli anni successivi al Concilio sono stati soprattutto quelli del clericalismo sfrenato, nella continuità di quanto analizzato da Mons. Schneider nella sua indispensabile opera Christus Vincit: “Il fenomeno “Vaticano II” appare come un enorme spettacolo di trionfalismo clericale”. (L’allontanamento di Madame Michu dalla sua parrocchia non sconvolse il suo parroco; fu certamente sconvolgente per la ricerca, ma aveva ben integrato il postulato “mille volte ripetuto, che l’evangelizzazione di coloro che erano lontani poteva essere fatta solo dopo l’allontanamento di tutti coloro che erano solo falsamente vicini” (p. 256), secondo la luminosa sintesi di Patrick Buisson. Come ha scritto un vescovo citato nella rivista “Itinéraires” di Jean Madiran: “La Chiesa sta passando da un cristianesimo sociologico a un cristianesimo autentico”.
Il tradizionalismo è innanzitutto questo. Una fedeltà a credenze, abitudini e comportamenti che gli anni del post-concilio hanno preteso di far suonare come campane a morto. Per secoli la vita della campagna francese è stata scandita dalla Chiesa: si pensi all’Angelus di Mileto, alle processioni delle rogazioni, alle preghiere pubbliche per attirare le benedizioni di Dio sulla terra. Il mondo era cambiato. Citiamo Mons. Paul-Joseph Schmitt, allora vescovo di Metz: “La mutazione della civiltà che stiamo vivendo sta portando cambiamenti non solo nel nostro comportamento esteriore, ma nella concezione stessa che abbiamo della creazione e della salvezza portata da Gesù Cristo” (L’hérésie du XXème siècle, Jean Madiran, p. 130). Ciò si manifesta nelle parole di questa relazione episcopale del 1969: “Con scandalo o riso dell’uomo moderno, una parte, in realtà sempre più ridotta, della nostra liturgia continua a chiedere a Dio ciò che il contadino chiede al concime, una salvezza cosmica che fa di Dio il sostituto delle nostre inadeguatezze” (Citato da Rémi Fontaine in Présent n. 7726, 10 novembre 2012, Les 30 ans du pèlerinage de chrétienté). Non è forse questo confondere e opporre la causa prima e la causa seconda? La Chiesa non era più l’unica arca di salvezza, ma solo un mezzo “perché l’uomo diventi pienamente umano”, “esperto in umanità”, secondo le parole di Paolo VI. La “tragedia” è che questa esperienza non sembra suscitare l’entusiasmo dei decisori politici. Logicamente, questa rivoluzione suscitò delle resistenze: alcuni sacerdoti si rifiutarono di celebrare il nuovo Ordo Missae, sostenendo che la bolla “Quo Primum” di San Pio V e il suo indulto perpetuo erano alla base dei loro dubbi teologici nella continuità del Breve esame critico del nuovo Ordo Missae dei cardinali Ottaviani e Bacci. In tutta la Francia, i laici si unirono per sostenere i sacerdoti che continuavano a celebrare la Messa secondo l’“usus antiquior”. Citiamo, nella mia Bretagna: il dottor Pacreau a Brest, il professor Lozachmeur a Rennes. Saloni, auditorium, palazzetti dello sport – la Salle Wagram a Parigi – accolsero un numero crescente di fedeli disorientati, contusi e feriti che volevano rimanere fedeli alla liturgia che aveva santificato i loro padri. Alcuni sacerdoti sono rimasti fedeli alla Messa della loro ordinazione o sono tornati ad essa dopo alcuni anni di pratica riformata. Citiamo: monsignor Ducaud-Bourget, padre Reynaud, padre Calmel (o.p.), padre Marziac, padre Réveilhac, l’abbé Montgomery, l’abbé Sulmont, il canonico Porta, il canonico Roussel, ecc. Nasce una resistenza intellettuale: citiamo gli articoli di padre Bruckberger (o.p.) su L’Aurore, quelli di Louis Salleron su Carrefour e il suo libro La Nouvelle Messe. Su tutto, la rivista Itinéraires, fondata nel 1956, ricorda, nello stile frizzante e preciso di Jean Madiran, le ragioni di questa resistenza: “I bambini cristiani non sono più educati ma sviliti dai metodi, dalle pratiche e dalle ideologie che oggi prevalgono più spesso nella società ecclesiastica. Le innovazioni imposte in questa società, che a torto o a ragione pretendono di basarsi sull’ultimo Concilio – e che consistono, in breve, nel ritardare e diminuire costantemente l’istruzione sulle verità rivelate, e nell’avanzare e aumentare costantemente la rivelazione della sessualità e dei suoi incantesimi – stanno allevando in tutto il mondo una generazione di apostati e di selvaggi, ogni giorno più pronti a uccidersi ciecamente a vicenda domani” (Dichiarazione fondamentale della rivista Itinerari). Queste linee non sono invecchiate affatto. Esse erano