Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 919 pubblicata da Paix Liturgique il 13 febbraio 2023, in cui si esamina e commenta i contenuti dell’Assemblea sinodale continentale europea, che si è tenuta a Praga – nella generale indifferenza dei fedeli – dal 5 al 12 febbraio 2023.
Si tratta della «fase continentale» di quella che sarà la XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione», la cui prima sessione si terrà a Roma dal 4 al 29 ottobre 2023.
Ne emerge il quadro molto confuso e fosco, con «la sensazione che queste “discussioni” tra Vescovi assomiglieranno soprattutto al plenum di un partito comunista del blocco orientale», fortemente dominato dalla corrente ultra-progressista, in cui le parole d’ordine sono «inclusione», «accoglienza» ed «ascolto» di tutti… di tutti tranne che dei fedeli legati alla Tradizione!
Nell’indifferenza generale.
L.V.
Nell’indifferenza generale, i riformatori della Chiesa celebrano la «riforma» per il gusto di riformare e il ritorno agli anni freschi e gioiosi del Concilio ecumenico Vaticano II al Sinodo delle Chiese europee di Praga.
Fino al 12 febbraio, circa 200 delegati di trenta Paesi partecipano alla fase continentale del Sinodo sulla sinodalità a Praga, e altri 390 seguono gli scambi in videoconferenza – dopo l’illusione del consenso dei fedeli attraverso sintesi di sondaggi diocesani tanto arrangiati quanto crudelmente smentiti da un contributo cittadino di oltre 6.500 fedeli, accolto da un silenzio plumbeo, c’è ora l’illusione del consenso dei vescovi alla «profonda riforma»… per cosa esattamente?
Come al tempo del Concilio ecumenico Vaticano II, i Cattolici vengono riformati contro la loro volontà
È vero che il 93 per cento di coloro che hanno risposto a questo «questionario dell’ultima possibilità» si aspettano che il sacerdote dispensi i sacramenti come priorità, l’87,6 per cento che sia celibe, il 74 per cento che la Chiesa difenda la Vita, il 70 per cento che protegga la famiglia… probabilmente tutto ciò che gli architetti del Sinodo sulla sinodalità vogliono buttare via, con il pretesto dell’adattamento e della riforma. Non sorprende quindi che le voci divergenti dei fedeli o dei chierici siano passate sotto silenzio…
Sul quotidiano [di ispirazione cattolico-progressista: N.d.T.] La Croix, il ceco padre Tomáš Halík [teologo impegnato a favore del dialogo interreligioso: N.d.T.] dà il tono… e la sensazione che queste «discussioni» tra Vescovi assomiglieranno soprattutto al plenum di un partito comunista del blocco orientale – compresa l’età dei delegati, il loro carattere intercambiabile e la loro formattazione ideologica.
Tanto più che, come scrive il quotidiano La Croix (6 febbraio), l’esercizio «periglioso e senza precedenti» rischia di partorire un topolino: «Le Chiese dell’Est, Polonia, Ungheria, “più identitarie”, potrebbero cercare di “approfittare dell’occasione per alzare la voce contro i cambiamenti dottrinali della via tedesca”, teme un osservatore. Da Roma, l’assemblea di Praga è percepita come rischiosa, in quanto il clima degli scambi appare incerto […] di fronte ai timori espressi, i cardinali Mario Grech e Jean-Claude Hollerich, rispettivamente Segretario generale del Sinodo dei Vescovi e relatore del Sinodo sulla sinodalità, hanno recentemente fatto una precisazione: i prossimi incontri “non sono destinati a trattare tutti i temi che sono oggetto di dibattito nella Chiesa”, hanno scritto in una lettera ai Vescovi europei».
