E' a tutti noto che la riforma liturgica promossa dal Concilio tridentino e realizzata da S. Pio V con il riordinamento e la codificazione del Rito Romano fu sommamente rispettosa verso gli altri riti latini che vantassero una tradizione plurisecolare. E' ugualmente a tutti noto come gli zelatori della cosiddetta riforma liturgica postconciliare, per un malinteso concetto di unità liturgica, pretenderebbero che con la promulgazione del nuovo rito paolino sia stato proscritto il rito romano tradizionale.
Più cauta, in generale, è stata l'opera dei riformatori nella revisione degli altri riti latini, compiuta in un secondo tempo, quando già si avvertiva diffusamente un senso di sazietà per gli sperimentalismi più sfrenati e per le audacie innovative, che contrassegnarono i primi anni postconciliari e che portarono alla devastazione del rito romano tradizionale. Per i riti di più circoscritta diffusione si ebbe minore volontà di esercitarsi in modifiche radicali; essi inoltre vennero più tenacemente difesi dalle Chiese locali. E' un capitolo questo che andrebbe attentamente studiato: verrebbero posti in luce, tra l'altro, alcuni dei tanti aspetti paradossali della cosiddetta riforma. Interessante, in questo senso, è apprendere che il rito di Braga, in Portogallo, conserva tuttora numerosi elementi genuini dell'antico rito romano, proprio quegli elementi che il rito paolino ha perso e che, a noi che li richiediamo, vengono rifiutati!
Braga è una fra le più antiche diocesi del Portogallo, la sua esistenza è documentata già nel IV secolo; nel XII secolo Braga diveniva arcivescovado metropolitano, sede del Primate del Portogallo, come è tuttora. Nel 1980 la sua popolazione supera il milione di abitanti, cattolici nella stragrande maggioranza.
La Chiesa di Braga possiede, da tempi molto remoti, un rito suo proprio, il « Ritus Bracharensis ». Quanto al problema delle origini di questo rito, documento prezioso è una lettera scritta nel 538 da papa Virgilio a Profuturo, vescovo di Braga.
La Chiesa di Braga possiede, da tempi molto remoti, un rito suo proprio, il « Ritus Bracharensis ». Quanto al problema delle origini di questo rito, documento prezioso è una lettera scritta nel 538 da papa Virgilio a Profuturo, vescovo di Braga.
In questa lettera sono impartite istruzioni disciplinari e liturgiche circa il battesimo e la messa, istruzioni rese necessarie dalla confusione che regnava a Braga in seguito alla crisi priscillanista, la quale ebbe inizio precisamente nella Lusitania, l'attuale Portogallo.
Secondo le istruzioni del papa Virgilio vi era nella messa una parte invariabile, l'ordinario, cui si aggiungevano nei vari posti, diverse formule proprie alla solennità di ciascun giorno.
Secondo le istruzioni del papa Virgilio vi era nella messa una parte invariabile, l'ordinario, cui si aggiungevano nei vari posti, diverse formule proprie alla solennità di ciascun giorno.
Questo testo invariabile, romano, con aggiunte e sviluppi « sia nazionali, sia presi in prestito » da altre liturgie — della Gallia, ispano-gotica, sveva — forma il rito di Braga.
« Il rito svevo e il rito di Braga sono sostanzialmente identici »; il rito svevo doveva poi scomparire dopo che gli Svevi vennero vinti e respinti dai Visigoti sopraggiunti nella penisola iberica. Ma il rito di Braga sussistette, seppure tra varie difficoltà, fra cui, ad esempio, la pressione della sede primaziale di Toledo che esercitava una certa preponderanza fino a questa parte del Portogallo.
Quattro particolarità della messa secondo il rito di Braga esprimono nettamente una reazione antipriscillanista e antiariana, fatto questo che richiama il rito mozarabico:
— la formula « In unitate Sancti Spiritus benedicat vos Pater et Filius » pronunciata dal celebrante alla fine della messa nell'atto di benedire i fedeli;
— il fatto che il celebrante deve genuflettersi pronunciando il nome di Gesù al momento del Vangelo;
— il fatto che il celebrante piega entrambe le ginocchia dopo la consacrazione delle Specie eucaristiche;
— il fatto che il celebrante eleva tre volte innanzi ai fedeli l'Ostia consacrata.
