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mercoledì 19 luglio 2023

Dalla rivista 'Cardinalis': "Come sarà il sinodo sulla sinodalità?" (3) #cardinalis

Riceviamo e pubblichiamo ringraziando l'editore.
Abbiamo dato notizia di una rivista (dal felice nome in latino "Cardinalis") che è e sarà inviata ai cardinali di tutto il mondo (QUI e QUI).
Con molto piacere, riceviamo dalla redazione la traduzione autorizzata di alcuni interessanti articoli che possiamo proporre ai nostri lettori.
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 Laici e laiche, in realtà, già venivano invitati per prendere parte al Sinodo, facevano parte dei Circoli minori, prendevano la parola. Ma erano uditori, non votavano i modi, ovvero i paragrafi del documento finale che veniva consegnato al Papa. Ora, invece, il voto viene dato a tutti, senza più distinzione. Il Sinodo dei vescovi diventa, così, più simile ad iniziative come i Sinodi diocesani, dove già laici e sacerdoti si riuniscono insieme ai loro vescovi, e hanno la stessa dignità di partecipazione".
L'articolo è stato scritta prima dell'uscita dell'Instrumentum Laboris.
Questo articolo è apparso sulla rivista Cardinalis numero 4.
QUI i numeri precedenti su MiL.
Luigi

Come sarà il sinodo sulla sinodalità?

Di Andrea Gagliarducci

 Come sarà il prossimo sinodo sulla sinodalità? Mentre si attende il documento di lavoro dell’assise che si riunirà il prossimo ottobre, ci sono già dei segnali di quello che potrebbe essere il dibattito che si svolgerà al Sinodo. I temi, in fondo, sono tutti lì, nei sette documenti finali delle assemblee continentali che, tra febbraio e marzo, si sono riunite per discutere dei temi del sinodo e valutare ipotesi di discussione.

 Certo, sette documenti finali non possono dare un quadro esaustivo di quello che sarà l’Instrumentum Laboris, che al momento in cui stiamo scrivendo non è ancora stato pubblicato. Allo stesso tempo, se lo stile sarà quello di recepire gli stimoli, quello che si avrà nello strumento di lavoro sarà una sintesi abbastanza completa, arricchita magari da un questionario che servirà ad aiutare il dibattito sinodale.

 Intanto, sappiamo già che i prossimi due sinodi non saranno più sinodi dei vescovi. Vi parteciperanno anche laici e laiche, con diritto di voto, perché il Sinodo deve rappresentare tutto il popolo di Dio. È una novità che, in qualche modo, chiude l’esperienza del Sinodo dei vescovi e apre l’esperienza del Sinodo. Sembra una distinzione solo verbale. In realtà, si tratta di un chiaro indirizzo ad un modo di percepire la Chiesa.

 Cosa cambia

 Laici e laiche, in realtà, già venivano invitati per prendere parte al Sinodo, facevano parte dei Circoli minori, prendevano la parola. Ma erano uditori, non votavano i modi, ovvero i paragrafi del documento finale che veniva consegnato al Papa. Ora, invece, il voto viene dato a tutti, senza più distinzione. Il Sinodo dei vescovi diventa, così, più simile ad iniziative come i Sinodi diocesani, dove già laici e sacerdoti si riuniscono insieme ai loro vescovi, e hanno la stessa dignità di partecipazione.

 Il risultato è che ci si trova di fronte a una sorta di sinodo diocesano portato su scala globale. Non solo. Già ci sono state esperienze continentali che hanno incluso laici tra i membri. Ci sono stati, ad esempio, nove simposi europei, e ognuno di questi aveva incluso una tappa locale di discussione che poi era sfociata in una assise più ampia e conclusioni più generali.

