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lunedì 27 maggio 2019

Resoconto e foto del convegno "A che punto è la notte" a Bergamo di sabato 25 maggio

L'altro ieri sabato 25 maggio Mil ha partecipato a Bergamo al convegno "A che punto è la notte" organizzato dagli amici bergamaschi.
Pubblichiamo alcuni  abstract degli interventi dei relatori (Roberto Marchesini di cui diamo alcune notizie, Miguel Montes della TFP italiana e Giovanni Formicola di cui MiL  ha recentemente pubblicato la recensione del suo volume "Il Sessantotto. Macerie e speranze" (QUI).
Abbiamo aggiunto anche qualche foto e filmato.
Pubblicheremo a breve, appena sarà terminato il montaggio,  l'intero video del Convegno.
Luigi
per altre foto: 












Roberto Marchesini, LA BRUTTEZZA NELL'ARTE CONTEMPORANEA... E NELLA NOSTRA VITA

L'irrompere del brutto non è casuale, ma è una modalità della guerra contro la ragione umana come principio a cui spetta indirizzare le azioni, e a volte anche contro Dio

A cosa è dovuto l'irrompere del brutto nell'arte contemporanea (e, di conseguenza, nella nostra vita)? È semplicemente la conseguenza di un venir meno del bello?

Purtroppo no: si tratta di una strategia della guerra culturale che da secoli si combatte contro il cattolicesimo e, più in generale, contro il logos/Logos: contro l'armonia, contro la ragione umana come principio a cui spetta presiedere alle nostre scelte ed azioni in vista del bene, e a volte anche contro Dio, che è la Ragione (e l'Amore) di cui la nostra ragione (come la nostra volontà-amore) è imago. Ogni arte è la manifestazione di un pensiero. L'arte classica, ad esempio, è l'espressione di un pensiero metafisico: il suo obiettivo è quello di rappresentare le cose come dovrebbero essere (non come sono in realtà). L'arte romantica celebra (con la letteratura, la pittura...), spesso, il trionfo delle passioni. L'arte verista o naturalista è un'arte materialista; e cosi via. E l'arte tardomoderna e contemporanea? Ha, spesso, salvo eccezioni (Tolkien, Chagall, Mahler, ecc.: non vogliamo generalizzare, sia chiaro), lo scopo esplicito di stravolgere il senso comune del bello, dell'ordine e dell'armonia. Qualche esempio chiarirà il concetto.

LA RIVOLUZIONE ATTRAVERSO L'ARTE

Richard Wagner (che pur ha composto anche musiche molto belle, sia chiaro) combattè sulle barricate a Dresda accanto al rivoluzionario professionista Mikhail Bakunin, nel 1848. Dopo il fallimento dei disordini, Wagner si ritirò a riflettere, dopodiché pubblicò un libretto intitolato La Rivoluzione nell'arte (che influenzò moltissimo Nietzsche), in cui riassume le sue conclusioni: la rivoluzione non si fa combattendo sulle barricate, bensì con l'arte. L'arte è lo strumento più efficace per la guerra contro il Logos. Da quel momento abbandonò completamente la musica tonale per dedicarsi allo studio e all'uso della musica cromatica (Wagner ha talvolta anche espresso un senso religioso, per es., nel Parsifal, che fu deplorato da Nietzsche, in Nietzsche contra Wagner).

La musica tonale rispecchia la sensibilità spontanea dell'uomo (è "naturale"), è gerarchica (organizzata attorno ad un suono centrale, la nota "tonica") e teleologica (orienta l'ascolto verso la conclusione del brano). La musica cromatica trasgredisce tutte queste regole naturali: non ha gerarchie tra le note, non ha una tonica dominante e non è orientata verso una conclusione (è la musica, per intenderci, usata, non a caso, nella colonna sonora del celebre Shining di Kubrick, un film horror che ha un'atmosfera allucinata).

Un altro esempio è dato dal celebre pittore Pablo Picasso, che ruppe gli schemi pittorici classici "inventando" il cubismo. In realtà, Picasso non fece altro che sostituire i volti delle Demoiselle d'Avignon (prostitute che frequentava e con le quali aveva recentemente litigato) con delle maschere africane che aveva visto poco prima ad una mostra. L'Africa era considerata, razzisticamente, una terra "senza logos": una terra nella quale le leggi morali e religiose (soprattutto quelle riguardanti la sessualità) non avevano giurisdizione. Così Picasso: «Quando ho scoperto l'arte negra, e ho dipinto quel che si dice la mia epoca negra, era per opporsi a ciò che nei musei era indicato come "bellezza"».

