Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 978 bis, pubblicata da Paix Liturgique il 21 novembre 2023, in cui si riproduce un articolo di Jean-Pierre Maugendre, presidente dell’associazione Renaissance Catholique.
L’autore esamina i motivi dell’ottimo stato di salute degli istituti tradizionali (QUI su MiL a proposito della FSSP) e, in generale, dei coetus, in netta controtendenza rispetto alle realtà parrocchiali, nonostante – o forse grazie – il motu proprio Traditionis custodes.
L.V.
A più di due anni dalla pubblicazione della lettera apostolica in forma di «motu proprio» Traditionis custodes sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, che mirava alla definitiva abolizione della celebrazione della Santa Messa tradizionale, le tendenze osservate nel 2022 si confermano all’inizio dell’anno accademico 2023. Il numero di nuovi iscritti ai seminari diocesani si aggira intorno al centinaio, mentre gli iscritti francesi ai seminari in cui si celebra la Santa Messa tradizionale sono 35 (Fraternità sacerdotale San Pio X: 14, Fraternità sacerdotale San Pietro: 10, Istituto di Cristo Re e Sommo Sacerdote: 5, Istituto del Buon Pastore: 3, MMD: 3), a cui si aggiungono, per certi aspetti, 22 nuovi iscritti alla Comunità di San Martino.
Sebbene il motu proprio Traditionis custodes sia applicato in modi molto diversi nelle varie Diocesi, una grande costante sembra essere evidente tra alcuni Vescovi. Secondo le direttive impartite dal card. Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, ai Vescovi di Francia nel novembre 2022, essi dovrebbero mostrare «la più grande sollecitudine e paternità verso quelle persone – soprattutto giovani, sacerdoti e laici – che sono disorientate dal motu proprio Traditionis Custodes […]. Sono spesso pecore ferite che hanno bisogno di essere accompagnate, ascoltate e date loro tempo». In risposta all’appello lanciato da mons. Marc Marie Max Aillet, Vescovo di Bayonne, Lescar e Oloron, nel suo recente libro Le temps des saints, vorremmo cogliere l’occasione, «senza brutalità ma con franchezza», per ricordare alcuni fatti che faranno risparmiare tempo a tutti.
È da temere che il tempo speso per cercare di riportare all’ovile le «pecore ferite» sia tempo sprecato. Le ragioni sono tre.
Il Papa non può tagliare la Chiesa dalla sua Tradizione
In primo luogo, il Papa stesso non ha né il diritto né il potere, e sempre meno i mezzi, per tracciare una linea di demarcazione della Tradizione ininterrotta della Chiesa, soprattutto della Tradizione liturgica. Con un abuso di potere che non ha precedenti nella storia della Chiesa, San Paolo VI ha cercato di operare una rottura tra la Chiesa prima del Concilio Vaticano II e la Chiesa che voleva essere conciliare ieri e sinodale oggi. Come ha osservato il sociologo Guillaume Cuchet: «Un osservatore esterno potrebbe legittimamente chiedersi se, al di là della continuità di un nome e dell’apparato teorico dei dogmi, si tratti davvero ancora della stessa religione» (quella prima del 1960 e quella dopo). Pochi fedeli in fondo al banco leggono i dotti ermeneuti della continuità, e quasi nessuno sa chi sia il card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ma tutti sarebbero istintivamente d’accordo con il card. Roche quando dice: «La teologia della Chiesa è cambiata» (19 marzo 2023). I pedoni cattolici dicono quello che vedono e, come lo scrittore Charles Pierre Péguy, vedono quello che vedono!
Nonostante tutto il peso della sua autorità e la feroce persecuzione dei laici e dei sacerdoti che si rifiutavano di accettare questa rottura, il fatto è che San Paolo VI non è riuscito ad abolire la celebrazione della Santa Messa tradizionale come aveva previsto. Le difficoltà dottrinali poste dalla riforma liturgica persistono e sono, di fatto, sempre più evidenti. La realtà ineluttabile è che le comunità tradizionaliste sono tra le poche aree di sviluppo e crescita della Chiesa.