 Il nuovo regolamento del Sinodo, dunque, prevede che ai membri eletti da ciascuna Conferenza Episcopale, Consigli dei Gerarchi delle Chiese Cattoliche e Sinodi si aggiungano altri 70 membri non vescovi. Questi membri vengono individuati, e non eletti, dalle sette riunioni internazionali di Conferenze Episcopali e dall’Assemblea dei Patriarchi delle Chiese Orientali cattoliche. Ognuna di queste realtà potrà dunque presentare 20 possibili membri, e il 50 per cento devono essere donne, mentre anche la presenza dei giovani deve essere valorizzata.

 È possibile che anche i membri di nomina pontificia siano non vescovi.

 Il Sinodo non è un parlamento

 Spiegando il senso della scelta a Vatican News, il Cardinale Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e relatore generale del Sinodo dei vescovi, ci ha tenuto a spiegare che il Sinodo resta un Sinodo dei vescovi perché “i vescovi sono la maggioranza! Ai vescovi spetta di portare avanti un discernimento, che è stato fatto a diversi livelli e che alla fine arriva al Santo Padre”.

 E ha aggiunto che “anche i vescovi appartengono al popolo di Dio! Almeno, io vorrei appartenervi… altrimenti mi sentirei male! Bisogna comprendere questi nuovi membri più come testimoni e memoria del processo sinodale finora svolto”.

C’è, dunque, l’idea di garantire partecipazione e rappresentanza a tutto il popolo di Dio, rispondendo ad una richiesta che è venuta forte in tutte le sette assemblee continentali. Allo stesso tempo, il nuovo regolamento del Sinodo sembra poter avere delle conseguenze anche sul modo in cui viene percepito il ruolo dei vescovi. Era probabilmente un rischio previsto.

 Infatti, il 30 gennaio, il Cardinale Hollerich ha inviato una lettera firmata insieme al Cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo, che sottolineava che “non si dà esercizio della sinodalità ecclesiale senza esercizio della collegialità episcopale”. La lettera inoltre lamentava le pressioni per imporre una agenda al Sinodo, e stigmatizzava chi diceva che le conclusioni del Sinodo fossero già note.

 Sono tutti interventi che mostrano la necessità di trovare un equilibrio. Così, ci si trova di fronte alla ricerca di una mediazione tra le richieste del popolo di Dio, che in alcuni casi sembrano essere proprio staccate dalla dottrina cattolica, e l’importanza del discernimento che può essere praticato proprio dai vescovi.

 In fondo, come ha detto più volte Papa Francesco, il sinodo non è un Parlamento. Lanciando il processo sinodale il 9 ottobre 2021, lo stesso Cardinale Grech aveva ammonito: “Il Sinodo non è un processo democratico”. E aveva lanciato la provocazione di fare a meno del voto sinodale, per evitare di creare una maggioranza e una opposizione.

 La trasformazione del Sinodo

 Le questioni aperte sul Sinodo sono, in qualche modo, una conseguenza del modo in cui Papa Francesco ha interpretato il Sinodo.

 Le decisioni prese dal Papa hanno riguardato molto la filosofia stessa del Sinodo. Prima, i paragrafi del documento finale che non ottenevano il consenso sinodale, cioè i due terzi dei voti, non venivano pubblicati. Il motivo era che nel Sinodo si cercava una comunione, e non una maggioranza e una opposizione. Papa Francesco ha disposto che tutti i modi (cioè i paragrafi) fossero pubblicati, anche quelli che non avevano raggiunto il consenso sinodale. Inoltre, ha voluto che i voti di ogni paragrafo fossero resi noti.

 Già questa decisione sembrava parlamentarizzare il Sinodo. A questo punto, diventava un passaggio normale renderlo una assise in cui non fossero solo i vescovi a votare, a favore di una maggiore inclusività.

 Il passaggio è avvenuto con il nuovo regolamento. Di fatto, però, non ha portato ad una democratizzazione del processo sinodale. Il Sinodo non porta a decisioni vincolanti, non è un organismo deliberativo e il Papa può sempre distaccarsi dalle decisioni del Sinodo.