Altre citazioni dello stesso autore chiariranno meglio il concetto: "La mia adesione al Partito Comunista è il seguito logico di tutta la mia vita, di tutta la mia opera. [...] Sì, ho coscienza di avere sempre lottato con la mia pittura come un vero rivoluzionario"; e ancora: "La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico". E chi potrebbe essere questo "nemico" se non il Logos?

UN CAPOVOLGIMENTO ANTROPOLOGICO

Potremmo anche citare Byron e Shelley, attivamente impegnati a realizzare la Seconda Rivoluzione Sessuale (dopo la Prima, quella illuminista, che vide il suo vertice nel marchese de Sade; e anteriormente alla Terza, che accompagnò il Sessantotto). Essi non trovarono niente di meglio, per abbattere le leggi morali e religiose che regolano la sessualità umana, che sfruttare il Romanticismo. Il Romanticismo - scrisse Huysmans, un romantico pentito - ruota attorno a un solo tema: l'adulterio (talvolta l'incesto; Huysmans esagera, perché i temi sono anche altri, ma comunque evidenzia un tema molto frequente). Nel romanzo romantico (da non confondersi con le storie d'amore medievali come Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta...) la trama è spesso quella: c'è una coppia sposata e un terzo; tra la moglie e il terzo scoppia la passione e il marito si oppone. Lo svolgimento del romanzo relega il marito tradito nella posizione del "cattivo", mentre il lettore è indotto a fare il tifo per gli adulteri. Il lieto fine prevede la consumazione della passione sessuale tra i due amanti. Traduciamo: assecondare le passioni è sempre buono, le leggi morali e religiose che regolano matrimonio e sessualità sono cattive.

Potremmo continuare a lungo, ma ormai abbiamo capito il meccanismo: l'arte è un'arma (molto efficace) nella guerra culturale contro il Logos e la legge morale naturale. Ed ecco spiegato l'irrompere del brutto nell'arte: non si tratta di un decadimento del senso del bello, o almeno non solo. Si tratta di una strategia per devastare e distruggere la sensibilità delle persone per la bellezza, l'ordine e l'armonia. Per rovesciare l'antropologia classica - che vede la ragione, in sinergia con la volontà, a capo della persona - e sostituirla con un'altra antropologia, nella quale la persona è dominata dalle passioni, che (per i classici) non devono essere estirpate e mortificate, ma vanno coltivate ed educate.

Non si tratta di un processo spontaneo, bensì di una strategia tanto tremenda quanto efficace per allontanare gli uomini dal Logos, che si è incarnato nella persona di Gesù.

In principio era il Logos, e il Logos era presso Dio, e il Logos era Dio. Così scrive san Giovanni iniziando il Vangelo, presentando Gesù. L'arte tardomoderna e contemporanea, spesso, non è altro che uno strumento nella lotta eterna tra il Bene e il male.

Roberto Marchesini lavora a Milano come psicologo e psicoterapeuta.
Ha pubblicato diversi volumi tra i quali: L’identità di genere (I quaderni del Timone 2007), Psicologia e cattolicesimo (D’Ettoris 2009), Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità (Sugarco 2011); Il paese più straziato (D'Ettoris 2011); Martirio al Santuario (D'Ettoris 2011); Amore e sessualità. La teologia del corpo di Giovanni Paolo II (I quaderni del Timone 2011); La psicologia e san Tommaso d'Aquino (D'Ettoris 2013); Pedofilia. Una battaglia che la Chiesa sta vincendo (Sugarco 2014, con Massimo Introvigne); E vissero felici e contenti. Manuale di sopravvivenza per fidanzati e giovani sposi (Sugarco 2015); Aristotele, san Tommaso d'Aquino e la psicologia clinica (D'Ettoris 2015); Uomo, donna, famiglia e “gender” (I libri della Bussola 2016); La Rivoluzione nell'arte (D'Ettoris 2016); Codice cavalleresco per l'uomo del terzo millennio (Sugarco 2017).
Ha pubblicato articoli per Il Timone, La Bussola Quotidiana, Cristianità, Il Domenicale, Il Settimanale di Padre Pio, Studi Cattolici, Famiglia Oggi, Radici Cristiane, Notizie Pro Vita, Tempi, Noi genitori e figli.