alla base di una bonifica ancora attuale, esposta nell’omonimo libro: “È chiaro che il popolo cristiano nel suo insieme e il clero cattolico difficilmente possono avere spontaneamente il coraggio o il discernimento di mantenere la Sacra Scrittura, il catechismo romano e la Messa cattolica; non possono avere il coraggio o il discernimento di mantenerli ad ogni costo al centro dell’educazione dei bambini. Per avere questo discernimento e questo coraggio, devono essere positivamente e sufficientemente incoraggiati dall’autorità spirituale che Dio ha istituito a questo scopo. Ecco perché, rivolti ai capi della gerarchia ecclesiastica, facciamo un reclamo ininterrotto:
- Ridateci le Scritture, il catechismo e la Messa! Siamo in ginocchio davanti ai successori degli apostoli, inginocchiati come uomini liberi, come diceva Péguy, che li supplicano e li invocano per la salvezza delle loro anime e per la salvezza del loro popolo. Restituiscano al popolo cristiano la Parola di Dio, il catechismo romano e la Messa cattolica. Finché non lo fanno, sono come morti. Chiediamo loro il nostro pane quotidiano e loro continuano a lanciarci pietre. Ma proprio queste pietre gridano contro di loro al cielo:
- Ridateci le Sacre Scritture, il catechismo romano e la Messa cattolica!
- “Il nostro “Claim”, quando gli uomini di Chiesa non vogliono sentirlo, lo gridiamo alla terra e al cielo, agli angeli e a Dio”.
Se questa affermazione, fatta per la prima volta nel 1972, non ha avuto pieno seguito, è comunque innegabile che a poco a poco quello che si deve chiamare il divieto di celebrare la Messa è stato tolto fino alla pubblicazione dello sciagurato motu proprio Traditionis Custodes del 16 luglio 2021. Tuttavia, la resistenza tradizionalista si è rapidamente cristallizzata attorno a un prestigioso prelato, Mons. Marcel Lefebvre, già Arcivescovo di Dakar, Delegato Apostolico per l’Africa Francese, Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo, fondatore nel 1970 della Fraternità Sacerdotale San Pio X e del Seminario Internazionale di Ecône. In un’epoca in cui nessun sacerdote veniva formato per celebrare la Messa tradizionale, a parte il seminario di monsignor de Castro Mayer a Campos, in Brasile, monsignor Lefebvre portava con sé le speranze e le aspettative del mondo tradizionale. Per anni è stato l’unico vescovo a formare e ordinare sacerdoti per la Messa tradizionale, cosa che lo ha messo rapidamente in difficoltà con le autorità romane, dalla dichiarazione del 21 novembre 1974 alle consacrazioni senza mandato pontificio nel 1988, passando per la “suspens a divinis” del 1976. Questa dichiarazione del 1974 è uno degli atti fondanti della resistenza tradizionalista: “Noi aderiamo con tutto il cuore e con tutta l’anima a Roma cattolica, custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento di questa fede, a Roma eterna, maestra di saggezza e di verità. D’altra parte, rifiutiamo e abbiamo sempre rifiutato di seguire la Roma neomodernista e neoprotestante, che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio in tutte le riforme che sono seguite. Tutte queste riforme, infatti, hanno contribuito e contribuiscono tuttora alla demolizione della Chiesa, alla rovina del sacerdozio, all’annientamento del sacrificio e dei sacramenti, alla scomparsa della vita religiosa, a un insegnamento naturalista e teilhardiano nelle università, nei seminari, nella catechesi, insegnamenti derivanti dal liberalismo e dal protestantesimo, più volte condannati dal solenne magistero della Chiesa. Nessuna autorità, nemmeno la più alta della gerarchia, può costringerci ad abbandonare o a diminuire la nostra fede cattolica, chiaramente espressa e professata dal magistero della Chiesa per diciannove secoli”. L’arcivescovo Lefebvre non era un uomo di partito: rispondeva alle richieste di sacerdoti che gli venivano fatte dai laici, sosteneva le comunità religiose i cui fondatori o fondatrici rifiutavano, in coscienza, la nuova liturgia, il nuovo catechismo e la “rifondazione” delle costituzioni della loro comunità nel senso conciliare voluto dal decreto “Perfectae Caritatis”. Citiamo:
- Dom Gérard Calvet, fondatore dell’abbazia benedettina di Le Barroux.
- Padre Eugène de Villeurbanne, fondatore dei Cappuccini di stretta osservanza, la cui casa madre si trova oggi a Morgon.
- Madre Hélène Jamet, che con l’aiuto di padre Calmel (o.p.) mantiene le tradizioni delle Suore Domenicane del Santo Nome di Gesù a Brignoles.