 Tutti i sinodi si concludono con una esortazione apostolica post-sinodale, che è del Papa e solo del Papa. Per quanto il Papa possa decidere di seguire i lavori, poi prende una decisione, e la decisione non è detto che sia in linea con quello che si è sentito durante il dibattito. Non solo. L’esortazione apostolica post-sinodale non è un documento magisteriale. Non riguarda decisioni dottrinali. Dà delle indicazioni, a volte ha una forza magisteriale molto alta, ma di fatto non è in cima ai documenti che possono essere prodotti da un Papa.

 Questo significa che pensare al Sinodo come un posto dove si prendono decisioni tutti insieme sarebbe semplicemente fuorviante. Il Sinodo è uno spazio di discussione, un luogo dove i punti di vista si incontrano.

 Quali saranno i temi di discussione?

 Quali saranno i temi di discussione del Sinodo 2023-2024 dunque? Ci sono alcune indicazioni chiare che vengono fuori dai sette documenti delle tappe continentali, e che testimoniano l’ampiezza del dibattito.

 Prima di tutto, si chiede una maggiore partecipazione del popolo di Dio, legato al concetto di una Chiesa “tutta ministeriale”. In pratica, tutto è ministero nella Chiesa, nella diversità dei carismi, e dunque il popolo di Dio deve essere protagonista. Un passo in questa direzione è stato fatto proprio con il nuovo regolamento del Sinodo, che ne ha allargato la membership.

 Allo stesso tempo, tutte le tappe continentali parlano della necessità di dare più valore e peso alle donne, anche se raramente si arriva a toccare temi come il diaconato femminile. Il problema non è la forma della responsabilità, ma il dare responsabilità.

 Il tema della pastorale per le persone LGBT compare in alcuni rapporti, ma non è preponderante. Non si parla spesso di formazione, anche se il tema resta comunque sempre in sottofondo. In alcune assemblee continentali, si è arrivato persino a guardare il ruolo del vescovo, quanto mai fondamentale per il discernimento. In altri casi, la necessità di preti missionari è stata fatta notare.

 Anche quello della missione è un tema ricorrente in tutti i documenti finali. Difficile definire quale missione sia ideale, ma le scelte di Papa Francesco hanno mostrato una predilezione per mission concrete, verso poveri ed emarginati, che non missioni intellettuali, da guerrieri culturali.

 Si nota un forte divario Nord Sud, sempre presente. In luoghi come l’Europa, è molto percepito anche il divario Est – Ovest. Questo è dovuto alla peculiarità storica: l’Est Europa è stato soggetto alla dominazione sovietica per quasi metà del secolo scorso, e sono ferite che non si rimarginano molto presto.

 Sono due divari che portano alla necessità di definire un modo di vivere la fede rispettoso delle identità locali, cercando una sintesi che possa far rimarginare anche le ferite del passato, o le difficili e a volte inconciliabili differenze.

 Nelle assemblee continentali di Oceania e America Latina è venuto fuori più prorompente il tema dell’attenzione per le popolazioni indigene, presente anche relativamente in Africa, ma meno negli altri continenti.

 Le fasi continentali di Europa e Stati Uniti parlano anche dello “scandalo degli abusi”, un tema che sentono ancora come molto presente. Anche in questo caso, si nota una differenza tra Nord e Sud globale, che è interessante.

 Per quanto riguarda la questione della sinodalità, è interessante notare come nelle Chiese orientali ci si tenga a mettere in luce che la sinodalità era già vissuta – e in effetti le Chiese di rito orientale hanno una vasta esperienza di sinodi, che può essere decisiva. Non solo. L’assemblea continentale dell’Asia rimarca spesso che quel tipo di esperienza da locale a generale e viceversa era già in moto, non era una cosa nuova per le Chiese che si trovano a Oriente.

 Le differenze continentali

 Sono esperienze molto diverse, che riguardano anche la composizione stessa delle Chiese. La Chiesa in America Latina ha una omogeneità nata da un lingua comune (lo spagnolo) e presente in tutte le nazioni, e una forma di organizzazione ormai strutturata e simile ovunque nel sub-continente. Quando Pio XII istituì il Consiglio Episcopale per l’America Latina nel 1955 aveva certamente in mente questa omogeneità.

