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mercoledì 24 maggio 2023

Il convegno «Desiderio desideravi» a Parigi il 10 e 11 maggio 2023: il vuoto della nuova fede… e della nuova liturgia #parigi #desideriodesideravi

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 937 pubblicata da Paix Liturgique il 22 maggio 2023, in cui si riportano, in sintesi, i contenuti di alcune relazioni proposte in occasione del convegno «Desiderio desideravi», organizzato a Parigi, nella Grande Cripta della Chiesa parrocchiale di Saint-Honoré d’Eylau, il 10 ed 11 maggio dal Servizio nazionale per la pastorale liturgica e sacramentale.
Il convegno – dedicato al tema «liturgia, musica e arte sacra» – è apparso «una danza su campi di rovine», in cui è emersa l’assenza delle parole «sacrificio»,  «peccato» e «redenzione», «in altre parole, mancava l’essenziale», e «la liturgia che viene propugnata non è presentata come centrata su Dio, ma piuttosto la comunità occupa un posto predominante».

L.V.


Abbiamo avuto modo di parlare di questo convegno nella nostra Lettera 936 del 12 maggio 2023, al termine del quale i difensori della Messa tradizionale sono venuti a farsi sentire.

Parleremo ora del contenuto effettivo di questo convegno, che mostrerà di sfuggita che, in un certo senso, la liturgia tradizionale, come il tarlo del rimorso, era presente non solo fuori, ma anche dentro.

La nuova liturgia: il vuoto

Secondo gli organizzatori, il convegno Desiderio desideravi sul triplice tema «liturgia, musica e arte sacra» è stato sicuramente un grande successo. Un pienone nella Grande Cripta della Chiesa parrocchiale di Saint-Honoré d’Eylau – mancavano le sedie –, una grande presenza di vescovi e sacerdoti, molti religiosi e soprattutto laici che in un modo o nell’altro partecipano alla liturgia della Chiesa. Certo, l’affluenza era piuttosto grigia, con un’età media che superava, per essere gentili, i sessant’anni. Questo ci riporta alla fine degli anni Sessanta, e non è un caso: volendo rispondere all’appello del Papa di assicurare una «formazione liturgica» per tutti, il Service national de la pastorale liturgique et sacramentelle [Servizio nazionale per la pastorale liturgica e sacramentale: N.d.T.] era, come papa Francesco, fermamente legato alla liturgia riformata uscita dal Concilio Vaticano II.

In effetti, i pochi riferimenti espliciti alla liturgia tradizionale durante i due giorni di convegno del 10 e 11 maggio erano piuttosto negativi, persino sprezzanti.

Sembrava una danza su campi di rovine. Diverse centinaia di persone si sono riunite per parlare dottamente dei fondamenti biblici della Messa  la cui erudizione non può essere negata  e del mistero pasquale, mentre tante chiese sono vuote, una grande maggioranza di fedeli ignora molte delle verità della fede, le vocazioni stanno crollando, i matrimoni religiosi stanno diventando un’eccezione e i battesimi dei bambini stanno diventando rari.

È forse per infondere una nota di speranza che il convegno si è aperto con la testimonianza di una donna che si è convertita da adulta; ha parlato del ruolo svolto dalla liturgia per la catecumena che era, per arrivare al battesimo. La sua raccomandazione? Invitare coloro che chiedono di diventare Cristiani a partecipare a veglie, pellegrinaggi e ritiri spirituali. Sembra che questo non venga fatto negli ambienti del Novus Ordo

Prima di dare un resoconto più dettagliato di ciò che è stato detto durante questi due giorni, è più importante dire quali termini e nozioni erano assenti. Non crediamo di aver sentito la parola «sacrificio», forse nemmeno la parola «peccato» o «redenzione». Nel suo discorso finale, mons. Guy André Marie de Kérimel Comm. l’Emm., Arcivescovo metropolita di Tolosa e Presidente, ancora per pochi mesi, della Commissione episcopale per la liturgia e la pastorale sacramentale, ha persino commentato la ricorrente testimonianza dei catecumeni che evocano la «presenza» che hanno sentito nelle chiese e che li ha portati a chiedere il battesimo: «Sì, i muri sono impregnati della liturgia che vi si celebra, c’è arte sacra», ha detto in sostanza. Ma non si parlava della Presenza Reale di Nostro Signore nel tabernacolo. In altre parole, mancava l’essenziale.

Un canto tradizionale… ma ebraico

Per parlare dei salmi, gli organizzatori avevano chiamato Moché Lewin, rabbino della sinagoga di Raincy, che ha persino cantato qualche strofa in ebraico, senza dire molto che i Cattolici, molto moderatamente preparati, non sapessero già. I salmi, vedete, «sono diventati universali e molto presenti nella liturgia cristiana perché sono potenti, offrono la speranza nella prossima liberazione e nell’intimità con Dio, alleviando l’angoscia di fronte all’esistenza». Sì, certo. Ma i salmi esprimono soprattutto la preghiera della Chiesa, il dialogo della Sposa con lo Sposo, Gesù, Messia e Salvatore.

Ma almeno il pubblico ha avuto il beneficio di un canto tradizionale. Durante le preghiere cantate in comune – Lodi al mattino, preghiera di «invio» alla fine del convegno – la salmodia era in francese. Questo era ben lontano dalla nobile semplicità del canto gregoriano; la prova è che è stato necessario chiamare un cantante per guidare l’esercizio, e per il sacro, dovremo passare.