La liturgia di Braga risale dunque al V secolo; verso la fine del VI e durante il VII secolo, sotto la pressione dei Concili di Toledo, che miravano a uniformare la liturgia in tutta la penisola iberica, essa regredisce fortemente ma non scompare del tutto. Nell'XI secolo il vescovo Pietro restaurò la Chiesa di Braga; documenti del XIV secolo dimostrano come il rito di Braga fosse indiscutibilmente in vigore; fra questi ci è pervenuto il testamento, datato 2 dicembre 1301, di una donna portoghese la quale dispone che nella cappella da lei istituita sia celebrata la messa « juxta consuetudinem Ecclesiae Bracharensis ».
« Il rito svevo e il rito di Braga sono sostanzialmente identici »; il rito svevo doveva poi scomparire dopo che gli Svevi vennero vinti e respinti dai Visigoti sopraggiunti nella penisola iberica. Ma il rito di Braga sussistette, seppure tra varie difficoltà, fra cui, ad esempio, la pressione della sede primaziale di Toledo che esercitava una certa preponderanza fino a questa parte del Portogallo.
Quattro particolarità della messa secondo il rito di Braga esprimono nettamente una reazione antipriscillanista e antiariana, fatto questo che richiama il rito mozarabico:
— la formula « In unitate Sancti Spiritus benedicat vos Pater et Filius » pronunciata dal celebrante alla fine della messa nell'atto di benedire i fedeli;
— il fatto che il celebrante deve genuflettersi pronunciando il nome di Gesù al momento del Vangelo;
— il fatto che il celebrante piega entrambe le ginocchia dopo la consacrazione delle Specie eucaristiche;
— il fatto che il celebrante eleva tre volte innanzi ai fedeli l'Ostia consacrata.
La liturgia di Braga risale dunque al V secolo; verso la fine del VI e durante il VII secolo, sotto la pressione dei Concili di Toledo, che miravano a uniformare la liturgia in tutta la penisola iberica, essa regredisce fortemente ma non scompare del tutto. Nell'XI secolo il vescovo Pietro restaurò la Chiesa di Braga; documenti del XIV secolo dimostrano come il rito di Braga fosse indiscutibilmente in vigore; fra questi ci è pervenuto il testamento, datato 2 dicembre 1301, di una donna portoghese la quale dispone che nella cappella da lei istituita sia celebrata la messa « juxta consuetudinem Ecclesiae Bracharensis ».
Nei primi tempi il rito di Braga non ha completamente sostituito il rito romano: per un certo periodo i due riti sono coesistiti. Con la Bolla « Quo Primum » del 14 luglio 1570, S. Pio V approvava l'uso dei riti latini che fossero in vigore da almeno duecento anni1 e quindi anche il rito di Braga; questo fu dall'arcivescovo di Braga imposto come esclusivo per la Chiesa locale solo nel 1594. Nel corso dei secoli tutti i tentativi di introdurre il rito romano nella Chiesa di Braga incontrarono l'opposizione formale del capitolo metropolitano, tanto che, a questo proposito, nel 1880 vi fu un notevole conflitto. I diritti liturgici tradizionali venivano poi rinforzati nel nuovo Codice di diritto canonico, promulgato nel 1917: «Clerici... tenentur obligatione quotidie horas canonicas integre recitando secundum proprios et probatos liturgicos libros » (canone 135).
Le Costituzioni sinodali dell'arcivescovado di Braga, appro¬vate dalla Santa Sede il 29 luglio 1918, ribadirono che la messa doveva essere celebrata secondo il messale e il calendario liturgico propri del rito di Braga. Con la Bolla « Inter multiplices » Pio XI, l'8 dicembre 1924, approva la nuova edizio¬ne del messale di Braga.