- Madre Anne-Marie Simoulin, proveniente dalla stessa congregazione e stabilitasi a Fanjeaux.
- Madre Elisabetta de La Londe, fondatrice dell’abbazia benedettina di Le Barroux.
- Madre Gertrude de Maissin, fondatrice dell’abbazia benedettina oggi situata a Perdechat, ecc.
In questo contesto è sorto un movimento apostolico, il MJCF, Mouvement de la Jeunesse Catholique de France, un vero e proprio vivaio di leader e una scuola per i leader della Tradizione, da cui sono nati molti centri cristiani, un vescovo, diversi abati o superiori di comunità religiose (Le Barroux, Lagrasse, Morgon, le Missionarie della Divina Misericordia), diverse badesse o superiori di comunità religiose femminili (Le Barroux, Perdechat…). Nascono giovani comunità: la Fraternità della Trasfigurazione a Mérigny (36), sotto l’egida di padre Bernard Lecareux, due comunità domenicane: la Fraternità di San Domenico ad Avrillé, originariamente composta da membri della MJCF, e la Fraternità di San Vincenzo Ferrier a Chéméré-Le-Roi con padre de Blignières e padre Guérard des Lauriers (o.p.). Dal 1983 in poi, su iniziativa del Centro Henri e André Charlier, un pellegrinaggio ha attirato folle sempre più numerose a Pentecoste da Notre-Dame de Paris a Notre-Dame de Chartres, sulle orme di Charles Péguy. Il messaggio attorno al quale tutti sono uniti potrebbe essere riassunto come segue: “Pratichiamo la religione dei nostri padri. Viviamo la Tradizione”. Inoltre, laddove è possibile svilupparla, l’esperienza si rivela risolutiva. Guillaume Cuchet, che non è molto sospetto di fondamentalismo essendo membro del comitato di redazione della rivista dei gesuiti Etudes, osserva onestamente: “Questo allontanamento dalla cultura del dovere e dell’obbligo, cammino sul quale la Chiesa ha preceduto, per molti aspetti, il mondo civile, soprattutto quello scolastico ed educativo, è un evento fondamentale sul quale c’è motivo di tornare. Nelle famiglie e negli ambienti in cui questa cultura è stata mantenuta e modernizzata, i tassi di trasmissione sono spesso migliori”. Oggi le comunità tradizionali rappresentano dal 12 al 15 per cento delle ordinazioni sacerdotali in Francia, ben oltre il peso numerico dei “tradis” nella demografia cattolica francese. Il mondo tradizionale nel suo complesso è giovane e missionario. È giovane per le famiglie numerose che vi si formano, “quelle famiglie cattoliche con i loro figli biondi”, dolcemente prese in giro da Fabrice Luchini nel film “Alceste à bicyclette”. Giovani, perché le conversioni sono numerose, attratti dal trittico: “trascendenza, esigenze, coerenza”. Perché la gerarchia ecclesiastica persiste in una così palese negazione della realtà di fronte a tali fatti? Un mistero! Un mistero che possiamo però costringere a illuminare alla luce di due analisi particolarmente penetranti: “Non si tratta, come scriveva Paul Vigneron in Les crises du clergé français contemporain, già nel 1976, di accontentarsi di dire, come un imperatore atterrito da quattro anni di guerra atroce: “Non l’abbiamo voluto noi!”. Dobbiamo avere il coraggio di porci l’inevitabile domanda: “Da 30 anni facciamo “esperimenti”, apostolici e non, e partiamo, senza mai riuscire a trovarli, alla ricerca di nuovi metodi di preghiera e di ascesi. Dopo tanti tentativi, oseremo finalmente rischiare un ultimo tentativo? Per provare, semplicemente e lealmente, quei metodi di apostolato e di spiritualità che abbiamo rifiutato, forse avventatamente, una trentina di anni fa! E se per caso questi metodi, che si sono dimostrati validi, dovessero avere successo, non si sa mai! – di restituirci la gioia del cuore che oggi abbiamo perso, se riempissero di nuovo i nostri seminari, che sono diventati quasi deserti, se restituissero alla nostra predicazione e alla nostra vita quella forza che solo i testimoni sacrificati possiedono, oseremmo finalmente ammettere che ci siamo sbagliati!”