Post in evidenza

La Messa tradizionale nell’arte - SS. Ambrogio e Carlo a Roma #mtlnellarte #mtl

In prossimità della festa di S. Ambrogio, pubblichiamo questo quadro esposto nella  Basilica dei SS. Ambrogio e Carlo dei Lombardi, il 21 Lu...

martedì 5 marzo 2024

Arte sacra: "Il polittico Albani-Torlonia" #artesacra #bellezza #chiesacattolica

La Bellezza dell'arte cattolica.
Luigi C.



Pietro Vannucci detto il Perugino era molto orgoglioso del suo talento. A ragione: era talmente richiesto che aveva dovuto aprire ben due atelier in due Stati diversi del territorio italiano. Uno era nella sua città di elezione, Perugia, da cui traeva il suo soprannome e per la quale passerà anche il giovane Raffaello. L’altro era nella Firenze di Lorenzo il Magnifico e non temeva la concorrenza del Botticelli o degli altri artisti di corte.

Persino i Papi lo vorranno a Roma, a partire da Sisto IV, che nel 1480 lo incaricherà di coordinare gli artisti, che dovevano dipingere le pareti laterali della Cappella Sistina. E lì lui porrà la sua firma in caratteri d’oro e il suo fiero autoritratto, nell’affresco più importante di quel ciclo pittorico, quello ove Cristo consegna le chiavi a Pietro, fondando la Chiesa.

In quella stessa città il più geniale cardinal nipote di Sisto IV, Giuliano della Rovere, stava ponendo le basi della sua folgorante carriera, investendo moltissimo sull’arte, di cui aveva ben compreso la potenza comunicativa. D’altra parte di lì a qualche anno diventerà Giulio II, il pontefice dei capolavori di Michelangelo e Raffaello. Ma già da cardinale il suo palazzo, annesso alla chiesa dei Santi Apostoli, attuale splendida proprietà della famiglia Colonna, si distingueva sugli altri palazzi cardinalizi per il bellissimo giardino segreto ornato da statue e per l’annessa palazzina, per decorare la quale Giuliano non si era accontentato di uno qualsiasi, ma aveva voluto proprio il Perugino, l’artista più importante del cantiere Sistino.

Fu forse proprio questo potente cardinale oppure, secondo recenti ipotesi, un altro dei nipoti di Sisto IV, il card. Raffaele Riario, a commissionare questa pala d’altare incentrata sulla Natività e destinata evidentemente a una cappella privata.

Ma se incerto è ancora il committente, non ci sono dubbi sul suo autore, perché anche qui il Vannucci non mancò di vergare la sua firma sui pilastri del porticato dipinto e la data 1491.

Polittico Albani-Torlonia: un unico filo conduttore

Quella, che per vari passaggi è ora in proprietà della famiglia Torlonia, è una scena di Natività tra le più delicate ed eleganti dell’intera storia dell’arte. Ma la sua semplicità visiva non deve confondere, perché con la grazia e il nitore caratteristici del suo genio pittorico il Perugino collega sapientemente i momenti chiave della fede cristiana: l’Annunciazione, la Nascita del Signore, la Crocifissione.

Tale nesso doveva essere un tempo ancora più coerente, quando l’antica cornice, oggi perduta ma ugualmente disegnata dall’artista, contribuiva a esaltare il solido e raffinato impianto architettonico dipinto, che richiama ogni parte del polittico a un unico filo conduttore.

Ai due lati in alto è l’antefatto. In un loggiato profondo, che richiama per stile e proporzioni quello sottostante, si compie il mistero del concepimento del Signore nell’Annunciazione.

L’angelo e Maria sono le uniche due figure che animano uno sfondo architettonico semplice ma monumentale, aperto su un paesaggio in lontananza, le cui linee collinari proseguono tuttavia, senza soluzione di continuità, nel pannello che raffigura invece l’estremo atto di amore del Signore per la salvezza degli uomini e che giustifica la sua stessa venuta, quello del Suo sacrificio.

In quest’ultimo la Croce si staglia isolata sopra la linea dell’orizzonte, che si abbassa proprio in sua corrispondenza per esaltare la centralità assoluta della scena, e la perfetta simmetria delle due figure della Vergine e di Giovanni evangelista.

Realtà viva

Il pannello principale pone in primo piano la figura della Vergine e del piccolo Gesù. Giuseppe, come sempre, è leggermente in disparte, e con lui anche i due angeli, che con la loro presenza contribuiscono a creare una corona protettiva attorno al Bambino.

Il mistero dell’incarnazione annunciato nel pannello superiore si fa ora realtà viva ed è anche per questo che il Perugino ha voluto mantenere forte il legame del Figlio con la madre, appoggiandolo su un lembo del manto di lei. Un sottile gioco di corrispondenze tra composizioni, colori, posture e gesti, infatti, mette in evidenza lo stretto rapporto tra la Vergine annunciata e la Madre in contemplazione di fronte al Figlio: la venuta del Signore, annunciata nella Bibbia, che Maria aveva poggiato sull’inginocchiatoio nel momento dell’arrivo dell’arcangelo Gabriele, si fa ora carne viva nel Bambino sdraiato di fronte ai suoi occhi.

Non essendo chiaro il contesto di committenza, non è facile esprimersi sulle motivazioni che hanno portato alla scelta dei Santi disposti ai lati della scena principale. A sinistra in piedi è san Giovanni Battista con san Michele arcangelo e dall’altro lato è san Giovanni evangelista, insieme a san Giorgio. Certo è che i due Santi guerrieri hanno un ruolo cardine nell’economia compositiva e coloristica del dipinto e le loro armature sono un vero capolavoro di perizia pittorica, nella resa del cuoio intarsiato o della luminosità metallica.

Non c’è dramma, non c’è movimento, non ci sono ombre che offuscano la scena o il paesaggio, tutto improntato su toni freddi. I sentimenti persino nella scena della crocifissione sono composti in gesti controllati e attentamente calibrati.

Nessun commento:

Posta un commento