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giovedì 5 ottobre 2023

Echi (pre) tridentini in gastronomia. San Bruno, l’Ordine Certosino e i maccheroni gratinati

Nella vigilia della festa (III classe) di S. Bruno Confessore (6 ottobre) un bell'articolo sulla sua vita e una ricetta allegata.
Luigi

Liana Marabini, La Nuova Bussola Quotidiana, 27-02-2023

Il fondatore dei Certosini, uno dei più rigorosi ordini della Chiesa cattolica, è mosso dal desiderio della solitudine per incontrare Dio. Fin dai primi tempi, si trova delineata la caratteristica della vita certosina: unione di uomini solitari che vivono in una piccola comunità, per vivere dell'essenziale e trovarvi la fonte della comunione con ogni uomo.
Seduto sul suolo pietroso e scosceso della montagna, il monaco ascolta il fruscio delle foglie mosse dal vento. La natura che lo circonda gli da energia. E Dio sa che ne ha bisogno. Guarda i suoi compagni che stanno riposando seduti all’ombra delle conifere che ornano la montagna. I cespugli di iperico, detto anche “erba di San Giovanni”, attirano le api che ronzano allegre posandosi sui fiori gialli; il loro brusìo gli dà un gran senso di pace.

In realtà, da quando era arrivato lì, era come se fosse tornato a casa. Una casa in cui non aveva mai vissuto, ma che sentiva sua. Le giornate, anche se scandite dal duro lavoro di costruzione del monastero, gli parevano piene di promesse e di gioia. I suoi compagni, silenziosi e pii, erano dei fratelli in Cristo: formavano una famiglia. Quel luogo e quel gruppo di uomini rappresentavano un traguardo, al quale era giunto senza accorgersene: la vita lo aveva condotto lì.

Siamo nell’anno del Signore 1085; il monaco è Bruno, nato a Colonia nel 1030. In quel secolo un uomo di 55 anni può considerarsi vecchio. Lui aveva l’impressione che la vita fosse passata in fretta, da quel lontano giorno in cui, insieme a due amici, nel giardino di un certo Adamo, avevano fatto voto di consacrarsi a Dio, fino a quel momento in cui avevano messo le basi del monastero che stavano costruendo.

Mai, per nessuna ragione, aveva rimpianto quella promessa di dedicarsi a Dio, che gli aveva tracciato l’intera esistenza. Un’esistenza fatta di sobrietà, di preghiera, di contemplazione.
Ma anche di delusioni, dettate dalla sua spiritualità, che non ammetteva “sgarri” ai Comandamenti. Purtroppo ce n’erano e da parte di uomini di Chiesa, nientemeno.
Come poteva dimenticare il terribile dissidio con il vescovo Manasse de Gournay, che lui aveva accusato – a giusta ragione – di simonia e che lo aveva costretto di andarsene da Reims, dove insegnava, e rifugiarsi presso il conte Ebles di Roucy (1040 ca.-1103), nobile turbolento ma dall’animo nobile e caritatevole.

La verità è che Bruno avrebbe dovuto succedere al vescovo di Reims, ma Manasse de Gournay, con intrighi e la promessa di vendita di cariche ecclesiali aveva avuto la meglio sul mite e morigerato Bruno. Quest’ultimo dovette fuggire per evitare la vendetta del vescovo, che lui accusava di simonia, vera piaga della Chiesa, che consisteva nella vendita di cariche ecclesiali. Questa è anche la causa del disgusto sempre crescente che Bruno sente per il mondo.

Bruno poté tornare in Francia solo nel 1080 quando Manasse fu deposto da un apposito concilio. Passò un periodo ricco di frutti spirituali nell’eremo di Molesme, sotto la guida di San Roberto, maturando sempre di più la vocazione monastica. E così, insieme a sei compagni, si recò dal vescovo di Grenoble, Hugues de Châteauneuf (divenuto santo più tardi) e chiese la possibilità di costruire un monastero.

