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giovedì 16 marzo 2017

Vogliono distruggere anche il Novus Ordo? Nuova Commissione Liturgica per smantellare quel poco che di cattolico resta nella Messa moderna



Un'interessante  analisi della misteriosa nuova commissione liturgica di recente istituzione.
Alleghiamo anche, dopo l'articolo di Riposte Catolique, sull'argomento, un approfondimento di Magister sul tema.
Ci pare che questo possibile cavallo di Troia dei modernisti possa essere moto pericoloso e meriti la massima attenzione da parte del mondo della Tradizione: lo smontamento ulteriore del NOM può preludere - in seguito - ad un attacco alla Messa di sempre. Probabilmente non oseranno farlo vivente Benedetto XVI, ma, in caso di sua morte, non penso che si faranno molti scrupoli.
Le esternazioni dei vari liturgisti molto vicini a S. Marta (Sorrentino, Piero Marini ma, soprattutto Andrea Grillo) non preludono a nulla di buono.
La liturgia salverà il mondo ed essa è il punto nodale da cui - come ricordava giustamente il card. Ratzinger - deriva anche la dottrina: lex orandi, lex credendi  (vedi anche QUI e QUI)

L



Una Vox
(Pubblicato sul sito francese Riposte Catholique)

Il sito cattolico spagnolo di Francisco José Fernández, la Cigüeña de la Torre ha reso nota la composizione di una misteriosa Commissione, creata da Papa Francesco in seno alla Congregazione per il Culto Divino, allo scopo di revisionare l’istruzione Liturgiam authenticam sulle traduzioni dei testi liturgici e che si ispirerà specialmente al testo liberale sull’inculturazione liturgica: l’istruzione Varietates legitimae del 25 gennaio 1994.

Bisogna sapere che Liturgiam autenticam, pubblicata il 28 marzo 2001 sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, è un testo fondamentale di “restaurazione”: «La traduzione dei testi della liturgia romana non sono un lavoro di creatività… E’ necessario che il testo originale o primitivo sia, per quanto possibile, tradotto integralmente e con molta precisione, vale a dire senza omissioni né aggiunte riguardo al contenuto, né introducendo parafrasi o glosse» (n. 20).

Per i cardinali ratzingeriani che si sono succeduti alla Congregazione: Medina, Arinze, Cañizares, Sarah, la rettifica delle traduzioni liturgiche ideologizzate era la prima tappa per un

riordino della devastata liturgia, cioè per una «riforma della riforma».

L’ultimo di essi, il cardinale Sarah, era stato nominato da Papa Francesco nel 2014, cosa che all’epoca aveva destato molta sorpresa. In realtà, egli l’aveva fatto su insistenza del cardinale Cañizares, a cui il Papa non poteva rifiutare questa consolazione. Ma a Sarah vennero immediatamente legate le mani: al segretario della Congregazione, Mons. Roche, un bugniniano in apparenza moderato, fu aggiunto un sotto-segretario bugniniano puro, Padre Maggioni, dopo che il 5 novembre 2014 erano stati licenziati senza preavviso Mons. Anthony Ward e Mons. Juan Miguel Ferrer (avvisati da Roche alle 8,30 del mattino, lasciarono l’ufficio a mezzogiorno).

In seguito, i cardinali e i vescovi membri della Congregazione (che votano nelle assemblee plenarie) furono completamente rinnovati il 28 ottobre 2016 (oltre ad altri avvicendamenti, i cardinali Burke e Pell furono allontanati e furono sostituiti con il cardinale Ravasi e Mons. Piero Marini).

Fu solo per lettera che il Papa rese nota al cardinale Sarah la costituzione di questo nuovo Consilium, infatti non l’aveva minimamente informato in anticipo. Contrariamente ad ogni uso, il cardinale non è stato nominato presidente della Commissione, di cui non è neanche membro.