Miguel Montes, Plinio Corrêa de Oliveira e Rivoluzione e Contro-Rivoluzione

L’opera principale di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), uomo politico e operatore culturale brasiliano, figura eminente della scuola di pensiero e d’azione della Contro-Rivoluzione cattolica nel secolo XX, è riproposta, a cinquant’anni dalla pubblicazione, da Giovanni Cantoni, fondatore e reggente nazionale di Alleanza Cattolica, in un’edizione ricca di nuovi testi: Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, con presentazione e cura dello stesso Cantoni (Sugarco, Milano 2009, pp. 496, € 25,00).

La nuova pubblicazione contiene l’opera originaria, in due parti – appunto La Rivoluzione e La Contro-Rivoluzione – del 1959; la Parte III, del 1976, un aggiornamento elaborato in risposta a una richiesta di Alleanza Cattolica in vista della terza edizione italiana; alcuni brevi comentários alla Parte III, pure di aggiornamento, del 1992, e una Postfazione. L’opera contiene anche interventi precedenti al 1959, utili a illustrare il testo stesso e a fornire l’interpretatio autentica dell’Autore.

Altri scritti raccolti nella stessa sezione sono relativi alla Parte II e al contributo di Corrêa de Oliveira al pensiero contro-rivoluzionario del secolo XX. Fra questi, Note sul concetto di Cristianità. Carattere spirituale e sacrale della società temporale e sua «ministerialità», un inedito redatto dopo il 1953 e pubblicato per la prima volta nel 1998, in italiano, e Considerazioni sulla cultura cattolica, del 1954, che illustrano la tesi centrale delle pars construens dell’opera secondo cui «l’ideale della Contro-Rivoluzione consiste, dunque, nel restaurare e nel promuovere la cultura e la civiltà cattolica» (p. 74).
[…]
Corrêa de Oliveira descrive il processo di decadenza – denominato Rivoluzione – di quella civiltà cristiana occidentale che è fiorita nei secoli dell’Alto Medioevo, animata dalla Chiesa Cattolica e frutto dell’inculturazione della fede prima nell’Europa Occidentale, poi nella Magna Europa, cioè la realtà umana e culturale nata dall’espansione degli europei nel mondo.
Ma il principale elemento di novità dell’opera, rispetto al pensiero contro-rivoluzionario precedente, è l’attenzione agli ambienti, all’arte e al costume sulla formazione delle idee. Poiché dietro i fatti vi sono le idee e dietro le idee vi sono quelle che il pensatore brasiliano chiama “tendenze”, rappresentate principalmente dall’orgoglio e dalla sensualità, il processo di riconquista e di affermazione della verità cattolica non può partire solo dalla politica, ma anche da una riforma dei gusti, dell’educazione, degli ambienti e della cultura.


Giovanni Formicola, "Uomini e donne per un alba radiosa"

«il mio maestro m’insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire»
«Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attraverso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. Stiamo aspettando […] un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso» (Alasdair MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, trad. it. Feltrinelli, Milano 1988 [1981-1984], p. 313), per fondare una nuova cristianità.

Noi oggi ci troviamo in un tempo in cui i frutti della Rivoluzione sessuale sono diventati costume. E poi è pretesa copertura giuridica per questi frutti, con la traduzione del desiderio e del rifiuto del dato di natura in diritto e diritti.