. Ma è proprio questa la parola più difficile da pronunciare! Dopo l’arresto di Cristo, gli apostoli lo rinnegarono perché temevano per la propria vita. Oggi, per coloro che hanno aderito, a volte con entusiasmo e senza necessariamente rendersi conto della natura perniciosa delle tendenze innovative emerse intorno al 1945, è a rischio molto più della loro vita. Hanno ormai raggiunto l’età dell’influenza e, talvolta, dell’alta responsabilità. È la loro autostima che dovrebbe essere sacrificata dicendo umilmente: “Sì, forse abbiamo sbagliato strada per molto tempo! Gli uomini coraggiosi possono, come i primi apostoli dopo i loro fallimenti, sacrificare finalmente la loro vita a Dio. Ma l’amore per se stessi! Pierre Chaunu, il famoso storico protestante, ha scritto, da parte sua, nella conclusione della sua opera, pubblicata nel 1975, De l’histoire à la prospective: “Prima dell’inaridimento quantitativo del reclutamento, è un inaridimento intellettuale e spirituale delle vocazioni che ha colpito la Chiesa in Francia a partire all’incirca dal 1930. La mediocrità intellettuale e spirituale della leadership della Chiesa occidentale all’inizio degli anni Settanta è sconfortante. Gran parte del clero francese costituisce oggi un sottoproletariato sociale, intellettuale, morale e spirituale; della tradizione della Chiesa, questa frazione ha spesso conservato solo clericalismo, intolleranza e fanatismo. Questi uomini rifiutano un’eredità che li schiaccia, perché sono intellettualmente incapaci di comprenderla e spiritualmente incapaci di viverla. Questo riferimento alla gerarchia ecclesiastica è una delle caratteristiche principali del movimento tradizionalista. Le consacrazioni del 1988 hanno diviso questo mondo in due componenti unite dalla stessa fede, dalla pratica degli stessi sacramenti, dalla volontà di non rompere con la struttura gerarchica della Chiesa per diritto divino, dalla stessa preoccupazione per la Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. È stato costruito un ecosistema “tradizionale” con i suoi luoghi di culto, le sue pubblicazioni, le sue riunioni, le sue scuole, i suoi pellegrinaggi, ecc. Il rischio sarebbe quello di sprofondare in un comunitarismo egocentrico, ignaro delle sfide della Chiesa universale. Fare della Tradizione una stella morta, simile a ciò che è diventata l’Ortodossia russa, di cui ha scritto padre Martin Jugie nel suo lavoro su Joseph de Maistre e la Chiesa greco-russa: “Per molti secoli, l’Oriente si è abituato a considerare la dottrina rivelata come un tesoro da custodire, non come un tesoro da sfruttare; come un insieme di formule immutabili, non come una verità viva e infinitamente ricca, che la mente del credente cerca di comprendere e assimilare sempre meglio”. Joseph de Maistre nella sua opera Sul Papa osservava: “Tutte queste chiese separate dalla Santa Sede, all’epoca del XII secolo, possono essere paragonate a cadaveri congelati, le cui forme sono state conservate dal freddo. Un monito fecondo per chi potrebbe dimenticare che la lotta per la Tradizione è prima di tutto un’opera della Chiesa. Se la Chiesa non inizia con il Vaticano II, non si rifugia nemmeno, dal Vaticano II in poi, in strutture che sarebbero estranee all’organizzazione visibile e voluta da Dio della Chiesa: il papa e i vescovi. Un grande mistero. Dilemmi a volte terribili! Un invito a lasciarsi guidare da San Gregorio di Nissa: “La via giusta è quella delle creste. Ricordiamo che secondo Emile Poulat: “La storia della Chiesa non è un luogo di riposo per il Corpus Domini”. Se la Chiesa sembra essere occupata da un pensiero mondano che le è estraneo, c’è solo una Chiesa la cui sede è a Roma e il cui capo è il Papa. Il dramma maggiore del nostro tempo è che la stessa Chiesa ci distribuisce attraverso lo stesso canale e a volte nello stesso momento, secondo l’espressione consacrata, i mezzi e le parole della Salvezza ma anche parole insipide e insignificanti, sentimentali e filantropiche, senza vigore per il bene o contro il male. Sfigurata, a volte troppo umana o mondana, né francamente cattolica e antimodernista, né francamente modernista e anticattolica, la Chiesa rimane la Chiesa, l’unica Arca della salvezza. Le difficoltà del momento non devono essere motivo di scoraggiamento, al contrario. Se i nostri anziani avevano temuto che il filo della nostra tradizione liturgica e dottrinale si sarebbe spezzato, la situazione non è più la stessa. Sappiamo che il futuro ci appartiene perché, attraverso la Tradizione, siamo legati agli apostoli stessi e quindi a Cristo. Le mode passano. La croce di Cristo continua a proteggerci e a illuminarci con le sue braccia tese. Infine, in questa lotta, perché di lotta si tratta – tutta la vita cristiana è una lotta – terremo presente il prezioso consiglio di padre Calmel, intrepido difensore della Messa tradizionale: “Siamo testimoni della fede, come lo furono i nostri fratelli martiri dei primi secoli in mezzo a violente persecuzioni. Non solo si dimostrarono forti e coraggiosi, ma anche gentili e pazienti, e questo perché le loro anime erano ardenti di carità”.
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