Questa nuova Commissione, chiaramente destinata a mettere da parte il cardinale Sarah, secondo quanto riferito da Fernández, è composta da:

- Mons. Arthur Roche, segretario della CCD, presidente, dalle opinioni liturgiche avanzate;
- Padre Corrado Maggioni, SMM, sottosegretario della CCD, vice presidente;
- Mons. Dominic Jala, SDB, arcivescovo di Shillong (India);
- Mons. Mark Benedict Coleridge, arcivescovo di Brisbane (Australia);
- Mons. Piero Marini, presidente del Comitato per i Congressi eucaristici internazionali, ex segretario di Mons. Bugnini ed ex cerimoniere pontificio;
- Mons. Bernard-Nicolas Jean-Marie Aubertin, arcivescovo di Tours (Francia);
- Mons. Julian López Martin, vescovo di León (Spagna);
- Mons. Arthur Joseph Serratelli, vescovo di Paterson (Stati Uniti);
- Mons. Friedhelm Hofmann, vescovo di Wurzburg (Germania);
- Mons. Jean-Pierre Kwambamba Masi, vescovo ausiliare di Kinshasa (Congo Kinshasa);
- Mons. John Bosco Chang Shin-Ho, vescovo ausiliare di Daegu (Corea);
- Mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi (Italia);
- Padre Jérémy Driscoll, OSB, professore alla Pontificia Università Sant’Anselmo di Roma, benedettino dell’abbazia di Mount Angel (Oregon, Stati Uniti);
- Padre Matias Augé, clarettiano spagnolo, professore onorario del Pontificio Istituto Liturgico;
- Don Giacomo Incitti, professore di Diritto Canonico alla Pontificia Università Urbaniana;
- Padre Mario Lessi-Ariosto, gesuita italiano;
- Padre Christoph Ohly, prete diocesano della diocesi di Colonia, professore di teologia a Trevi, Germania;
- Sig.ra Valeria Trapani, professoressa alla Facoltà teologica di Palermo, membro della Commissione liturgica della diocesi di Palermo;
- Sig. Giovanni Maria Vian, direttore de L’Osservatore Romano, di cui tutti ignoravano che avesse la minima competenza liturgica, mentre è certo che in cambio ha delle solide competenze ideologiche.

Francisco José Fernández fa notare come in questo Consilium i liberali siano fortemente rappresentati (Marini, Coleridge, Serratelli, Sorrentino, López Martin, un «integralista di Paolo VI»). Mons. Roche, liberale, ma molto diplomatico, aveva indirizzato alla Conferenza Episcopale Canadese, nel settembre 2014, una lettera che ne rivela la caratura, nella quale, circa le traduzioni, distingueva una «equivalenza dinamica o funzionale» di prima dell’istruzione Liturgiam authenticam, da una «equivalenza formale» in seguito a ad essa. Come dire che prima c’era una creatività dinamica e dopo è subentrata una rigidità formale.