La lettura del messale di Braga, nell'edizione del 1972 oggi in vigore, è par¬ticolarmente istruttiva per i cattolici di rito romano che lamentano la devastazione del loro rito. Le prime venti pagine di introduzione contengono tra l'altro l’« imprimatur » dell'arcivescovo primate (30 giugno 1972), il decreto di approvazione della S. Congregazione per il Culto Divino (18 novembre 1971), una lettera della stessa S. Congregazione che appro¬va la traduzione del messale nella lingua portoghese (3 ottobre 1972). Le firme apposte su questi documenti sono del cardinal Tabera e di mons. Bugnini, allora rispettivamente prefetto e segretario della S. Congregazione; siamo a tre anni dalla promulgazione del messale di Paolo VI.
Per quanto riguarda la messa secondo il rito di Braga, occorre in particolare notare quanto segue:
— le preghiere dell'inizio sono più lunghe di quelle del messale romano promulgato da S. Pio V, ma includono queste ultime (Salmo 42, 1-5; Confiteor; Aufer a nobis; Oramus Te Domine);
— all'offertorio le due prime preghiere, quelle dello spiegamento del corporale e dell'offerta dell'ostia sono diverse dal rito romano; tutte le altre preghiere sono quelle del rito romano;
— il canone è integralmente quello promulgato da S. PioV;
— alla fine della messa alcune varianti dopo la preghiera del postcommunio:
— al posto, dell'Ite Missa est, nel tempo di Natale e in quello dell'Epifania, vi sono due bellissime formule di congedo dei fedeli con responsorio per essi. Dopo l'ultimo Vangelo, che è il Prologo del Vangelo secondo S. Giovanni come nel rito romano, una preghiera alla Madonna cambia secondo i quattro tempi liturgici.
Par di sognare: ciò che la Santa Sede giudica giusto, ragionevole, conforme al¬la tradizione e al diritto della Chiesa, ciò che essa concede ai fedeli del rito di Braga, è esattamente quanto rifiuta ai fedeli del rito romano!
Paradossale e grottesco appare il fatto che nella arcidiocesi di Braga il rito lo¬cale non è più esclusivo, ad esso è ora affiancato quello paolino: sacerdoti e fedeli sono liberi di scegliere tra il messale di Paolo VI e il messale di Braga che, come si è detto, contiene tra l'altro immutato l'antico canone romano.
La lettura del messale di Braga, nell'edizione del 1972 oggi in vigore, è par¬ticolarmente istruttiva per i cattolici di rito romano che lamentano la devastazione del loro rito. Le prime venti pagine di introduzione contengono tra l'altro l’« imprimatur » dell'arcivescovo primate (30 giugno 1972), il decreto di approvazione della S. Congregazione per il Culto Divino (18 novembre 1971), una lettera della stessa S. Congregazione che appro¬va la traduzione del messale nella lingua portoghese (3 ottobre 1972). Le firme apposte su questi documenti sono del cardinal Tabera e di mons. Bugnini, allora rispettivamente prefetto e segretario della S. Congregazione; siamo a tre anni dalla promulgazione del messale di Paolo VI.
Per quanto riguarda la messa secondo il rito di Braga, occorre in particolare notare quanto segue:
— le preghiere dell'inizio sono più lunghe di quelle del messale romano promulgato da S. Pio V, ma includono queste ultime (Salmo 42, 1-5; Confiteor; Aufer a nobis; Oramus Te Domine);
— all'offertorio le due prime preghiere, quelle dello spiegamento del corporale e dell'offerta dell'ostia sono diverse dal rito romano; tutte le altre preghiere sono quelle del rito romano;
— il canone è integralmente quello promulgato da S. PioV;
— alla fine della messa alcune varianti dopo la preghiera del postcommunio:
— al posto, dell'Ite Missa est, nel tempo di Natale e in quello dell'Epifania, vi sono due bellissime formule di congedo dei fedeli con responsorio per essi. Dopo l'ultimo Vangelo, che è il Prologo del Vangelo secondo S. Giovanni come nel rito romano, una preghiera alla Madonna cambia secondo i quattro tempi liturgici.
Par di sognare: ciò che la Santa Sede giudica giusto, ragionevole, conforme al¬la tradizione e al diritto della Chiesa, ciò che essa concede ai fedeli del rito di Braga, è esattamente quanto rifiuta ai fedeli del rito romano!
