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mercoledì 5 giugno 2024

Cattolicesimo in Bulgaria: terra di martirio e persecuzione

Ripercorriamo la storia di un cristianesimo poco conosciuto e perseguitato.
Luigi C.

Schola Palatina,  Marco Mancini | 4 Ottobre 2023

La conversione della Bulgaria al Cristianesimo avvenne intorno alla metà del IX secolo per mezzo dello Knjaz (sovrano) Boris I, che governò la nazione dall’852 all’889 d.C. Egli prese contatti con missionari di rito latino, al fine di coinvolgere i Franchi in un’alleanza contro il re di Moravia. L’imperatore bizantino Michele III, però, temendo che la Bulgaria potesse adottare il rito occidentale, preparò subito una spedizione militare in territorio bulgaro. Nel tentativo di evitare l’occupazione bizantina, Boris I accettò di convertirsi al Cristianesimo di rito greco e si fece battezzare proprio alla presenza dell’imperatore, assumendo in suo onore il nome di Boris Michele.

«Isapostolos»

Boris Michele di Bulgaria è annoverato tra i Santi cristiani con l’appellativo di Isapostolos, cioè «pari tra gli Apostoli» ed è ricordato dalla liturgia il giorno 2 maggio. Il suo attaccamento ai princìpi cristiani emerse soprattutto dopo la sua abdicazione: quando si rese conto che il figlio Vladimir, ormai nuovo sovrano di Bulgaria, con l’appoggio di un gruppo di nobili stava tentando di restaurare il paganesimo, restringendo di molto, tra l’altro, le libertà dei cristiani, non esitò ad intervenire per ristabilire l’ordine, destituendo con la forza Vladimir e cedendo il trono all’altro figlio Simeone. Una volta sventata tale minaccia, il primo Knjaz bulgaro decise di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in un monastero, dedicandosi alla preghiera assidua e alla contemplazione.

Boris I, pur avendo accettato il rito bizantino, conservò sempre in cuor suo l’ardente anelito di creare un patriarcato bulgaro indipendente da Costantinopoli. Per questo motivo nell’866 d.C. si rivolse a papa Niccolò I, con la speranza di ottenere un Patriarcato autocefalo. Il pontefice Niccolò I, però, inviò due suoi delegati, i vescovi Formoso di Porto e Paolo di Populonia, con l’intenzione di convertire i bulgari al Cattolicesimo e farli così entrare nell’orbita romana. A questo punto Boris I, molto deluso, si volse definitivamente a Bisanzio e la Chiesa bulgara venne assorbita dal Patriarcato di Costantinopoli.

Cattolicesimo in Bulgaria: la lingua, segno di identità

La traduzione dei testi sacri divenne il mezzo con cui mantenere salde le radici nazionali. L’utilizzo della lingua slava venne adottato in Bulgaria grazie ad alcuni discepoli di Cirillo e Metodio, inviati in quel territorio dal patriarca Fozio nell’866 d.C. Durante il Concilio di Preslav, nell’893 d.C., venne adottato ufficialmente il glagolitico e l’antico slavo ecclesiastico divenne la lingua principale della Chiesa e dello Stato. In seguito, sotto il regno di Simeone il Grande, figlio di Boris I, la Bulgaria divenne una delle potenze più temute dell’area balcanica.

Nel 917 la Chiesa ortodossa bulgara, sempre per volere del nuovo zar, proclamò la sua indipendenza da Costantinopoli. Dieci anni più tardi anche il Patriarcato di Bisanzio ne riconobbe l’autonomia.

La persecuzione musulmana

Con l’avvento dell’impero ottomano alla fine del XIV secolo, la Bulgaria trascorse forse il suo periodo più buio: gli ottomani si resero protagonisti di vari atti vessatori anche sotto il profilo religioso, non solo profanando e distruggendo chiese, ma anche dando alle fiamme numerosi manoscritti e testi sacri conservati nelle biblioteche, che avevano costituito fino ad allora il fondamento della cultura bulgara. Il dominio degli ottomani in Bulgaria terminò nel 1878, grazie all’intervento della Russia.