In concreto, per l’ambito tedesco, è dal 2013 che è tutto bloccato: i vescovi hanno rigettato il lavoro della Commissione Ecclesia Celebrans, che Benedetto XVI aveva istituito in seno alla Congregazione, dichiarando di opporsi «ad un linguaggio liturgico che non fosse il linguaggio del popolo».
Essi hanno deciso di dare inizio ad un loro lavoro che contano di imporre a Roma. Uno dei contenziosi riguarda la traduzione del «pro multis» nella consacrazione: i vescovi vogliono tradurlo con «per tutti (für alle)» e non con «per molti (für viele)», come richiesto dalla Congregazione.
Dopo la partenza nel 2014 del cardinale Meisner, arcivescovo di Colonia e amico di Benedetto XVI, i liberali dettano legge in seno alla Conferenza Episcopale, dominata dal suo presidente, il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco, insieme con Mons. Stephan Ackermann, vescovo di Trevi, e Mons. Heiner Koch, vescovo di Berlino, fortemente aiutati a Roma dal cardinale Walter Kasper.
Anche gli italiani è la traduzione del «pro multis» che fanno valere per giustificare la loro opposizione, ma per altri motivi: essi vogliono in particolare il rinnovo delle numerose opzioni di cui è pieno il loro Messale.
Bisogna dire che il mondo dei liturgisti italiani è molto ben organizzato in un efficace gruppo di pressione, in particolare attorno all’Associazione dei Professori di Liturgia, che insegnano alla Pontificia Università Sant’Anselmo, negli istituti liturgici di Padova, Palermo, Bologna, Milano e nei seminari diocesani. L’Ufficio Liturgico della Conferenza Episcopale Italiana è nelle loro mani, al pari delle importanti riviste liturgiche: La Rivista di pastorale liturgica e La Rivista liturgica.
Di contro, in ambito anglosassone, in ragione dell’implicazione dei cardinali Arinze e Pell, il lavoro di rettifica delle traduzioni era stato felicemente concluso, grazie al comitato Clara Vox presieduto da George Pell; comitato che era stato costituito in seno alla Congregazione per fare da contrappeso alla fin troppo liberale Commissione ICEL (International Commission on English in the Liturgy), organismo di coordinamento tra le Conferenze Episcopali anglofone. Ma dopo che la nuova traduzione è passata all’applicazione, essa è stata rimessa in questione da critiche continue: la traduzione inglese sarebbe rigettata dalla metà dei fedeli e dal 71% dei preti, a causa del suo stile «troppo formale» e «pomposo».
La nuova Commissione ascolterà certamente queste lamentele.
In Spagna, liturgicamente tranquilla e conciliarmente allineata, la nuova edizione del Messale romano è stata rivista sotto la sorveglianza di López Martin ed è entrata in vigore la prima Domenica di Quaresima.
Per l’ambito francese, il progetto di traduzione della Congregazione del cardinale Sarah è stato approvato da quasi i tre quarti dei vescovi francesi (mentre Liturgiam authenticam esige solo i due terzi dei voti) in occasione della loro Assemblea plenaria del marzo 2016 e si è lasciato intendere che il nuovo Messale potrebbe entrare in vigore per la Quaresima o per l’Avvento del 2017.
l voto, però, era stato accompagnato da una risoluzione condizionante che, fino ad oggi, ha bloccato tale entrata in vigore: i vescovi francesi hanno dato la loro approvazione «lasciando alla Commissione episcopale francofona per le traduzioni liturgiche, la cura di apportare delle ultime messe a punto del testo».
Ora, le messe a punto che voleva fare la Conferenza erano lungi dall’essere di poco conto. Esse riguardavano in particolare la traduzione del Confiteor: il cardinale Sarah voleva «per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa», invece di «Si, ho veramente peccato»; del Credo, nel quale il cardinale chiedeva l’uso di «consustanziale» invece «della stessa natura»; dell’Orate fratres egli ci teneva che si traducesse «Pregate fratelli perché il mio e il vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente», con la risposta «Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del Suo nome, per il bene nostro e di tutta la Sua Santa Chiesa», invece di «Preghiamo insieme al momento di offrire il sacrificio di tutta la Chiesa», con la risposta «Per la gloria di Dio e la salvezza del mondo».
I Francesi chiedevano che la vecchia traduzione “aperta” potesse essere sempre utilizzata ad libitum; cosa che la Congregazione, fino ad oggi, ha rifiutato.
In Canada, Belgio e Svizzera, i vescovi non si sono neanche presi la briga di votare, e hanno fatto sapere a priori la loro opposizione alle rettifiche chieste dal cardinale Sarah.
Si tratta di un punto che la nuova Commissione potrebbe fare rettificare opportunamente, ma scommettiamo che se ne guarderà bene: i paesi africani francofoni dispongono unicamente dell’edizione del Messale realizzato dalla Francia e dipendente totalmente dall’approvazione francese. Non si chiede loro neanche di votare, ad eccezione dei vescovi dell’Africa del Nord che fanno parte della Commissione Episcopale francofona per le traduzioni liturgiche, la CEFTL, insieme ai vescovi del Canada, Belgio, Francia, Svizzera, Lussemburgo e Monaco, ma da cui sono esclusi l’Africa francofona e Haiti; strano criterio neocoloniale applicato a degli episcopati giudicati senza dubbio troppo conservatori.