Paradossale e grottesco appare il fatto che nella arcidiocesi di Braga il rito lo¬cale non è più esclusivo, ad esso è ora affiancato quello paolino: sacerdoti e fedeli sono liberi di scegliere tra il messale di Paolo VI e il messale di Braga che, come si è detto, contiene tra l'altro immutato l'antico canone romano.
Perché questa libertà è rifiutata ai fedeli di rito romano?
Come giudicare una riforma liturgica che, contemporaneamente, da una parte mostra saggezza nell'approvare il messale di Braga, mentre dall'altra si accanisce in un immotivato rifiuto del messale romano tradizionale? E' questa una patente manifestazione di incoerenza; es¬sa non può portare né i benefici della giustizia, né la pace e la concordia nella Chiesa.
Per salvaguardare i propri diritti liturgici i cattolici di rito romano che vogliono mantenersi fedeli alla propria tradizione dovrebbero forse adottare il rito di Braga?! Per restare romani occorrerà farsi lusitani?!
p. Lino De Filippo
Per salvaguardare i propri diritti liturgici i cattolici di rito romano che vogliono mantenersi fedeli alla propria tradizione dovrebbero forse adottare il rito di Braga?! Per restare romani occorrerà farsi lusitani?!
p. Lino De Filippo
Dal Notiziario" n.53-54 Giugno- Dicembre 1980 di Una Voce Italia, pagg.13-14-15.
Qualcuno potrebbe cortesemente indicarmi dove posso reperire, possibilmente in rete, il Messale con il Rito di Braga?
RispondiEliminaGrazie molte.
Il Primate del Portogallo è il Metropolita di Braga ?
RispondiEliminaPensavo che fosse il Patriarrca di Lisbona !
qualcuno sa come di fatto andò la situazione? perché sapevo che teoricamente i due riti erano permessi insieme a Braga, ma in pratica come si svolsero le cose? sarebbe interessante averne notizie.
RispondiEliminaA Carradori: sì il primate è l'Arcivescovo di Braga, da tempi antichissimi. Il Patriarca venne dopo, titolo concesso da Clemente XI nel 1716. Resta comunque in vigore il titolo primaziale di Braga, riconosciuto più volte ufficialmente (ad esempio a Vaticano I, quando i Primati avevano una precedenza riconosciuta)
Che dire del rito di Putignano allora?
RispondiElimina<span>qualcuno sa come di fatto andò la situazione? perché sapevo che teoricamente i due riti erano permessi insieme a Braga, ma in pratica come si svolsero le cose? sarebbe interessante averne notizie.
RispondiEliminaA Carradori: sì il primate è l'Arcivescovo di Braga, da tempi antichissimi. Il Patriarca venne dopo, titolo concesso da Clemente XI nel 1716. Resta comunque in vigore il titolo primaziale di Braga, riconosciuto più volte ufficialmente (ad esempio a Vaticano I)</span>
Oggi il primate del Portogallo è il patriarca di Lisbona, ma dopo la Reconquista Braga estendeva la sua giurisdizione sul Portogallo e su parte della Spagna, contendendo il titolo di sede primaziale a Toledo, tanto che qualche arcivescovo si definì "Hispaniarum primas".
RispondiEliminaRagazzi, rito di Putignano a parte ;) , fatemi capire : chi è attualmente il Primate del Portogallo ( considerato che tali titoli ormai sono stati sostituiti de facto dai presidenti delle Conferenze Episcopali ...).
RispondiEliminaMi raccontava, comunque, un Sacerdote di Braga che il rito braghense sta per essere dimenticato poichè lo stesso Metropolita celebra quasi eclusivamente con il rito paolino e non gli importa nulla, anzi ...., della Liturgia antichissima di cui è Caporito.
A questo punto dobbiamo dire : W i santi campanilismi degli Ambrosiani !!!
Più passa il tempo e più ci accorgiamo dell'arbitrio e del disastro provocato dal famigerato messale di Paolo VI e Bugnini.
RispondiEliminaIòl disastro è dovuto alla scarsa conoscenza del mondo di molti vescovi e papi .