Il 3 marzo dello stesso anno venne firmato il trattato di Santo Stefano, che assicurava l’esistenza di un Principato Indipendente di Bulgaria sotto il controllo russo e un governo di ispirazione cristiana.
La persecuzione comunista

La comunità cattolica bulgara dopo la seconda guerra mondiale subì una pesante persecuzione da parte del regime politico appena instaurato, che dal 1946 al 1989 detenne il potere ispirandosi al modello sovietico, divenendo così uno Stato satellite dell’Unione Sovietica sotto il governo del partito comunista russo.

Anche la Chiesa ortodossa di Bulgaria, similmente alla Chiesa cattolica, dovette subire numerose vessazioni, tuttavia la persecuzione contro di essa non fu così massiccia, in quanto la comunità ortodossa non era considerata un ente internazionale come quella cattolica.

Nel corso degli anni vari esponenti della comunità ortodossa vennero asserviti alle direttive governative, dunque solo la Chiesa cattolica, pur non avendo un gran numero di fedeli, divenne il principale nemico da abbattere, perché non temette mai di denunciare la matrice atea e perversa dei regimi ispirati al marxismo. Le persecuzioni contro i cattolici vennero eseguite in diversi modi, soprattutto nei confronti dei sacerdoti: «Ad alcuni furono tolte le tessere del razionamento alimentare, altri finirono in prigione, alcuni misteriosamente sparirono, tutti furono avvolti in una rete sempre più stringente di spionaggio».

Il 3 agosto del 1948 venne pubblicato un decreto con cui lo Stato bulgaro stabilì la chiusura delle scuole straniere, tra cui quelle cattoliche. Tale decreto obbligò tutti gli alunni del Paese a frequentare le sole scuole statali. Il Ministero della Pubblica Istruzione deliberò che anche nelle scuole non statali si dovesse accettare «il darwinismo come scienza certa; non si doveva parlare agli alunni del soprannaturale e del mistero dell’immortalità dell’anima; non si doveva più insegnare, infine, la morale naturale».

L’Ostpolitik, un fallimento

Il 23 febbraio 1949 venne chiusa la delegazione apostolica, ritenendo «il Vaticano un implacabile nemico dell’Unione Sovietica, delle democrazie popolari e del comunismo, tutto al servizio di quelle forze tenebrose, che oggi stanno alimentando il fuoco di una nuova guerra mondiale». Il desiderio del regime comunista di annientare la Chiesa cattolica presuppose purtroppo anche torture e condanne a morte.

Qualche anno più tardi la Santa Sede, con l’Ostpolitik, credette di poter mettere fine alle dure restrizioni dei regimi filosovietici contro i fedeli cattolici, passando da una posizione di resistenza a quella di «un possibile avvicinamento o incontro di ordine pratico». Questa prospettiva purtroppo non produsse gli effetti sperati dalla Chiesa di Roma, soprattutto in Bulgaria.

Il viaggio che il card. Agostino Casaroli compì in Bulgaria nel 1976 gli permise di osservare in quali condizioni fosse ridotta la Chiesa, lo stesso Segretario di Stato la definì «stremata, impoverita, priva di ogni considerazione sociale, quasi disprezzata». I fedeli colpivano «per l’estrema povertà in cui vivevano e per la vivacità spirituale che dimostravano». Nonostante la comunità cattolica bulgara fosse quasi inesistente sotto il profilo giuridico, continuò a sopravvivere, comunque, grazie all’amore per il Vangelo ed al Vicario di Cristo.

Il Cattolicesimo è oggi la terza forza religiosa di Bulgaria, dopo il cristianesimo ortodosso e l’islam. La Chiesa cattolica qui è suddivisa in tre Diocesi: due latine e una orientale. La sede vescovile è situata nella città di Plovdiv, dove si trova la Cattedrale di san Luigi dei Francesi, le cui fondamenta furono poste nel 1858 dall’allora vescovo cappuccino Andrea Canova. Tale edificio venne consacrato il 25 marzo 1861. La cattedrale racchiude la tomba di Maria Luisa di Borbone, principessa di Bulgaria come consorte di Ferdinando I e madre di Boris III. A Sofia, invece, si trova la concattedrale di San Giuseppe, inaugurata nel 2006 dal card. Angelo Sodano, mentre la prima pietra venne posta nel 2002 da Giovanni Paolo II.