Settimo Cielo 15 marzo 2017

A due mesi di distanza dalla notizia data da Settimo Cielo l'11 gennaio, la congregazione vaticana interessata, quella per il culto divino con prefetto il cardinale Robert Sarah, non ha ancora né confermato né smentito:
> Vatican Tight-Lipped About Papal Review of New Liturgical Translations

La notizia riguarda l'avvenuta istituzione, con il placet di papa Francesco, di una commissione finalizzata ad aggiornare i criteri per la traduzione dei testi liturgici dal latino alle lingue moderne, criteri stabiliti nel 2001 dall'istruzione "Liturgiam authenticam", voluta da Giovanni Paolo II a correzione del disordine precedentemente indotto dal meno autorevole ma influente documento "Comme le prévoit" del gennaio 1969.
La presidenza della nuova commissione sarebbe stata affidata all'arcivescovo inglese Arthur Roche, che è l'attuale segretario della congregazione per il culto divino ma fu anche a capo della commissione internazionale che produsse la traduzione inglese del messale entrata in uso nel 2010, ritenuta da molti il frutto più maturo dei criteri di "Liturgiam authenticam".
All'epoca, Roche lodò questa traduzione, mentre altri liturgisti la criticarono come troppo letterale e "sacrale". Ma ora egli è il primo di coloro che la vogliono cambiare, in ossequio a una corrispondenza più "dinamica" tra il testo tradotto e il testo originale, e di una maggiore libertà "creativa" da accordare alle singole conferenze episcopali.
Tra i membri della nuova commissione vi sarebbero i liturgisti Corrado Maggioni, sottosegretario della congregazione per il culto divino, e Piero Marini, già maestro delle celebrazioni pontificie con Giovanni Paolo II, entrambi critici dei criteri di "Liturgiam authenticam" anche se non con la virulenza del loro sodale Andrea Grillo, professore al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo:

> La traduzione/tradizione impossibile: i punti ciechi di "Liturgiam authenticam"

Rispetto a tutto questo il cardinale Sarah appare completamente a margine. Più volte umiliato pubblicamente, si trova a presiedere degli uffici e degli uomini che gli remano contro.
Ma la questione in gioco è molto più di sostanza di quanto appaia. In una stagione, infatti, in cui il magistero gerarchico è incerto o latita, sono proprio i testi liturgici a tramandare integra la grande tradizione della Chiesa. E quindi è sulla fedeltà a questi testi che si può attestare una "resistenza".

È ciò che scrive il professor Pietro De Marco al termine di questa sua nota sulla vicenda liturgica postconciliare.
La nota sintetizza una sua molto più ampia relazione tenuta alla fine di agosto del 2016 ad Assisi, all'annuale settimana di studio dell'Associazione Professori di Liturgia, i cui atti sono in corso di pubblicazione.

*


IL MOVIMENTO LITURGICO COME PROBLEMA E COME"CHANCE"


di Pietro De Marco

1. ROMA FU ATTENTA, e fu la sua grandezza in decenni difficilissimi, nella tutela del Concilio autentico, non del Concilio-progetto dell’intelligencija teologica.

Già nel 1965, a settembre, sulla fine del Vaticano II, Paolo VI si sentì in dovere di palesare la sua "anxietas" sulla dottrina e il culto dell'eucaristia. Nell'enciclica "Mysterium fidei" lamentava che "tra quelli che parlano e scrivono di questo sacrosanto mistero, ci sono alcuni che circa le messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano opinioni che turbano l’anima dei fedeli, come se a chiunque fosse lecito porre in oblio la dottrina già definitiva della Chiesa".

Meno di tre anni dopo, nel maggio 1968, in occasione della pubblicazione delle nuove preghiere eucaristiche, era lo stesso "Consilium" preposto alla riforma liturgica a cedere al diffuso revisionismo teologico, nella circolare firmata dal suo presidente cardinale Benno Gut e dal segretario Annibale Bugnini, in cui, nello spiegare la teologia dell’anafora eucaristica, si leggeva (paragrafo 2, punti 2-3) :

"L’anafora è la narrazione dei gesti e delle parole pronunziate nell’istituzione dell’eucaristia.  Ma [poiché] il racconto riattualizza ciò che Gesù fece […] si rivolge al Padre la preghiera di supplica: che renda efficace questa narrazione, santificando il pane e il vino, cioè, praticamente, facendone il corpo e il sangue di Cristo".