A portare una vera e propria ventata di aria fresca è stata una suora, suor Claire Lucie, Francescana Riparatrice di Gesù-Ostia. Questa «contemplativa con missione» presso le famiglie e i giovani, ha parlato in modo approfondito dei benefici della liturgia conventuale: «l’ordine che la liturgia richiede lascia un vero spazio per la crescita spirituale»; ha sottolineato l’importanza della sua «ripetitività» e il «valore del silenzio», evocando una «costante disciplina di vita, da mantenere». E ha citato il beato dom Columba Giuseppe Marmion [abate della Congregazione dell’Annunziata: N.d.T.] sul tema del tempo della stazione: quel momento in cui monaci e monache rimangono immobili e in silenzio per raccogliersi per l’ufficio. Il beato dom Marmion parlava di un «silenzio inviolabile». Un’altra epoca…

Questo intervento si è svolto al mattino. Alla fine della giornata, era l’ora della Messa. I vescovi si sono ritirati nella sacrestia della Chiesa parrocchiale di Saint-Honoré d’Eylau. La cinquantina di sacerdoti presenti si aggirava nella sala conferenze, indossando l’alba di poliestere e le stole in mezzo al pubblico, chiacchierando e scherzando… Sono saliti in chiesa con lo stesso tono, aspettando di unirsi alla processione d’ingresso mentre chiacchieravano. La processione inizia dietro il Crocifisso, ma mentre salgono la navata verso l’altare, alcuni sacerdoti continuano a parlare e a scherzare.


Come non pensare alla liturgia che questa liturgia ha voluto sostituire, a tutto il simbolismo dei paramenti che i sacerdoti assumono con riverenza, al loro raccoglimento, alla solennità dell’Introibo

«Evitare l’idolatria del sacro!»

Ma questi sono pensieri che oggi sono banditi. La signora Bernadette Mélois, direttrice del Servizio nazionale per la pastorale liturgica e sacramentale e grande organizzatrice di queste due giornate, ha lodato coloro che «sanno dare ospitalità al mistero di Dio, usare gli abiti senza nostalgia…». Risate in sala. Un sorriso da parte della signora. Il Santo Curato d’Ars e l’importanza che dava alla ricchezza e alla bellezza degli ornamenti.

D’altra parte, un sacerdote della Comunità Chemin Neuf, don Miguel Desjardins, è stato molto applaudito. «La Messa deve essere adattata a ogni giorno», ha detto: «Con la parola introduttiva, il tono, la superficie di contatto con la vita di chi celebra. Alla fine della Messa del mattino, tutti sono invitati a esprimere la loro gratitudine ad alta voce», dice. Lo stesso vale per la confessione: prima di ogni altra cosa, «invita il penitente a ringraziare per qualcosa». Cita la «processione delle offerte, gesticolata e danzata»: è necessario «abitare corporalmente la liturgia».

Certamente, in altre conferenze si è parlato dell’importanza del corpo nella liturgia, e in particolare dell’«inginocchiarsi con arte» descritto dalla signora Bernadette Mélois. Con lei abbiamo imparato che la cerimonia della «lavanda dei piedi dà la dignità del discepolato».

Padre Olivier Praud PhD, docente di teologia all’Institut Catholique de Paris e membro del Servizio nazionale per la pastorale liturgica e sacramentale, anch’egli intervenuto sul tema «Celebrare la fede con dignità», aveva appena detto: «L’ars celebrandi ha senso solo in relazione a quella di tutti coloro che celebrano, compresa l’assemblea». È addirittura necessario, ha detto, «pensare all’arte di celebrare dal punto di vista dell’assemblea», «per evitare di celebrare una bellezza esteriore». Poco dopo, la signora Bernadette Mélois ha spiegato che «la celebrazione è comunitaria per natura… È perché agiamo ministerialmente, sacramentalmente, che tutti partecipano all’azione liturgica». Ma dobbiamo evitare «un’idolatria del sacro».

«Imparare a contemplare l’assemblea»

Qui troviamo un punto centrale dell’approccio di queste giornate: la liturgia che viene propugnata non è presentata come centrata su Dio, ma piuttosto la comunità occupa un posto predominante. È necessario «sviluppare un popolo di lode e di adorazione», dice in conclusione mons. Guy André Marie de Kérimel Comm. l’Emm., piuttosto che favorire «l’adorazione individuale». È necessario «evitare il pelagianesimo e lo gnosticismo, che sono ancora molto presenti nelle nostre comunità»; inoltre, «il dono di Dio è inquietante, non è a nostra misura». Bisogna riconoscere che «la liturgia può diventare un’appartenenza a un gruppo, o addirittura una politica», ha detto. I partecipanti al colloquio sapevano bene dove seguire il suo sguardo…

Il resto del suo discorso è stato sufficientemente insipido da farci fare un tuffo in mare. Padre Sébastien Guiziou, Vicario generale della Diocesi di Quimper, ha riassunto le due giornate con l’organo come tema principale. È interessante notare che proprio nella strofa sulla «voce celeste» ha inserito la frase «ascolta il grido dei poveri e della terra». Questo è naturale in una logica in cui la teologia di papa Francesco assicura che «il popolo» e «la terra» sono «luoghi teologici» in cui Dio fa sentire la sua voce.

La sua conclusione dice tutto. Grazie al motu proprio Desiderio desideravi, dice, ha potuto «imparare a contemplare l’assemblea nella preghiera». E Dio, in tutto questo?

C’è da stupirsi che gli artefici della nuova liturgia – ma è ancora necessario darle questo nome troppo sacro – abbiano mancato completamente il bersaglio?

La presentazione e l’analisi dell’intervento di mons. Vittorio Francesco Viola O.F.M., Segretario del Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, sarà oggetto della nostra prossima lettera.

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