Una bella riflessione dell'amico don Marino Neri sulla festa di domani, Presevtaziine di Gesù al tempio (c.d. Candelora).
Luigi C.
Schola Palatina, Don Marino Neri | 25 Novembre 2022
La festa per la presentazione di Gesù al Tempio venne introdotta a Roma già nel VII secolo, probabilmente dal papa di origine orientale Sergio I. Essa prefigura l’oblazione cruenta di Cristo sulla croce. Il Tempio di Gerusalemme è pertanto figura del Tempio Celeste della gloria nel quale Cristo Risorto, Sommo ed Eterno Sacerdote, continua a intercedere come Mediatore. Ecco perché.
«Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore» (Lc 2,22-24).
L’ottemperanza a questo atto rituale connesso al riscatto dei primogeniti e alla riconciliazione della puerpera riposa sulla legge di Mosè espressa nell’Esodo, ove si ordina di riservare «per il Signore ogni primogenito del seno materno […] Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi figli» (Es 13,12-13) attraverso un’offerta rituale, e nel Levitico, ove si afferma che la madre «sarà impura per sette giorni; come quando ha le mestruazioni. L’ottavo giorno il bambino sarà circonciso. Poi dovranno passare ancora trentatre giorni, prima che la madre sia purificata dal sangue perduto durante il parto» (Lev 12,2-4). Dunque, quaranta giorni devono trascorrere dopo la generazione del figlio maschio (ottanta, se fosse una femmina: Lev 12,5), per celebrare nel tempio la purificazione della donna.
Origini gerosolimitane
A questa tradizione legale, come atto di umiltà e di obbedienza, si sottopongono anche Gesù Cristo e la Madonna, Lui, l’Agnello senza macchia e Figlio di Dio; lei, la Vergine tutta santa, verginale pure nel parto.
Obbedienza alla volontà di Dio e umiltà sono strettamente congiunte e vengono a risplendere di una luce tutta particolare in questa festa liturgica dalle antiche radici gerosolimitane: infatti, già nel IV secolo, la pellegrina ad loca sancta Egeria annota nel suo Itinerarium (Diario di viaggio, c. 26): «Quaranta giorni dopo l’Epifania [poi dal Natale una volta stabilita e diffusa la data del 25 dicembre], in verità si celebra qui una festa con grande fasto. In quel giorno ci si ritrova tutti all’Anastasis [il Santo Sepolcro]. Tutti si riuniscono là e si celebra tutto nel modo abituale con la più grande solennità come a Pasqua». Quindi il vescovo predica, commentando proprio il brano lucano accennato, «secondo il quale, nel quarantesimo giorno, Giuseppe e Maria portarono il Signore al tempio, dove lo videro Simeone e la profetessa Anna, figlia di Fanuele» (Lc 2,25-38): fatto centrale della narrazione evangelica, da cui deriva alla festa il nome greco di Hypapantí, cioè incontro tra Gesù/Nuova Legge con Simeone e Anna/Antica Alleanza.
Questa celebrazione, capitale per il significato teologico che riveste, fu introdotta a Roma già nel VII secolo – probabilmente dal papa di origine orientale Sergio I (nativo della Sicilia bizantina, il padre era di origine sira) – col nome di Ypapanti ad Sanctam Mariam, a motivo della processione che si snodava per le vie di Roma dalla chiesa di S. Adriano fino a S. Maria Maggiore. Sergio I annovera la Purificazione della Theotókos tra le quattro principali feste mariane (Purificazione, Annunciazione, Assunzione, Natività).
A sottolineare quanto Cristo sia «lumen ad revelationem gentium» (come afferma il santo Simeone nel cantico «Nunc dimittis»: vedi Lc 2,29-32), in Oriente (quasi contestualmente all’istituzione della festa) si contornò la celebrazione eucaristica con una suggestiva processione con ceri benedetti (da cui deriva il nome di Candelora). E così viene recepita a Roma a partire dal VII secolo, come testimonia il Liber Pontificalis. Secondo una tradizione medioevale risalente a Beda, la processione avrebbe dovuto contrastare antichi riti pagani ricorrenti a febbraio, duri a morire, gli Amburbalia (o Amburbium: una cerimonia che si svolgeva attorno alle mura dell’Urbs, per invocarne la protezione).
Una processione penitenziale
La processione romana aveva, nell’alto Medioevo, uno spiccato carattere penitenziale e si è mantenuto, almeno in parte, ancora fino al Messale antecedente le riforme di Giovanni XXIII, essendo prescritti i paramenti violacei per questa azione liturgica (bianchi alla Messa). Dal punto di vista teologico, almeno tre grandi temi sono decantati dalla Liturgia del giorno.