Difficilmente si poteva raggiungere, in un documento ufficiale, un grado così basso di teologia eucaristica a vantaggio dei luoghi comuni del memoriale, delle mode narrativistiche in esegesi, nonché di una coperta negazione del valore consacratorio della formula dell’Istituzione, a vantaggio dell’epiclesi che la precede.

Ma l’apice antiliturgico sarà  l’istruzione "Comme le prévoit"  del gennaio 1969 sui criteri di traduzione del messale;  arrivava addirittura a premettere (n. 5) che il testo liturgico "è un mezzo di comunicazione orale. È anzitutto un segno sensibile con cui gli uomini che pregano comunicano tra loro".

Nonostante le espressioni correttive ("Ma per i credenti…"), la formula equivoca su cosa sia rito e i "principi generali" dell’istruzione, di conseguenza, riconducono la teologia della liturgia sotto le regole di una filosofia pragmatica del linguaggio (chi parla, come si parla, a chi si parla).

Si eleva a sistema, stravolgendola, la prassi tutta pastorale della cosiddetta "messa dialogata": già essa un’espressione fuorviante, poiché non di "dialogo" sacerdote-popolo si tratta, ma di "actio liturgica" essenzialmente rivolta a Dio.

La stessa celebrazione "versus populum", senza fondamento storico né teologico, appartiene a questo clima, con gli effetti "disorientanti" che ne derivano. Infatti l’asse cultuale-misterico, secondo cui e su cui Cristo celebra rivolto al Padre, e il sacerdote e il popolo con lui, è annullato.

2. VALE LA PENA di guardare da vicino la situazione dell’intelletto teologico alla fine degli anni Sessanta e la sua influenza sulla riforma liturgica.

Alla base stava, palesemente, un disequilibrio tra l’"in sé" rituale-misterico e sacramentale, promosso dalle menti migliori del movimento liturgico, da un lato, e l’istanza della partecipazione dei fedeli dall'altro, disequilibrio che indebolisce già la costituzione "Sacrosanctum  Concilium".

Ma in quegli anni l’intelligencija cattolica sottintendeva, quasi mai esplicitandolo, molto di più.

Sottintendeva che la teologia doveva essere inverata dall’azione, per analogia con la cosiddetta filosofia della prassi, da Marx a Dewey. La liturgia era, per molti del movimento liturgico, questa azione. Si pensa il rito come qualcosa che genera la propria verità ed efficacia da se stesso, in quanto rito "umano".

Ad aggravare e disorientare il quadro del postconcilio interveniva dunque  il fatto che la "actuosa participatio" dei fedeli al rito portava con sé il carico ideologico degli anni Sessanta-Settanta. Una dinamica antropocentrica e secolaristica (favorita dal prestigio di Karl Rahner, ma autonomamente coltivata  in ambito francofono) prevaleva sulla concezione rituale-misterica che santifica e trascende l'uomo e sola può fare della liturgia "la fonte e il culmine" della vita cristiana.

Era il collasso della grande teologia liturgica degli anni Trenta, di Odo Casel, di Dietrich von Hildebrand, di Romano Guardini.

Caduto il clima ideologico dopo gli anni Settanta, la sensibilità ecclesiale e la teologia, nel suo complesso, dalla fondamentale alla pastorale, hanno compiuto una rotazione dalla prassi all’ermeneutica, dal realismo delle concezioni materialistiche del Vangelo alla teologia negativa, dalla militanza politica alla "autenticità relazionale".

La pastorale liturgica si è adattata facilmente. La liturgistica ha lavorato sia autonomamente che di conserva con le teologie, ma la ricerca ora filosofico-linguistica ora antropologica ora, ma molto meno, neo-personalistica, non poteva evitare la china: la perdita di realtà del momento sacramentale e del dato soprannaturale come tali.