Per la nostra Opzione Benedetto si tratta in un certo senso di ricominciare da capo (ma non da zero, che in storia non esiste), custodire per trasmettere. Quello che già avvenne nel secolo delle invasioni barbariche. Una nuova alba, non una fuga dal mondo, per provare a re-cristianizzare – perché piace a Dio e si vive meglio – la società temporale, mediante la conversione propria, poi di altri uomini, infine dei modelli e delle istituzioni culturali e civili, con un movimento dal basso («Il futuro [...], secondo me, sarà nelle mani di piccole comunità creative che, dal basso, recupereranno l’intero quadro della Dottrina sociale della Chiesa, per convinzione e con nuovo spirito di militanza, [...] che resistano alla tendenza di adeguarsi allo spirito del mondo, proprio per servirlo pienamente» (mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste 4-03-2017), come avvenne nei primi secoli dell’era cristiana. Queste comunità, seppure esigue quantitativamente, ma omogenee spiritualmente e culturalmente, devono custodire, mediante una formazione ininterrotta, e trasmettere, mediante ogni mezzo lecito e legittimo, una visione del mondo fondata su quei principi antropologici, di fede e di ragione, ch’erano senso comune tra gli uomini, persino al di là della fedeltà personale e della pratica coerente. Essi sono all’origine della civiltà in quanto tale. Ch’è verità, bene, giustizia e bellezza, calati nelle istituzioni e nel panorama sociale. Tali principi sono non negoziabili in quanto scaturenti dalla stessa natura dell’uomo, e di essi riconosciamo l’ordine di priorità, non chiuso, proposto da Benedetto XVI.

La vita da promuovere, proteggere, non manipolare e custodire fino al suo esito naturale.

La famiglia, una sola, fondata sul matrimonio indissolubile, e non relativizzabile affiancandole forme pervertite scaturite da desideri contro-natura.

L’educazione, perché è diritto, ma soprattutto dovere, della famiglia primario ed esclusivo, quanto meno nella modalità del controllo dell’eventuale delegato.

«Esiste […] una […] modalità di rapporto che un gruppo minoritario può intrattenere con il mondo che lo circonda e lo “assedia”, ed è quella di entrare con esso in una relazione fortemente critica e di esercitare – anche in forza della propria capacità di mantenere compattezza e coerenza di comportamenti rispetto ai giudizi così elaborati – un’influenza culturale sulla società, che alla lunga può arrivare a metterne in crisi l’assetto generale. […] Il cristianesimo è stato effettivamente capace di realizzare, nell’arco di alcuni secoli, un vero cambiamento di paradigmi culturali – visione del mondo, modelli di comportamento, forme espressive –, acquisendo una posizione via via sempre meno marginale nello spazio pubblico e incidendo in esso in misura crescente» (Leonardo Lugaresi, patrologo, 17-02-2018).

ADDENDA: sono arrivati ora i primi appunti "in esteso" di Giovanni Formicola

«Il mio maestro m’insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire»