Cresciuti in seminario, come polli in batteria, mettono in pratica ciò che frulla loro in testa per aver letto qualcosa infischiandosene del sentire dei fedeli e della
Tradizione cattolica di duemila anni.
don Gianluigi, il titolo di Primate è sempre di Braga. Il Patriarcato è una cosa più recente che non ha annullato la primazia (appunto sempre riconosciuta, anche ai concili), anche perché sono titoli oggi del tutto onorifici. Esatta l'osservazione sul titolo di Hispaniarum Primas
RispondiEliminaEgr. prof. Carradori,
RispondiEliminarito di Putignano a parte, mi preme farLe notare che si dice rito "bracarense" e non braghense.
Non che io sia un cultore, ma l'avevo appreso poche settimane fa, leggendo quel libro che la cortese Redazione segnalò tempo addietro: Il canto gregoriano nel Magistero della Chiesa di G. D'Amico.
Una vera miniera di informazioni.
Non so se a Braga se ne fregano del rito loro.
A Putignano sono più attenti a conservare quel che resta.
<span><span>Grazie Andrea per il riconoscimento a noi ambrosiani, ma non è campanilismo bensì giusto orgoglio per l'unico rito non romano giunto fino ai nostri giorni. Colgo l'occasione del simpatico rilievo di Andrea per precisare una questione sulla quale si nota spesso un certo equivoco. Si parla qui del rito di Braga, del quale in rete è disponibile il l'Ordo Missae (ristampa dell'edizione del 1924 ---> http://www.lexorandi.es/HispanoMozarabe/MissaleBracarense.pdf ) e si accenna ad altri riti qualcuno tuttora vivente, altri aboliti (come quello patriarchino). Ora, va precisato che praticamente nessuno di questi - eccetto il mozarabico-toledano - sono veramente riti arcaici che hanno mantenuto sostanzialmente una propria specifica struttura. Mi spiego. Prendiamo il caso del famoso rito patriarchino o "di Aquileia", sul quale tanto si è favoleggiato in passato e tuttora in Friuli spesso si parla. Le fonti che noi possediamo, di origine medioevale, che cosa ci rivelano? Che in realtà il rito patriarchino era sostanzialmente il rito romano con l'innesto/conservazione di alcune pecualiarità rituali locali. Molto probabilmente l'antico rito aquileiese, di cui sappiamo qualcosa dai famosi sermoni di Cromazio, fu romanizzato ai tempi di Carlo Magno, quando alla sede aquileiese venne eletto quel Paolino che di Carlo fu fidatissimo e che difficilmente potrebbe non aver applicato proprio nella sua giurisdizione quella politica romanizzatrice che contraddistinse il progetto politico-religioso del Sacro Romano Impero. In sostanza bisogna quindi ben distinguere fra il rito aquileiese antico, che aveva una specifica struttura, e di cui purtroppo non abbiamo quasi nessuna fonte diretta, e il rito detto patriarchino, che è di fatto un rito romano con alcune particolarità locali. La stessa cosa si vede esaminando l'Ordo Missae di Braga: anche qui si tratta di fatto dell'Ordo romano, con qualche particolarità (non vedo però, di quelle accennate nel post, la triplice elevazione dell'ostia). Non avendo a disposizione il Messale completo, non so se il lezionario ha un ciclo specifico o se è anch'esso, come sospetto, identico al romano: qualcuno ne sa qualcosa? In sostanza, si tratta di casi ben diversi dall'ambrosiano: il quale, unico (insieme al solo toledano, credo) ha mantenuto invece una propria specifica e peculiare struttura della Messa e dell'Ufficio, ben diversa da quella romana, un ciclo di letture proprio, persino un Salterio proprio (cioè la versione latina del Salterio in uso a Milano è un'antica traduzione italica, diversa sia da quella romana sia da quella gallicana poi adottata anche nel Breviario romano), e, cosa importantissima, un proprio repertorio di canto, diverso dal gregoriano, che a sua volta si è affermato ovuqnue insieme al rito romano sostiuendo gli antichi repertori musicali locali (beneventano, ispanico ecc.). E' quindi una situazione davvero unica, insieme a quella mozarabico-toledana (della quale però sappiamo che ha avuto vicende complesse sulle quali ora nn è il caso di diffondersi e che anche a livello del repertorio di canto è fortemente gregorianizzata... altro tema sul quale in realtà si deve ancora studiare a fondo).