Il vescovo aveva avuto una visione in sogno: sette stelle che accompagnavano sette pellegrini, illuminando loro la strada verso una valle solitaria nel cuore del massiccio che all’epoca si chiamava “Cartusia” (da cui viene il nome italiano di Certosa e francese di Chartreuse) nel Delfinato, che era una delle antiche provincie francesi (la Dauphinée). Così il vescovo mise a disposizione di Bruno ed dei suoi compagni un vasto terreno nella montagna sopra la città, a 1200 metri di altitudine, dove loro misero le basi del primo monastero, costruendolo con le loro mani: ci misero quattro anni. La chiesa fu l’unico edificio costruito in pietra, condizione indispensabile per la sua consacrazione, che avvenne il 2 settembre 1085 per il ministero del vescovo Hugues e sotto il patrocinio della Madonna e di san Giovanni Battista. L’Ordine Certosino era nato.

Per Bruno era un sogno divenuto realtà: in una lettera descrive quei momenti di grande serenità, di giornate scandite dalla preghiera e dalla contemplazione. La vita era semplice e austera al tempo stesso, ma la gioia di servire il Signore dava un senso profondo alle loro vite. Quei momenti di grazia durarono poco, neanche sei anni. Infatti, il papa Urbano II (1040 - 1099), già suo alunno alla scuola di Reims, lo chiamò a Roma, al servizio della Santa Sede. Bruno dovette abbandonare, a malincuore, l’eremo e i compagni e obbedire al papa. Visse questa obbedienza come uno strappo dal luogo felice che aveva costruito. I suoi confratelli, sentendosi “orfani” si dispersero ma Bruno riuscì, anche se era lontano, a riunirli nuovamente attorno ad un superiore da lui nominato, Lanuino (che fu poi il suo successore alla guida dell’Ordine).

A Roma, Bruno soffriva: la sua anima, abituata alla preghiera solitaria e al colloquio continuo con il Signore, non si trovò a suo agio nell’ambiente della corte pontificia dell’epoca; ancor meno nelle distrazioni provocate dai suoi compiti. Da qui la sua grande nostalgia per il suo monastero in luogo solitario e silenzioso che aveva lasciato.

Ma la provvidenza cambiò la situazione, in modo drammatico. Da tempo, il papato era in conflitto con l’imperatore del Sacro Romano Impero. Costui era formalmente Imperatore dei Romani (in latino Imperator Romanorum), che era il titolo portato dal capo del Sacro Romano Impero, durante tutta la sua esistenza, a cominciare dall’800, quando Carlo Magno divenne Imperatore d’Occidente, sino al 1806 con la Pace di Presburgo e la morte definitiva dell’Impero.

L’Imperatore, detentore formalmente di poteri assoluti, fungeva da primus inter pares sia tra i sovrani degli Stati dell’Impero che tra i capi di Stato del mondo cattolico, ed era il feudatario di alcune zone dell’Impero, definite maestà imperiali, ovvero territori che non avevano altra autorità se non quella dell’imperatore. Il sovrano di allora, che era Enrico IV di Franconia (1050 - 1106), invase Roma ed elesse un antipapa, Clemente III (Guilberto di Ravenna, nato Guilberto Giberti, 1025-1100), costringendo il papa Urbano II a fuggire. A Bruno non rimase altra scelta che seguire la corte papale nell’Italia meridionale. Su proposta del papa Urbano, Bruno fu eletto arcivescovo dai canonici di Reggio Calabria.

Lui però declinò la mitra per amore della vocazione contemplativa, animato com’era dal desiderio di ritrovare al più presto l’isolamento volontario che era l’essenza stessa della sua vita. In seguito richiese - e ottenne - il permesso di ritirarsi in solitudine negli Stati normanni, recentemente conquistati dal conte Ruggero I d’Altavilla (Conte di Calabria, fu il conquistatore e il primo Conte di Sicilia nel 1062).
Bruno raggiunse così il suo scopo. Il conte Ruggero gli offrì un territorio nella località chiamata Torre, l’attuale Serra San Bruno, a 800 metri di altitudine, nel cuore della Calabria “Ulteriore”, l’attuale Calabria centro-meridionale.

