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giovedì 20 aprile 2023

Francesco ha in odio il proselitismo. Ma ecco come fu propagata la fede tra le donne cinesi del Seicento

Sempre disprezzo, da parte del S. Padre Francesco, per la sana dottrina e la tradizione.
Per fortuna qualcuno lo ricorda.
Luigi

Settimo Cielo, 31-3-23
Nel diluvio di interviste che hanno accompagnato il suo decennale da papa, Jorge Mario Bergoglio è tornato ad esecrare il “proselitismo”, come già aveva fatto mille altre volte.
Per lui evangelizzare è semplicemente testimoniare. Cita a proprio sostegno Benedetto XVI che ad Aparecida, nel 2007, disse che la Chiesa “non fa proselitismo ma si sviluppa piuttosto per attrazione”. Oppure rimanda all’esortazione apostolica “Evangelii nuntiandi” di Paolo VI, il quale, è vero, assegnava anche lui una “importanza primordiale” alla testimonianza silenziosa, ma per aggiungere subito dopo:

“Tuttavia ciò resta sempre insufficiente, perché anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata – ciò che Pietro chiamava ‘dare le ragioni della propria speranza’ –, esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati”.

Ma non c’è freno che trattenga papa Francesco dalla sua avversione. Durante il suo viaggio in Mozambico, nel settembre del 2019, confidò ai gesuiti del luogo: “L’ho detto più volte: il proselitismo non è cristiano. Oggi ho sentito una certa amarezza quando una signora mi ha avvicinato con un giovane e una giovane e mi ha detto: ‘Santità, vengo dal Sud Africa. Questo ragazzo era indù e si è convertito al cattolicesimo. Questa ragazza era anglicana e si è convertita al cattolicesimo’. Me lo ha detto in maniera trionfale, come se avesse fatto una battuta di caccia con il trofeo. Mi sono sentito a disagio e le ho detto: ‘Signora, evangelizzazione sì, proselitismo no’”.

Persino ai perseguitati cattolici cinesi, in un videomessaggio, Francesco ha ingiunto di “non fare proselitismo”, come se questo fosse il loro vizio capitale.

Chissà quindi il papa cosa avrà pensato, al leggere il magnifico articolo di padre Federico Lombardi sull’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica”, in cui è narrato come i missionari gesuiti propagarono nella Cina del Seicento la fede cristiana anche tra le donne, nonostante le ferree preclusioni che le tenevano segregate, inavvicinabili.

Nell’insieme, stando al conteggio di un gesuita dell’epoca, nel 1627 i missionari avevano fatto in Cina 13 mila proseliti, saliti a 40 mila nel 1636, a 60 mila nel 1640, a 150 mila nel 1651.

Tra le donne, le prime battezzate furono nel 1589 “alcune matrone honorate”, mogli o madri di uomini colti catechizzati da padre Matteo Ricci a Zhaoqing, nel sud della Cina. Ma “l’anno di svolta” fu il 1601, con l’arrivo di padre Nicolò Longobardo a Shaozhou, dove il suo primo catecumeno, un mandarino, provvide lui a insegnare alle donne del parentado quello che imparava man mano dal missionario, fino a quando anch’esse furono battezzate e a loro volta “amavano riunirsi con altre donne di condizione sociale inferiore, perfino contadine, divenute anch’esse cristiane, trattandole da sorelle, e questo era occasione di grande meraviglia”.

Alle donne il battesimo veniva amministrato così, stando ai resoconti che i gesuiti inviavano a Roma: “Completata l’istruzione da parte di un familiare, in una delle principali sale di una loro casa s’innalzava un altare sul quale si esponeva l’immagine del Salvatore con candele e incenso. I parenti e conoscenti accorrevano. Poi veniva il missionario il quale, davanti ai loro mariti e parenti, interrogava le donne sulla dottrina cristiana, che dovevano sapere a mente da cima a fondo, e sui principali misteri del cristianesimo. Le donne rispondevano dall’appartamento loro riservato, senza meravigliarsi di essere viste ed esaminate da stranieri, spettacolo novissimo nel mondo muliebre cinese”.

Anche la pratica della confessione personale dei peccati andò diffondendosi tra loro, nonostante fosse “veramente nuovo e molto ardito” che una donna parlasse segretamente con un uomo, peggio ancora con uno straniero. “Per la confessione, i padri venivano introdotti in una stanza divisa da una tenda, attraverso la quale comunicavano con la donna senza vederla per nulla, mentre in altro luogo della stanza, sufficientemente distante per non udire, era presente un’altra persona”.

Nei villaggi e tra i ceti più umili i vincoli per le donne erano meno stringenti. Nel 1607 padre Caspar Ferreira, in missione nei dintorni di Pechino, riferì di una giovane cristiana ospitata da una conoscente che ogni sera pregava in casa con la famiglia davanti a un idolo. La giovane spiegò che non poteva unirsi a tale devozione, anzi, parlò della sua fede cristiana con tanta convinzione ed efficacia “che nove famiglie intere promisero di venir a sentire le nostre prediche e battezzarsi”.

Ma “nella strategia missionaria dei gesuiti del tempo”, scrive padre Lombardi, l’obiettivo era di annunciare il Vangelo non solo fra le classi colte e i funzionari governativi di alto grado, ma anche “di giungere fino all’imperatore, ottenerne la benevolenza e l’autorizzazione per la predicazione cristiana e arrivare perfino alla sua conversione”. In questo “fu protagonista padre Adam Schall von Bell, tedesco, arrivato a Pechino nel 1623 e coinvolto dal grande funzionario cattolico Xu Guangqi nell’importante programma di riforma del calendario”.

