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sabato 6 marzo 2010

La dottrina cattolica sul sacerdozio ministeriale, prima, durante e dopo il Concilio Vat. II. Terza parte

di Don Mauro Gagliardi, docente all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma, e Consultore per le celebrazioni liturgiche del S. Pontefice. Il testo qui di seguito è riportato senza note: l'articolo completo è stato pubblicato su Sacrum Ministerium 15 (2009/2), pp. 65-99.


Link alla seconda parte


3. Tendenze teologiche post-conciliari

Negli anni Settanta, il presbiterato ha conosciuto una crisi di proporzioni forse mai viste prima nella storia della Chiesa. Il fatto che ciò sia avvenuto poco dopo la conclusione del Vaticano II, ci induce a dire certamente post hoc, ma non è altrettanto certo che si possa sostenere anche il propter hoc. La successione temporale non sempre indica un rapporto di causalità e quindi il fatto che si sia sperimentata una diffusa "crisi di identità del presbitero" dopo l’ultimo Concilio non significa che l’unica spiegazione plausibile sia che tale crisi è sorta a causa del Vaticano II. Bisogna al contrario riconoscere che essa si è manifestata, oltre che per ragioni culturali e sociali, anche perché ci si è presto staccati dal testo conciliare, per sviluppare altre visioni del sacerdozio. La crisi di identità del presbitero – che per molti versi perdura fino ad oggi – ha fatto sorgere molte domande presso i teologi ed i pastoralisti e ha prodotto una deviazione nelle pubblicazioni sul ministero ordinato: la bibliografia sul sacerdozio si è orientata, tra fine anni Settanta e gli anni Ottanta, non più ai testi conciliari, se non in obliquo, bensì al tema dei ministeri nel Nuovo Testamento ed allo studio sulla ragion d’essere del ministero ordinato nella Chiesa.

In generale, gli studi teologici sul presbiterato si sono polarizzati attorno a due nuclei: quello cristologico e quello ecclesiologico. Gli studi della prima serie (quella cristologica) si sono sviluppati su due linee principali: una che sottolinea soprattutto il carattere cultuale del ministero ordinato, intendendolo soprattutto come sacerdozio; e un’altra che sviluppa maggiormente la categoria di rappresentanza, in una riflessione che fa leva sul carattere missionario e pastorale del presbiterato. Stando alla lettura che abbiamo effettuato di LG e PO, in base alla bimillenaria tradizione della Chiesa, il primo modello appare essere più adeguato, anche se bisogna evitare alcuni errori in cui si può incorrere, se esso viene mal applicato. Nel modello "sacrale-sacerdotale", si comprende il presbitero in base a quel sacerdozio che Cristo ha istituito e trasmesso innanzitutto agli apostoli e poi, da questi, ai loro successori. Fondamentale in quest’ottica è il testo della Lettera agli Ebrei, il cui valore in merito alla teologia del sacerdozio cristiano è stato spesso contestato ai nostri tempi, ma che – come abbiamo visto – è invece affermato con chiarezza dalla tradizione magisteriale e teologica. È chiaro che in quest’ottica l’identità del sacerdote cattolico si comprende in relazione a Cristo: il presbitero è alter Christus perché – come dice PO – porta in sé la persona di Cristo. Il limite che viene fatto notare da diversi studiosi recenti consiste nel fatto che alcuni rappresentanti di questa impostazione teologica intendono il munus sanctificandi come l’"essere" del presbitero e i munera docendi et regendi solo come il "fare", mettendo a rischio l’unità dei tria munera. Quest’ultima applicazione del modello sacrale o sacerdotale della teologia del presbiterato non coincide perfettamente con i testi sul presbiterato del Vaticano II, i quali parlano del carattere apicale del munus sanctificandi, ma non lo separano nettamente dagli altri due munera.