Qui Bruno fondò l’eremo di Santa Maria, mentre a poco meno di due chilometri più a valle - ove sorge l’attuale certosa - fondava per i fratelli conversi il monastero di Santo Stefano. Bruno descrisse la natura del luogo ricevuto in dono in una lettera indirizzata a Rodolfo il Verde, uno dei due compagni che avevano fatto, insieme a lui, nel giardino di Adamo, il voto di consacrarsi alla vita monastica:


In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti, che, in una perseverante vigilanza divina attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa, io abito in un eremo abbastanza lontano, da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l'aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili.

Bruno ottenne il terreno mediante un atto steso a Mileto nel 1090. Qui decise di costruire un monastero. Vi trovò non solo una sorgente (condizione essenziale per la costruzione), ma anche una piccola grotta, segno che quello era il luogo ideale per una fondazione monastica. Egli cominciò, quindi, ad organizzare i gruppi ed a fissare la loro rispettiva dimora: i padri, nella conca e radura del bosco (Eremo di Santa Maria); i fratelli, con i servizi domestici, a circa due chilometri di distanza, nel monastero di Santo Stefano, destinato anch’esso a ricevere coloro che non potevano seguire completamente le regole del deserto.

Attorno al 1094, il conte Ruggero gli assegnò il guardaboschi Mulè (con figli) e così Bruno decise che gli operai, parte dei quali sposati, dovevano abitare a una certa distanza dai monaci, perché questi fossero da loro nettamente separati. Sorsero così le prime abitazioni che furono all’origine del paese di Serra. Bruno, riprendendo il genere di vita che aveva condotto in Francia, trascorse in solitudine, nell’eremo di Santa Maria e nella vita contemplativa, gli ultimi dieci anni della sua esistenza.

In questo periodo avvenne una memorabile visita: Lanuino, il suo successore nel governo della comunità della Certosa francese, intraprese un lungo e faticoso viaggio per incontrarsi con il fondatore dei certosini. Nel giugno 1101 assistette il conte Ruggero che stava morendo a Mileto. Poco tempo dopo, la domenica 6 ottobre dello stesso anno, morì pure Bruno, circondato dai confratelli accorsi dalle case dipendenti da Santa Maria del Bosco.

Aveva passato gli ultimi anni della sua esistenza vivendo come aveva sempre voluto, lasciando una traccia preziosa del suo passaggio terreno, con la fondazione dell’Ordine Certosino (Ordo cartusiensis, sigla O.Cart.), uno dei più rigorosi ordini della Chiesa cattolica. Fin dai primi tempi, si trova delineata la caratteristica della vita certosina: unione di uomini solitari che vivono in una piccola comunità.

Questa caratteristica si è conservata attraverso i secoli. I certosini sono dei "solitari riuniti come fratelli"; la comunità che formano è piccola a causa della loro scelta eremitica; tanto che si parla di "famiglia certosina". Questa si esprime in momenti particolari, soprattutto nella liturgia celebrata in comune, ma anche in occasione di incontri come le ricreazioni.

Fin dai tempi di san Bruno i certosini hanno adattato il rito latino alle loro particolari esigenze eremitiche. Papa Paolo VI, nella sua lettera indirizzata al Ministro generale dei certosini nel 1971 dichiara: “La Sede Apostolica non ignora che la liturgia dei monaci solitari dev’essere adattata al loro genere di vita, dev’essere tale cioè che in essa abbiano prevalenza il culto interiore e la meditazione del mistero, che si nutre d’una fede viva”. Al 31 dicembre 2015, l’ordine contava 17 monasteri detti certose e 286 monaci, 151 dei quali sacerdoti.

Bruno viene canonizzato ufficialmente il 17 febbraio 1623 da Gregorio XV, ma il suo culto era stato autorizzato già da Leone X il 19 luglio 1514 con una sentenza orale (vivae vocis oraculo). Il 9 ottobre 2011 Benedetto XVI, in occasione del pellegrinaggio effettuato presso la Certosa di Serra San Bruno, lo ricorda così: «Il monaco, lasciando tutto, per così dire rischia, si espone alla solitudine e al silenzio per non vivere di altro che dell’essenziale, e proprio nel vivere dell’essenziale trova anche una profonda comunione con i fratelli e con ogni uomo».

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