L'"engagement" pedagogico-pastorale e l’indebolimento di cristologia, ecclesiologia e diritto canonico oggi permettono che si faccia ovunque perno sulla "spontaneità" formativa e in certa misura sull’autofondazione del cristiano e della comunità.  Così il vissuto della messa è divenuto "partecipazione" socializzante a un incontro "festoso" più che festivo. La liturgia è assimilata ai giochi di comunità.

E appartiene a questo quadro il frequente squallore delle "nuove chiese", non pensate come "casa di Dio" ma come spazi a destinazione variabile, quindi senza significato proprio; dispendiose vacuità in cui l’"actio liturgica" è, alla lettera, spaesata e disorientata.

3. COME ALLORA SI PUÒ RECUPERARE, controcorrente,  l’intelligenza della liturgia, umano-divina, regale e cosmica, in un'epoca in cui cristologia e mariologia sono "umanizzate" su paradigmi emozionali, relazionali, compassionevoli, impermeabili alla gloria e alla vittoria della Croce? In un’epoca di nichilismo benevolente e di "falsificazione del bene".

Lo si può.

Infatti, la liturgia e la pedagogia liturgica possono ancora trasmettere, se lo vogliono, un corpo integro di rivelazione divina, quello contenuto nella "lex orandi" correttamente intesa, quindi rigorosamente tradotta, non secondo "Comme le prévoit"  ma secondo "Liturgiam authenticam" (2001) che valutava realisticamente oltre un trentennio di fatti e di errori.

La "lex orandi" non è solo una formula. È un corpo integro di dottrina, è Tradizione che oggi resta netta proprio nei testi liturgici, molto più che nelle teologie e nello stesso magistero gerarchico recente. Non si tratterà di animare assemblee dopolavoristiche o estatiche, o di realizzare delle nuove teatralità, ma di far perno sulla resistenza veritativa della Rivelazione depositata nei messali, nei breviari, e proclamata e attuata nella celebrazione responsabile.

La tensione  tra l’"in sé" del rito e la sua espressione "partecipata" esige delle soluzioni teologiche rigorose, da cui soltanto possono discendere con sicurezza le soluzioni pratico-pastorali. Non viceversa.  Da qui due avvertenze:

1. senza fede certa nel "mysterion" come "substantia" e nel simbolo in quanto epifania che apre intellettualmente e sensibilmente – con i sensi spirituali – all’Oltre come trascendenza, ogni sfida teologica tipo "dall’etico al simbolico" è già perduta in partenza;

2. non ci si affidi ad alcuna speranza di nuova generazione della verità cristiana dal rito inteso come immanenza creatrice, senza "logos".  Il "logos" divino sussiste per sé, prima e dopo l’"actio".  La liturgia sarebbe così un’altra vittima, dopo la catechesi, della deriva "attivistica" della teologia pratica.

Il movimento liturgico, dunque, come problema e come "chance".

2 commenti:

  1. La banda dei novatori, per nascondere il fallimento di una riforma liturgica che doveva riportare il popolo ad affollare le chiese, hanno sempre affermato che ciò è avvenuto perché la riforma stessa non è stata integralmente applicata. E' un pretesto per dissacrare e relativizzare ancor più la liturgia ora che l'apertamente da loro odiato e insultato ( vedi l'ex maestro delle cerimonie) papa Benedetto, non è più in carica, sostituito da uno che fa vedere chiaramente cha la liturgia è un di più inutile.

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  2. La messa 'moderna' e' in realta' la messa dei primi secoli del cristianesimo. Strati storici. non piu' sostenibili, sono stati pelati via e la partecipazione attiva, secondo il proprio ruolo, dei fedeli e' di nuovo stabilita. Non sono un sostenitore di Papa Francesco, ma voler tornare alla messa tridentina e' voler negare il fatto che la liturgia ha avuto una continua evuluzione durante i secoli, senza, pero', mai negare quello che e' in essenza: il "Fate questo in memoria di me".
    J. Toffanello
    Estero, Florida, USA

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La Redazione