Per questo altri teologi, pur rimanendo all’interno del polo interpretativo cristologico, hanno preferito sviluppare la teologia del presbiterato cattolico sul modello della rappresentanza (modello missionario-pastorale), che – come si è visto – veniva utilizzato già nel Catechismo Tridentino. Tra questi autori, spicca il nome di Joseph Ratzinger. Egli ha assunto la categoria della "missione di Cristo" come punto di partenza della sua teologia del sacerdozio ministeriale. Il ministro si comprende innanzitutto come inviato. La missione costituisce la natura del ministero ordinato, e questa missione è compresa sempre in base al polo cristologico: è Cristo, l’Inviato del Padre, che è presente nel ministro (rappresentanza vicaria) e continua attraverso di lui la sua missione. In questo modo si evita anche l’alternativa tra aspetti ontologici e funzionali del sacerdozio cattolico. È di tutto rilievo che Ratzinger abbia riproposto questa linea interpretativa anche da Pontefice, nell’Udienza generale del mercoledì seguente l’Apertura solenne dell’Anno Sacerdotale. Il Papa ha richiamato esplicitamente anche i suoi studi da privato teologo in materia, dicendo:
"In un mondo in cui la visione comune della vita comprende sempre meno il sacro, al posto del quale, la "funzionalità" diviene l’unica decisiva categoria, la concezione cattolica del sacerdozio potrebbe rischiare di perdere la sua naturale considerazione, talora anche all’interno della coscienza ecclesiale. Non di rado, sia negli ambienti teologici, come pure nella concreta prassi pastorale e di formazione del clero, si confrontano, e talora si oppongono, due differenti concezioni del sacerdozio. Rilevavo in proposito alcuni anni or sono che esistono "da una parte una concezione sociale-funzionale che definisce l’essenza del sacerdozio con il concetto di ‘servizio’: il servizio alla comunità, nell’espletamento di una funzione… Dall’altra parte, vi è la concezione sacramentale-ontologica, che naturalmente non nega il carattere di servizio del sacerdozio, lo vede però ancorato all’essere del ministro e ritiene che questo essere è determinato da un dono concesso dal Signore attraverso la mediazione della Chiesa, il cui nome è sacramento" (J. Ratzinger, "Ministero e vita del Sacerdote", in Elementi di Teologia fondamentale. Saggio su fede e ministero, Brescia 2005, p. 165). Anche lo slittamento terminologico dalla parola "sacerdozio" a quelle di "servizio, ministero, incarico", è segno di tale differente concezione. Alla prima, poi, quella ontologico-sacramentale, è legato il primato dell’Eucaristia, nel binomio "sacerdozio-sacrificio", mentre alla seconda corrisponderebbe il primato della Parola e del servizio dell’annuncio.

A ben vedere, non si tratta di due concezioni contrapposte, e la tensione che pur esiste tra di esse va risolta dall’interno [..]. Ci chiediamo allora: "Che cosa significa propriamente, per i sacerdoti, evangelizzare? In che consiste il cosiddetto primato dell’annuncio"? Gesù parla dell’annuncio del Regno di Dio come del vero scopo della sua venuta nel mondo e il suo annuncio non è solo un "discorso". Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire: i segni e i miracoli che compie indicano che il Regno viene nel mondo come realtà presente, che coincide ultimamente con la sua stessa persona. In questo senso, è doveroso ricordare che, anche nel primato dell’annuncio, parola e segno sono indivisibili.
[..]
Come si evince dal lungo testo citato, il Papa riprende dai suoi studi teologici l’impostazione di una teologia del presbiterato secondo il polo cristocentrico e declinata in base al modello missionario-pastorale della rappresentanza. Il Santo Padre mette in evidenza, tuttavia, quanto resta imprescindibile: il carattere sacrale del sacerdozio. Tra le altre cose, Benedetto XVI cita l’espressione alter Christus, tipica del modello sacrale-cultuale, che quindi non lascia adito a dubbi sull’insegnamento proposto dal Pontefice. In sintesi, si può dire che il Papa ha ricordato l’inscindibilità del binomio identità-missione. Il presbiterato va compreso ontologicamente quanto all’identità sacerdotale, derivante dalla ricezione del sacramento dell’Ordine. Simile identità è finalizzata alla missione e da essa inseparabile. La negazione di uno di questi due aspetti porta a visioni riduttive del ministero ordinato. Papa Benedetto ha ribadito questo insegnamento nell’Udienza generale del 1° luglio:

"In verità, proprio considerando il binomio "identità-missione", ciascun sacerdote può meglio avvertire la necessità di quella progressiva immedesimazione con Cristo che gli garantisce la fedeltà e la fecondità della testimonianza evangelica. Lo stesso titolo dell’Anno Sacerdotale – Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote – evidenzia che il dono della grazia divina precede ogni possibile umana risposta e realizzazione pastorale, e così, nella vita del sacerdote, annuncio missionario e culto non sono mai separabili, come non vanno mai separati identità ontologico-sacramentale e missione evangelizzatrice. Del resto il fine della missione di ogni presbitero, potremmo dire, è "cultuale": perché tutti gli uomini possano offrirsi a Dio come ostia viva, santa e a lui gradita (cf. Rm 12,1)".

La visione equilibrata e tendenzialmente completa offerta da Benedetto XVI mostra, per converso, la parzialità delle letture spesso operate negli ultimi decenni nell’altro polo interpretativo, quello ecclesiologico. Spesso negli anni Settanta i candidati al sacerdozio, o i presbiteri nei ritiri mensili del clero, si sono sentiti ripetere che il sacerdote, più che rappresentante di Cristo (come insegna il Vaticano II), lo sarebbe della comunità, in quanto presidente ma anche espressione di essa. In questo modo, ci si avvicinava al concetto protestante di ministero, ma si perdevano di vista aspetti essenziali della tradizione teologico-magisteriale cattolica, anche a livello di esercizio concreto del ministero, con la conseguente sottomissione del sacerdote alla comunità, della quale egli doveva essere interprete, più che guida, ed alla quale doveva rendere conto.

Non di rado, poi, alcune impostazioni teologiche si sono proposte la sistematica desacralizzazione e persino "desacerdotalizzazione" del ministero presbiterale. Il presbiterato è stato interpretato preponderantemente, quando non esclusivamente, in modo funzionale e non ontologico. Spiccano, tra gli studiosi che esprimono questa linea e che naturalmente presentano anche notevoli differenze tra loro, i nomi di Karl Rahner, Edward Schillebeeckx, Hans Küng, Leonardo Boff ed altri. È qui impossibile dare conto, anche in maniera puramente schematica, delle loro proposte. Possiamo solo dire che, in termini generali, una visione principalmente funzionale del presbiterato non coincide né con i testi del Vaticano II, né con la bimillenaria tradizione magisteriale e teologica da cui esso è scaturito e della quale rappresenta la più recente manifestazione conciliare. Citiamo ancora Benedetto XVI:
"Avendo ricevuto un così straordinario dono di grazia con la loro "consacrazione", i presbiteri diventano testimoni permanenti del loro incontro con Cristo. Partendo proprio da questa interiore consapevolezza, essi possono svolgere appieno la loro "missione", mediante l’annuncio della Parola e l’amministrazione dei Sacramenti. Dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l’impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo, ci fosse qualcosa di più urgente; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società. La pagina evangelica, che abbiamo ascoltata all’inizio, sta invece a richiamare i due elementi essenziali del ministero sacerdotale. Gesù invia, in quel tempo e oggi, gli Apostoli ad annunciare il Vangelo e dà ad essi il potere di cacciare gli spiriti cattivi. "Annuncio" e "potere", cioè "parola" e "sacramento" sono pertanto le due fondamentali colonne del servizio sacerdotale, al di là delle sue possibili molteplici configurazioni".
 
segue

2 commenti:

  1. <span><span>"identità-missione", vero!</span></span>
    <span><span>MA.....</span></span>
    se si perde l'identità, da dove potrà nascere la missione ?

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  2.    Pace e bene! Grazie all'autore dell'articolo. Dico solo: I seminari e i noviziati sono il futuro della Chiesa. Le vocazioni benchè 'divine' devono essere coltivate. Ognuna deve consacrarsi allo Spirito Santo. Allora il sacerdote sarà tutto al servizio dell'Eucaristia, del ministero del perdono e direzione spirituale, e del ministero della Parola.

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