Giudicare l’albero dai suoi frutti
A più di cinquant’anni dall’attuazione della riforma liturgica, è giunto il momento di fare un bilancio e di giudicare l’albero dai suoi frutti. Gli anziani che hanno vissuto le lotte degli anni ’70 e ’80 ricorderanno: sono stati espulsi dalle loro Parrocchie, emarginati nelle loro famiglie, esclusi da varie associazioni o enti di beneficenza e così via. Il tempo è passato. I fatti sono ostinatamente chiari: in molte famiglie di antica tradizione cattolica, che hanno dato vocazioni alla Chiesa a ogni generazione, sono i più osservanti, come dice il sociologo Yann Raison du Cleuziou, che hanno meglio trasmesso il deposito della fede ai loro figli e continuano a ispirare vocazioni. Su un immenso disastro spirituale, con le vocazioni inaridite, i seminari intellettualmente abbandonati, i Cristiani divisi, i bambini contaminati, i poveri invece di essere evangelizzati coperti dal loro disprezzo, le autorità romane hanno l’impudenza, o l’incoscienza, di chiedere a coloro che contro ogni previsione hanno resistito all’apostasia immanente e alla secolarizzazione del mondo di rinunciare a ciò che è stato al centro della loro resistenza: l’attaccamento alla Santa Messa tradizionale e al Catechismo in simbiosi con i metodi classici di apostolato e santificazione. Bisogna essere pazzi per rinunciare alla preda per l’ombra, soprattutto quando si vede un’ombra così lontana dalla primavera che doveva sbocciare!
Preferire l’originale alla copia
Infine, coloro che si sono convertiti o riconvertiti alla Chiesa partecipando alla Santa Messa tradizionale hanno trovato, o riscoperto, un senso di Dio, di trascendenza, di silenzio, di bellezza, di sacralità ecc. che sono, per loro natura, estranei alla riforma liturgica, il cui scopo dichiarato era, con il successo che conosciamo, quello di favorire la partecipazione «all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente» dei fedeli (cfr. n. 48 della costituzione sulla sacra liturgia Sacrosanctum Concilium). Questi «convertiti», spesso giovani, non si affezioneranno a liturgie che sono l’antitesi di ciò che ha motivato il loro percorso personale. A questo proposito è bene precisare che non si tratta di giudicare, a maggior ragione, negativamente i laici e i sacerdoti che vivono la liturgia conciliare, ma di constatare che, tranne che nell’Abbazia di San Pietro a Solesmes, c’è un abisso tra il «clima» della celebrazione di una Santa Messa tradizionale e quello di una Messa parrocchiale, anche classica e senza innovazioni liturgiche incongrue. Troppo spesso ci sono l’autocelebrazione della congregazione, le chiacchiere, le canzoncine sciroppate, l’umanesimo sdolcinato, il grigiore, la mediocrità ecc. L’esperienza insegna che la gente preferisce sempre l’originale alla copia. Se si tratta di risacralizzare la nuova Messa, tanto vale andare direttamente all’originale, e quindi alla Santa Messa tradizionale.
I fedeli e i sacerdoti che sono legati alla liturgia romana tradizionale non sono Cristiani di serie B o persone antiquate che vanno accompagnate, con carità e pazienza, affinché riconoscano finalmente i benefici del Santo Concilio e della riforma liturgica. Al contrario, sono uomini e donne assetati di Dio, desiderosi di conoscerlo, amarlo e servirlo, in particolare attraverso una liturgia degna di Lui, fiorente di vero culto con la sua parte di mistero e bellezza trascendente. Potremmo così attualizzare le famose parole di padre Paul Doncœur S.I. nel 1924, in altri tempi di persecuzione:
«Non tradiremo! Non ce ne andremo!».
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