In primo luogo, il Tempio di Gerusalemme è scelto come luogo dell’incontro tra il Messia e due eloquenti testimoni delle speranze dell’antico Israele (Anna e Simeone). Pertanto: Gesù Cristo è il Logos/Verbum incarnato e compie le attese del Messia, di cui si ode l’eco nelle pagine dell’Antico Testamento. Quanto accade al Tempio è solo anticipo di ciò che avverrà sul Tabor, dove saranno la Legge (Mosè) e i Profeti (Elia) ad attestare, davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, la messianicità di Gesù.
Del resto: nel cuore cultuale d’Israele, prende posto Colui che è la Legge stessa, il “Dio-con-noi”. Joseph Ratzinger/Benedetto XVI ha poi affermato: «È importante osservare che per questi due atti – la purificazione della madre e il riscatto del figlio – non era necessario andare al Tempio. Invece Maria e Giuseppe vogliono compiere tutto a Gerusalemme e san Luca fa vedere come l’intera scena converga verso il Tempio e quindi si focalizzi su Gesù che vi entra. Ed ecco che, proprio attraverso le prescrizioni della Legge, l’avvenimento principale diventa un altro, cioè la “presentazione” di Gesù al Tempio di Dio, che significa l’atto di offrire il Figlio dell’Altissimo al Padre che lo ha mandato» (2 febbraio 2013).
Il sacrificio per la gloria di Dio
La promessa del Messia si realizza – ed ecco il secondo aspetto – proprio nel dono che il Figlio di Dio fa di sé all’Eterno Padre per la redenzione universale, rivelandosi come «la salvezza di Dio preparata davanti a tutti i popoli», secondo le eloquenti parole che lo Spirito Santo suscita sulle labbra di Simeone.
La presentazione al Tempio prefigura quindi l’oblazione cruenta di Cristo sulla croce. Ancora: l’offerta sacrificale del Signore per il riscatto delle creature dall’antica colpa è per la gloria di Dio. È questo l’aspetto dossologico che si manifesta velatamente sulla Croce e che si esprime nello splendore della Pasqua e nell’esaltazione dell’Ascensione: il Tempio di Gerusalemme è pertanto figura del Tempio Celeste della gloria nel quale Cristo Risorto, Sommo ed Eterno Sacerdote, continua a intercedere come Mediatore.
Da ultimo: non si può dimenticare Colei, sulle cui braccia Gesù sta, come su un trono regale, cioè Maria Santissima. «Anche a te una spada trafiggerà l’anima», profetizza il vegliardo Simeone.
Queste parole riguardanti Maria vanno interpretate in previsione della presenza di Maria stessa sul Golgota, sotto la croce di Gesù. Maria è così intimamente associata alla vita del Figlio, da essere partecipe misticamente delle sue sofferenze, “con-patendo”, tanto da condividere, in quanto Immacolata e Corredentrice, il suo destino di gloria con tutta la sua persona (Assunzione).
In questa festa che appare essere, congiuntamente, propria della Madonna e del Signore, lasciamo che la letizia si faccia preghiera: «Simeone non era venuto al tempio per caso, ma mosso dallo Spirito di Dio. Anche tu, se vuoi tenere in braccio Gesù e stringerlo tra le mani, se vuoi essere degno di essere liberato dalla prigione, dedica ogni sforzo per essere condotto dallo Spirito e venire al tempio di Dio. Ecco, ora tu sei nel tempio del Signore Gesù, cioè nella sua Chiesa; questo è il tempio costruito di pietre vive» (Origene).
FONTE: Radici Cristiane n. 160
Don Marino Neri è sacerdote della diocesi di Pavia dal 2006. Dottore di ricerca (PhD) in “Lingua e Letteratura Latina” (2009), ha collaborato stabilmente all’attività scientifica e didattica dell’Università di Pavia fino al 2016. Dopo aver conseguito la “licentia docendi” (STL) in “Teologia dogmatica” (2018), sta ora concludendo il dottorato presso la Pontificia Università “S. Tommaso d’Aquino” (Angelicum) in Roma, e concentra la propria attività di studio sul pensiero teologico-filosofico di san Tommaso d’Aquino, in rapporto anche al suo approfondimento nei commentatori e nel pensiero moderno.
Ha pubblicato monografie e numerosi articoli su riviste specializzate, intervenendo anche come relatore a convegni scientifici e corsi universitari.
Attualmente è docente ordinario di Teologia dogmatica presso l’ISSR “S. Agostino” di Pavia-Crema.
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