«Ciò che conta, in questa fase, è la costruzione di forme locali di comunità al cui interno la civiltà e la vita morale e intellettuale possano essere conservate attra-verso i nuovi secoli oscuri che già incombono su di noi. Stiamo aspettando […] un altro San Benedetto, senza dubbio molto diverso» (Alasdair MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, trad. it. Feltrinelli, Milano 1988 [1981-1984], p. 313), per fondare una nuova cristianità.
 Noi oggi ci troviamo in un tempo in cui i frutti della Rivoluzione sessuale sono diventati costume. È poi pretesa copertura giuridica per questi frutti, con la traduzione del desiderio e del rifiuto del dato di natura in diritto e diritti.
Per la nostra Opzione Benedetto si tratta in un certo senso di ricominciare da capo (ma non da zero, che in storia non esiste), custodire per trasmettere. Quello che già avvenne nel secolo delle invasioni barbariche. Una nuova alba, non una fuga dal mondo, per provare a re-cristianizzare – perché piace a Dio e si vive meglio – la so-cietà temporale, mediante la conversione propria, poi di altri uomini, infine dei mo-delli e delle istituzioni culturali e civili, con un movimento dal basso («Il futuro [...], secon-do me, sarà nelle mani di piccole comunità creative che, dal basso, recupereranno l’intero quadro della Dottrina sociale della Chiesa, per convinzione e con nuovo spirito di militanza, [...] che resistano alla tendenza di adeguarsi allo spirito del mondo, proprio per servirlo pienamente» (mons. Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste 4-03-2017), come avvenne nei primi secoli dell’era cristiana. Queste comunità, seppure esigue quantitativamente, ma omogenee spiritualmente e culturalmente, devono custodire, mediante una formazione ininterrotta, e trasmettere, mediante ogni mezzo lecito e legittimo, una visione del mondo fondata su quei principi antropologici, di fede e di ragione, ch’erano senso comune tra gli uomini, persino al di là della fedeltà personale e della pratica coerente. Essi sono all’origine della civiltà in quanto tale. Ch’è verità, bene, giustizia e bellezza, calati nelle istituzioni e nel panorama sociale. Tali principi sono non negoziabili in quanto scaturenti dalla stessa natura dell’uomo, e di essi riconosciamo l’ordine di priorità, non chiuso, proposto da Benedetto XVI.
La vita da promuovere, proteggere, non manipolare e custodire fino al suo esito naturale.
La famiglia, una sola, fondata sul matrimonio indissolubile, e non relativizza-bile affiancandole forme pervertite scaturite da desideri contro-natura.
L’educazione, perché è diritto, ma soprattutto dovere, della famiglia primario ed esclusivo, quanto meno nella modalità del controllo dell’eventuale delegato.
«Esiste […] una […] modalità di rapporto che un gruppo minoritario può in-trattenere con il mondo che lo circonda e lo “assedia”, ed è quella di entrare con es-so in una relazione fortemente critica e di esercitare – anche in forza della propria capacità di mantenere compattezza e coerenza di comportamenti rispetto ai giudizi così elaborati – un’influenza culturale sulla società, che alla lunga può arrivare a metterne in crisi l’assetto generale. […] Il cristianesimo è stato effettivamente capace di realizzare, nell’arco di alcuni secoli, un vero cambiamento di paradigmi culturali – visione del mondo, modelli di comportamento, forme espressive –, acquisendo una posizione via via sempre meno marginale nello spazio pubblico e incidendo in esso in misura crescente» (Leonardo Lugaresi, patrologo, 17-02-2018).
«Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?»
«Non abbiamo nemmeno sentito dire che esiste uno Spirito Santo» (Paolo agli efesini, At 19,2).
La bellezza
«Questa antica triunità della Verità, del Bene e della Bellezza non è semplice-mente una caduca formula da parata, come ci era sembrato ai tempi della nostra presuntuosa giovinezza materialistica. Se, come dicevano i sapienti, le cime di questi tre alberi si riuniscono, ma i germogli della Verità e del Bene, troppo precoci e indi-fesi, vengono schiacciati, strappati e non giungono a maturazione, forse strani, im-previsti, inattesi saranno i germogli della Bellezza a spuntare e crescere nello stesso posto e saranno loro in tal modo a compiere il lavoro per tutti e tre» (Solženicyn, Discorso per il conferimento del premio Nobel).
San Paolo VI, discorso agli artisti (7-5-1964):
Necessità dell’arte per l’annuncio. Quindi “amicizia” tra la Chiesa e artisti. Perché l’arte l’aiuta a dire l’Indicibile, guardare l’Invisibile, ascoltare l’Inaudibile. (cfr. La Lettera agli artisti di san Giovanni Paolo II, del 23-4-1999)
Ma poi, l’“inimicizia”, che spesso non è conflitto aperto, ma se-duzione, cioè conduzione a sé della Chiesa e del suo messaggio, e non più viceversa.
L’errore della “purezza” (Sedlmayr), cioè dell’indipendenza dell’espressione artistica da fini, mezzi e quindi regole ad essa proprie. Fino al capovolgimento, il cul-to del “brutto”. Magari in nome dell’utile o del “reale”, che appunto, a partire delle umane deiezioni, ha una sorta d’infrastruttura orribile, che culmina nel male e nei mali, il retaggio del peccato. Questo, una volta accettato in nome della libertà dell’uomo (Inno a Satana), spinge a sublimare in una pretesa dimensione “artistica” il mostruoso, il fetido, l’osceno, eguagliando i fenomeni e liberandoli da ogni giudizio, morale e estetico che sia, fino al nichilismo astratto che dissolve la figura in una specie d’iconoclasmo di ritorno. In nome dell’orgoglio, poi, si separa la forma dal fi-ne, e così l’“artista” celebra sé stesso in una dimensione solipsistica, questo soprattut-to nell’architettura. La Rivoluzione giudica la vera arte «il ninnolo esotico di un passato borghese» (Hans Urs von Balthasar, Gloria. Un’estetica teologica).
«Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le genera-zioni e le fa comunicare nell’ammirazione. E questo grazie alle vostre mani… Ricor-datevi che siete i custodi della bellezza nel mondo» (San Paolo VI, 8-12-1965).