 L’Europa ha una omogeneità data da una storia comune e marcata dal cristianesimo. Non tutta l’Europa è cattolica, ma la maggioranza di Europa è cristiana, e l’essere cristiani ha dato forma agli Stati nazionali, alla cultura comune, all’arte di ispirazione comune. Ci sono 39 conferenze episcopali e altrettante lingue, ma c’è un linguaggio e una storia condivisi.

 Questa omogeneità non si può trovare in Asia, probabilmente la più varia tra le regioni continentali, ed è ancora più difficile in Oceania, dove i territori sono per la maggioranza piccole isole. L’Africa, allo stesso tempo, ha delle lingue comuni e diffuse (francese, inglese, portoghese in alcuni casi) ma imposte ed eredità di un passato coloniale che è difficile da superare.

 Le differenze storiche, etniche, linguistiche marcano sostanzialmente le differenze nelle tappe continentali, e questo potrebbe rivelarsi di un certo interesse quando si arriverà alla discussione generale.   

 Come sarà delineato l’instrumentum laboris?

 La riforma del Sinodo, infatti, non è andata, come abbiamo visto, verso una ulteriore democratizzazione, né ha cambiato il Sinodo in un organismo deliberativo. Un primo eventuale cambiamento ci sarà nel modo in cui vengono recepiti i vari documenti finali delle tappe continentali.

 Prevarrà, dunque, la visione occidentale o del Nord del mondo oppure ci sarà davvero una integrazione dei vari temi? Ci sono agende, in occidente, che sembrano puntare ad un cambio della dottrina. Ad esempio, il cammino sinodale della Chiesa di Germania è stato molto fermo nel voler cambiare la dottrina sulla sessualità, sul sacerdozio e nel cercare di spezzare quella che viene chiamata una mentalità clericale. È un modo, viene sostenuto, di rispondere ai bisogni della gente, di rendere una Chiesa più inclusiva.

 Se però si leggono i rapporti nazionali delle Chiese europee, tutti resi disponibili online dal Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa, si nota che questi temi entrino solo relativamente nei dibattiti dei gruppi sinodali che hanno portato alla tappa continentale.

 Colpisce, piuttosto, che al di là di questi temi si cerchi molto di comprendere quale sarà il modello di Chiesa missionaria. E sembra quasi non si abbia il coraggio di dire – ma in realtà molti lo fanno – che si debba ripartire dall’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo. Ci sono rapporti, però, che si chiedono proprio se sia il caso di dare ai sacerdoti più spazio per la missione, al di là del necessario impegno sociale su cui tutti concordano.

 Un altro approccio che può essere preponderante è quello del “vedere, giudicare, agire” messo in pratica dalle Chiese latinoamericane, e che è diventato una sorta di “regola” con il pontificato di Francesco. È l’approccio adottato poi definitivamente dalla Conferenza di Aparecida del 2007, di cui il Cardinale Bergoglio fu relatore. Quanto però questo approccio possa essere adottato in ogni situazione, è tutto da vedere.

 Da quando Papa Francesco è stato eletto, ha guidato due sinodi speciali (quello sulla Famiglia 2014 e quello sulla regione panamazzonica) e tre sinodi ordinari. Il Papa ha come messo la Chiesa in uno “stato di sinodo permanente”. Il rischio, però, è che il Sinodo diventi troppo burocratizzato, e che nella volontà di ascoltare tutti si arrivi solo a scegliere alcuni punti di vista. È legittimo, è una possibilità. Ma come si concilierebbe con la volontà di rendere tutto il popolo di Dio protagonista?

 Solo il tempo dirà se questo Sinodo sarà vera rivoluzione. Per ora, sembra più un allargamento della base di discussione, con il rischio che una agenda venga infine imposta, perlomeno nell’opinione pubblica.


La rivista Cardinalis vi offre questo articolo ma abbiamo bisogno del vostro sostegno per informare i cardinali. Potete sostenerci qui: https://sostienici.cardinalis-magazine.com/