RispondiElimina</span></span>
Il patriarchino, che io sappia, ha un suo repertorio di canto, almeno in alcune parti.
RispondiEliminaL'ordo missae è pressochè romano (con varianti), ma non mi sono mai messo a studiare troppo i propri..sarebbe interessante!
Soprattutto ha un repertorio ENORME di sequenze.
In ogni caso consiglio di guardare attentamente questo sito:
http://silvanofain.zxq.net/biografiafain.html
Caro J, grazie per l'intervento perché mi dà l'occasione di puntualizzare una questione che è, come avevo sottolineato, sempre poco chiara. Il patrriarchino NON ha un proprio repertorio di canti. Mi spiego. E' verosimile che l'antico rito aquileiese - quello, x intenderci, che conosce Cromazio e che arriva presumibilmente fin verso l'epoca di Paolino II - avesse un proprio repertorio di canti, di cui però non sappiamo nulla; un paio di pezzi, studiati da K. Levy, potrebbero essere sopravvissuti in due libri ravennati, ma nulla è certo. Un altro paio di maniche è il rito aquileiese come lo conosciamo dai libri medievali e successivi, cioè quello che per comodità chiamiamo rito patriarchino, quando il rito era stato romanizzato; anche il canto era ormai divenuto il gregoriano. Questa non è un'affermazione opinabile: basta scorrere le decine di manoscritti musicale provenienti dal Patriarcato e vedere che il repertorio in essi contenuto altro non è che il gregoriano. Naturalmente ci possono essere alcuni pezzi non gregoriani e non è scluso che qui e là si annidino sopravvivenze arcaiche (come a a Benevento, dove non abbiamo libri di canto beneventano: i pezzi beneventani antichi sono stati copiati all'interno dei "nuovi" antifonari gregoriani). Vedi lo studio di Michel Huglo nel I vol. della Storia della cultura veneta uscita nel 1976, che chiarisce bene la questione. Poi c'è la questione del canto liturgico della tradizione orale veneto-friulana: potrebbe contenere pezzi provenienti dall'arcaico canto aquileiese pre-gregoriano? Capisci che è molto difficile dare una risposta. Anche qui le ricerche rivelano che molti pezzi sono rielaborazioni di melodie gregorianesecondo lo stile del canto liturgico "popolare"; vis ono però anche pezzi sicuramnete di origine nn gregoriana: non potremmo però stabilire se derivino da un'epoca così arcaica. Certo è che si tratta di un repertorio dotato di alcune peculiarità stilistiche nel modo di realizzare questi adattamenti. E' una questione molto complessa che va trattata con prudenza, equidistante sia dai campanilismi di chi asserisce che si tratta dell'antico repertorio aquileiese, sia di chi nega affatto la possibilità che al suo interno sopravviva qualche eco di melodie arcaiche.
RispondiEliminaops dimenticavo, anche le quasi totalità delle sequenze non è di origine locale ma appartiene al repertorio diffuso principalmente nella Germania meridionale e zone limitrofe norditaliane.
RispondiEliminaPerfettamente d'accordo su tutto.
RispondiEliminaPoi le sequenze non sono certo un patrimonio antico.
Questo mi pareva evidente.
CHe mi dici della melodia "patriarchina" pel canto del Vangelo?
i toni delle cantillazioni sono spesso uno degli elementi locali che si conservano. Purtroppo sono ancora pochissimo studiati. Per esempio l'antichissimo testo dell'annuncio della data di pasqua dell'epifania ha una melodia, conservata in vari manoscritti, che andrebbe comparata con quelle presenti in altre fonti... un primo lavoro è stato fatto, ma... ancora c'è da fare. Per i toni di recita delle letture (vangeli inclusi), a parere di Bruno Staeblein un indizio di antichità è la corda di recita su sol o la. Ora nn ho qui sottomano il tono (o i toni) presenti nei messali patriarcali, prova a verificare (o fai riferimento a quelli di tradizione orale?)