Nel palazzo imperiale vivevano migliaia di eunuchi, ma anche molte donne, tra cui quelle addette al servizio personale dell’imperatore, con le quali solo gli eunuchi potevano parlare.

Ebbene, nel 1635 padre Schall riuscì a convertire al cristianesimo “un eunuco di nome Wang, di rara saggezza e virtù”, e tramite lui diffuse la fede cristiana tra le dame di corte e ne battezzò diverse decine, che “non nascondevano la loro fede” e i cui comportamenti virtuosi “ispirati a rispetto, carità e modestia si fecero apprezzare da parte dell’imperatore”.

Ma nel 1644 per l’impero dei Ming fu il tracollo. Da Pechino, occupata dai mancesi, un ramo della dinastia dovette fuggire nel sud, dove nella corte dell’ultimo loro pretendente imperatore, di nome Iunli, altre nobildonne ricevettero il battesimo, e con esse anche il neonato figlio di Iunli, a cui “fu dato il nome di Costantino come augurio per un futuro imperatore cristiano”. Finché i mancesi della nuova dinastia Qing conquistarono l’intera Cina e uccisero tutti i maschi della decaduta famiglia imperiale, confinando le nobildonne a una lunga prigionia, confortata per le battezzate – a detta dei gesuiti dell’epoca – da “una vera fede e una sincera pietà cristiana”.

È a questo punto che padre Lombardi inserisce nel suo articolo la storia di Candida, una “vera colonna” della Chiesa cinese del tempo, una Chiesa “dinamica e allora in sviluppo fiorente”, la cui fama fu diffusa in Europa grazie a un libro del suo padre spirituale, il gesuita Philippe Couplet.

Candida è nipote di Xu Guangqi, “il più noto e autorevole discepolo e amico di padre Matteo Ricci”, divenuto cristiano nel 1603. Madre di otto figli e vedova a 30 anni, Candida vivrà altri 40 anni con la maggiore libertà consentita dalla vedovanza. È maestra nel ricamo su seta, grazie al quale raccoglie somme non piccole, “che impiega segretamente, secondo il consiglio del Vangelo, per aiutare missionari, poveri, costruire chiese e cappelle e tutto il necessario per esercizi di pietà dei nuovi cristiani”.

Candida si dedica in particolare “all’apostolato con le donne”. Fa comporre e stampare per loro libri di pietà in cinese. Ottiene che vi siano chiese “specificamente dedicate alle donne, dove a tempi stabiliti esse possano recarsi insieme per assistere alla celebrazione dell’Eucaristia, senza la presenza di alcun uomo oltre al sacerdote e un chierichetto”. Istruisce le levatrici cristiane “perché sappiano battezzare i bimbi in pericolo di morte”. Per i bimbi orfani e abbandonati “convince il figlio Basilio, ricco e affermato, a destinare una sua grande casa per ospitarne un gran numero”, con “molte nutrici che li allattino e poi il necessario per allevarli ed educarli”.

Non solo. “Arriva a occuparsi dei ciechi che si aggirano per le strade più affollate guadagnandosi da vivere facendo gli indovini e ‘dando la buona ventura’. Li raduna e offre loro di che mantenersi, istruendoli nella fede, cosicché essi ritorneranno per le strade recitando ‘gli articoli della fede posti in versi’ e insegnando ‘i princìpi della fede al popolo, che si accostava d’intorno ad udirli’”.

A padre Couplet che fa ritorno in Europa Candida affida, per il papa, un gran numero di libri scritti in cinese dai missionari, 300 dei quali sono oggi conservati nella Biblioteca Vaticana, al fine di convincere Roma che la Chiesa in Cina è vitale e “matura per avere anche un clero cinese e per celebrare la liturgia in cinese”.

La fama di questa grande donna giunge fino alla nuova corte di Pechino, dove viene insignita del titolo ufficiale di “Donna virtuosa” e riceve in dono dall’imperatore “un abito ricchissimo ornato con ricami e placche d’argento, unito a un’acconciatura sontuosa, ricca di perle e pietre preziose”.

È l’immagine che anche oggi è a lei associata. Chi la conosce, scrive padre Lombardi, trova in questo suo abito straordinario “il segno eloquente della stima che ella si era guadagnata con le sue virtù e la sua operosa carità non solo nella comunità cristiana, ma nella società cinese”. Candida “ha dimostrato che la fede cristiana poteva animare l’impegno e la responsabilità di una donna cinese fino a fungere da modello e ispirazione per tutte le sue connazionali”.

Tutta la gente di Sungkiang, la sua città natale, “riteneva questa donna come una santa”, concluse padre Couplet la biografia di Candida. E padre Lombardi: “Anche noi”.

Una santa che seppe fare per la fede cristiana molti proseliti, come Vangelo comanda.

6 commenti:

  1. Non avete ancora capito che proselitismo e missionarietà sono due cose diverse?
    Dovreste passare meno tempo ad attaccare il Santo Padre e più tempo ad ascoltare quello che dice.

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    1. Maledetto l'uomo che confida nell'uomo.Chi vuol capire capisca....

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    2. Tu dovresti passare meno tempo su questo sito

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    3. E tu dovresti passare meno tempo a dire agli altri quello che dovrebbero fare.

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    4. Tempus fugit ....

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  2. poi venne la questione dei riti cinesi (odierna antesignana delle questioni dei riti maya ed amazzonico) e buona parte di tutto ciò andò a farsi benedire.
    vedremo di nuovo vescovi cattolici fare una figura di palta davanti agli imperatori cinesi?

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