«Possiamo riconoscere sempre più chiaramente il tremendo impoverimento che sorge nel momento in cui si vuole fare a meno della bellezza, per dedicarsi esclusivamente a “ciò che è utile”» (J. Ratzinger).

«Un altro segno – questa volta di malaugurio – è stato la visita alla sezione con-temporanea dei musei Vaticani, che viene dopo le collezioni di antichità e di quadri raccolte dai papi. Davanti a queste croste si è colti da un tale spavento che va al di là dell’arte. In nessun luogo la tristezza del cristianesimo moderno appare in una luce così cruda – una luce ospedaliera. Davanti a queste povere cose aggressive [...], invano si cercherebbe anche il più fugace riflesso della maestà che Raffaello, nelle vicinissime Logge, riusciva a trasmettere del divino e al divino» (Alain Besançon, L’immagine proibita, p. 22).

RIVOLUZIONE E CONTRO-RIVOLUZIONE
L’incontro.
La lettura.
L’uso.
Il contrario della Rivoluzione, non una Rivoluzione di segno contrario. Quindi, i Novissimi.

«Il sogno di un’utopia infatti, cioè il sogno di raggiungere una società perfetta organizzando gli uomini secondo un progetto prestabilito invece che formandoli at-traverso un processo educativo, è un affare serio: è qualcosa di simile alla stregone-ria in campo politico» (E. VOEGELIN, Ordine e storia. La filosofia politica di Platone, il Mulino, Bologna 1986, p. 281).
Meglio,
«I capi non s’improvvisano, soprattutto in epoca di crisi. Trascurare il compito di preparare nei tempi lunghi e con severità d’impegno gli uomini che dovranno ri-solverla, significa abbandonare alla deriva il corso delle vicende storiche» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla famiglia dell’Istituto Borromeo, del 3 novembre 1984).
Meglio ancora (se è lecito),
«[…] servono itinerari pedagogici che rendano idonei i fedeli laici ad impegna-re la fede nelle realtà temporali. Tali percorsi, basati su seri tirocini di vita ecclesia-le, in particolare sullo studio della dottrina sociale, devono essere in grado di fornire loro non soltanto dottrina e stimoli, ma anche adeguate linee di spiritualità che ani-mino l'impegno vissuto come autentica via di santità» (IDEM, Esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Europa» su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgen-te di speranza per l’Europa, n. 41).

«Non faccio parte di un mondo che decade. Io prolungo e trasmetto una verità che non muore»
«Siamo ripiombati in una di quelle epoche che dal filosofo non si aspettano né una spiegazione né una trasformazione del mondo, ma solo la costruzione di un rifu-gio qualsiasi contro l’inclemenza del tempo» (Nicolàs Gòmez Dàvila).