RispondiEliminahttp://silvanofain.zxq.net/fotoanniottanta.html
RispondiEliminaDalle foto degli anni'80 ho notato che l'altare ha i sei candelieri e una piccola croce centrale alla maniera "benedettiana" diremo oggi ! :)
Io non ho informazioni di prima mano... di mio sono ambrosianissimo... solo ogni tanto raccimolo qua e là nozioni; le mie scarse nozioni "patriarchine", vengono appunto da questo sito e dalla lettura del messale pubblicato in anastatica dalla LEV che ho sottomano in università....
RispondiEliminaQuindi nozioni scadentissime.
Credo -ma non vorrei dire una bestiata- che l'arciprete di Grado conservasse tutte le usanze del Patriarca di Grado...dato che il Patriarcato è stato soppresso...
Angelo però è mooooooooolto più informato di me!
Saluti!!
In ogni caso le foto "belle" arrivano fino agli anni '60... poi si capisce che il vento è cambiato...anche se un certo "stile" non è mai venuto meno...
RispondiEliminaEhm...scusate qui sopra sono io... non so perchè non mi è comparso il nome... :)
RispondiElimina<span>In ogni caso le foto "belle" arrivano fino agli anni '60... poi si capisce che il vento è cambiato...anche se un certo "stile" non è mai venuto meno...</span>
RispondiEliminaBravo Ospite delle 18,29 è verissimo quello che hai scritto : " ...un certo "stile" non è mai venuto meno... ".
RispondiEliminaChe bravo l'Arciprete che funzioni stupende negli anni '50 e '60 !!!
Verissimo...continuo a riguardarle....
RispondiEliminaP.S: l'ospite sono io...devo aver fatto pasticci e mi è sparito il nome...
Avete notato http://silvanofain.zxq.net/fotoannisessanta.html che i chierici assistenti ( anche alla Messa prelatizia del Cardinale di Vienna ) portano sulle cotte due nastri verticali.
RispondiEliminaChi mi sa dire che significato hanno ?
Notate che anche prima del Concilio VII si adoperavano delle belle casule ?
Stupendo il parato per la visita del Card.Urbani e per la Messa di Natale del 1961.
Non ho visto foto del Monsignore che indossa una pianeta romana.
Quelle fotografate erano le vere autentiche casule non le brutture dei giorni infelicissimi giorni !
Speriamo che questi parati ci siano ancora! e che li usino...
RispondiEliminaInfatti, è quasi incredibile, per chi, come me, quegli anni nn li ha vissuti, vedere che bastano poche foto per constatare un incredibile mutamento. La cosa che più mi colpisce è il senso di grigiore che emanano le foto del periodo postconciliare. Che è poi il tratto dominante delle messe attuali: almeno qui da noi provocazioni e abusi palteali ne vedo abbastanza pochi, ma il grigiore imperante è quasi peggiore.
RispondiEliminaLa derivazione delle usanze cerimoniali gradesi non la conosco; credo peraltro che su grado sia stato pubblicato qualcosa in anni recenti, anche se con la storiografia locale bisogna andarci piano, salvo notevoli eccezioni. In proposito, sulla Messa nel Patriarcato aquileiese, ti segnalo anche i recenti studi ed edizioni di don Giuseppe Peressotti.
RispondiElimina<span> @ J : mi pare di aver capito che ormai a Grado quei canti di tradizione orali che dai tuoi link vediamo ancora vivi negli anni '80 ormai sono scomparsi del tutto? sembrerebbe incredibile... Sono sicuro che almeno dalla fine degli anni '90 e dopo ci siano stati dei giovani studiosi che ci hanno lavorato, ma il guaio è se la tradizione si è interrotta e nessuno più canta... E' un fatto grave; fin che c'è ancora qualcuno che ha vissuto quelle pratiche canore bisognerebbe attivarsi per mettere insieme un gruppo di canto che ricuperi quel repertorio nella pratica viva, anche attraverso le registrazioni. Si possono coinvolgere insieme giovani e anziani, in modo da ricostituire il filo della tradizione. Io l'ho fatto e lo sto facendo in alcuni luoghi con ottimi risultati. Si può!
RispondiElimina</span>
già...
RispondiEliminasolo che io a Grado non sono mai stato nemmeno una volta in vita mia...
la lotta è già dura per me in terra ambrosiana!!!
:)
posso immaginare, sono ambrosiano anch'io.
RispondiElimina