Lo spirito di cristianità
«Senza dubbio non si ricostituirà presto una civiltà cristiana, ma si possono costitui-re delle isole o dei fortini, come amava ricordare il compianto padre Roger-Thomas Calmel O.P. (1914-1975). Propongo sull’argomento alcuni fatti concreti che siano capaci d’illuminare la nostra riflessione.
Quando i primi monaci hanno fondato i loro monasteri nei paesi selvaggi dell’Europa, ciò che più tardi darà vita alla civiltà, essi hanno fatto tre cose: hanno coltivato la terra (un lavoro senza frode); hanno formato delle comunità fraterne, d’ispirazione familiare (in accordo con l’ordine naturale); hanno fatto salire il loro canto di lode a Dio, giorno e notte (ciò che li manteneva in contatto permanente con il loro fine soprannaturale). Il lavoro, la vita di famiglia, il canto liturgico: come si vede, si tratta di cose semplici e concrete, accordate alle aspirazioni naturali dello spirito umano. Allora “ha preso”, come si dice quando il fuoco si accende.
Vi è un inizio di cristianità ogni volta che qualcosa di santo e di rettificato esce dalla terra. Non si fabbricano dei valori di cristianità come non si fabbrica il grano che cresce; lo si coltiva, certo, lo si protegge, ma occorre anzitutto della buona terra e quel permesso divino composto da un accordo provvidenziale fra l’acqua, il sole e il lavoro degli uomini. Il radicamento benedettino ha dato vita all’Europa cristiana grazie a un’unione di fatti miracolosi che la storia registra sotto il nome di cause, ma che è in primo luogo un effetto interamente gratuito della grazia divina.
Questo accordo gratuito, indissolubile, fra la natura e la grazia, costituisce un primo principio. Lo spirito di cristianità eviterà di conseguenza ogni rivestimento, ogni di-fetto di esecuzione. Manifestare delle abitudini di pietà a detrimento delle virtù natu-rali, impostare una mistica senza ascesi, inventare dei gesti liturgici contrari alle leggi del sacro, comporre delle parole pie su dei cattivi cantici, pretendere d’incidere dei segni eterni su una materia friabile, sono degli imbrogli che presto o tardi fini-ranno per rivoltarsi contro l’uomo. Più che una mancanza di gusto, è una specie di menzogna, una grande disgrazia per le anime e per la civiltà.
Mille anni di cristianità mettono in discussione questa miserabile concezione della vita e testimoniano a favore di un’attenzione profonda, di un’immensa serietà nei confronti dell’ordine temporale. Il gusto della perfezione, la tenera sollecitudine con la quale si circondano le cose del tempo, sono sempre un segno di civiltà.
Gli hippy cercano l’evasione; i mistici cristiani piantano e costruiscono. Quando Dio ha deciso nel secolo XV di salvare il destino politico di una nazione cristiana, ha scelto una vergine e si è preso cura di farla istruire tramite la lunga mano di un ar-cangelo e di due santi del Paradiso. Ecco qualcosa che ci dovrebbe illuminare sull’eminente dignità dell’ordine temporale.
Quest’alleanza dello spirituale e del temporale, quest’articolazione dell’uno sull’altro, lo ritroviamo nella Regola di san Benedetto. La Regola, è vero, s’indirizza ai cercatori di Dio, alla ricerca di assoluto, ma lungi da spingerli a evadere dalla lo-ro condizione di creature, essa si fonda anzitutto sulle semplici virtù naturali: la pie-tà filiale, la lealtà, la pazienza, l’ospitalità, l’amore del lavoro ben fatto, la vita in comunità con il suo corteo di esigenze, soprattutto l’umiltà e il mutuo supporto. È tutta un’educazione dell’uomo, preoccupato di ristabilire l’unità fra l’anima e il suo comportamento esteriore. Senza di essa non avremmo nemmeno l’idea di costruire con decenza una chiesa abbaziale, la cui architettura, nella purezza delle sue forme, sia come quella dei nostri antenati: un’immagine dell’anima e una predicazione si-lenziosa del mistero di Dio (dom Gerard Calvet OSB, 1985).

«Oggi più che mai, lo si comprenda bene, la società ha bisogno di dottrine for-ti e conseguenti con sé stesse. In mezzo alla dissoluzione generale delle idee, l’affermazione sola, l’affermazione ferma, nutrita, senza mescolanze, potrà farsi accettare. Le transazioni diventano sempre più sterili e ciascuna strappa un lembo del-la verità. Come nei primi tempi del cristianesimo è necessario che i cristiani rompa-no tutti i rispetti con l’unità dei loro principi e dei loro giudizi. Non hanno nulla da imitare in questo caos di negazioni e di tentativi d’ogni genere che attesta in modo così evidente l’impotenza della società presente. Questa società vive ormai soltanto dei rari brandelli dell’antica civiltà cristiana che le rivoluzioni non hanno ancora portato via e che la misericordia di Dio ha preservati sino a questo punto dal naufragio…
«Vi è una grazia collegata alla confessione piena e intera della verità. Questa confessione è la salvezza di quelli che la fanno, e l’esperienza dimostra che è anche la salvezza di coloro che la intendono» (dom Prosper Guéranger, 1858).

«Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. […] Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illu-minato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Sol-tanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomi-ni […]» (J. RATZINGER, L’Europa di Benedetto, cit., pp. 62-64)].

CONCLUSIONE
«Il combattimento spirituale e la battaglia delle idee […] trovano nel canto il loro momento di superiore animazione» (Circolare di AC del 25-5-1971).



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La Redazione