Non si tratta di deviare dallo scenario già scritto a Roma e, se così fosse, il sinodo europeo verrebbe rapidamente seppellito, come ci ricorda la voce del suo maestro, mons. Alexandre Joly, Vescovo di Troyes, «e capo dell’équipe sinodale nazionale. “Non è a Praga che si prenderanno le decisioni che riguardano la Chiesa universale”, ha detto. Tutto ciò che verrà discusso nella Repubblica Ceca sarà ridiscusso dai Vescovi di tutto il mondo e dagli altri partecipanti al Sinodo in due sessioni romane, per concludersi nell’ottobre 2024».
I partecipanti francesi – in situ – sono quattro, tra cui mons. Alexandre Joly (Vescovo di Troyes) e mons. Éric Marie de Moulins d’Amieu de Beaufort (Arcivescovo metropolita di Reims) [e Presidente della Conferenza episcopale di Francia: N.d.T.]. Tra coloro che seguono su internet, c’è un gruppo di progressisti, tra cui don François Odinet, teologo del Centre Sèvres [istituto universitario di Parigi che sul proprio sito internet si autodefinisce «un istituto di istruzione superiore e di ricerca della Compagnia di Gesù»: N.d.T.] incardinato nella Diocesi di Le Havre, Dominique Rouyer, Segretaria nazionale del movimento CCFD-Terre Solidaire [«Comitato cattolico contro la fame e per lo sviluppo», che sul proprio sito internet si autodefinisce «la principale ONG francese di solidarietà internazionale e sviluppo»: N.d.T.], due referenti della Diocesi di Limoges – perché è così sovrarappresentata?
Ma anche Isabelle Morel, teologa e specialista dei catechismi degli anni ’70 e ‘80, in particolare dell’associazione Pierres Vivantes [che sul proprio sito internet si autodefinisce «una associazione di sensibilità protestante»: N.d.T.] – che ha accompagnato il crollo della trasmissione della fede in Francia… o suor Albertine Debacker, nota per le sue posizioni eterodosse [QUI un articolo su MiL: N.d.T.]. A Praga, è ancora così pronta a stigmatizzare l’«istituzione misogina» che ritiene essere la Chiesa, il che le dà una visibilità inaspettata per una persona che si è convertita solo tre anni fa?
«La Chiesa non può e non deve opporre resistenza»
«La missione principale della Chiesa», continua padre Tomáš Halík, «è l’evangelizzazione, che consiste nell’inculturazione, uno sforzo per infondere lo spirito del Vangelo nel modo in cui la gente pensa e vive oggi. Senza questo, l’evangelizzazione è solo un indottrinamento superficiale. La Chiesa non può e non deve far parte della controcultura, né opporre resistenza, se non di fronte a regimi repressivi come il nazismo, il fascismo e il comunismo. I tentativi di fare del Cattolicesimo – soprattutto tra la metà del XIX e la metà del XX secolo – una controcultura contro la società, la cultura, la scienza e la filosofia moderne hanno portato all’autocastrazione intellettuale, causando l’allontanamento di gran parte della classe operaia, degli intellettuali e dei giovani.
La paura e l’avversione per la cultura moderna hanno portato all’ex-culturazione, contribuendo in modo significativo alla secolarizzazione della società occidentale. Gli sforzi del Concilio ecumenico Vaticano II per dialogare con la modernità e l’umanesimo secolare sono arrivati troppo tardi, in un momento in cui la modernità stava già volgendo al termine. La società postmoderna presenta alle Chiese sfide e opportunità molto diverse rispetto alla modernità. Per diventare una voce credibile e intelligibile in un’epoca di radicale pluralità, la Chiesa deve subire una profonda riforma – e spero che il cammino sinodale sia una tale riforma».
Fuori la difesa della Vita in società che legalizzano l’aborto e domani l’eutanasia, l’educazione cattolica in luoghi dove le drag-queen gestiscono laboratori per bambini, il catechismo tradizionale, la lotta contro la dissacrazione… o il rifiuto di dare la comunione a politici che si dicono cristiani ma che compiono atti politici contrari agli impegni cristiani. In queste condizioni, è ancora necessario definirsi cattolici… o anche questo sarà vietato ai fedeli di domani, in nome della «riforma» e della non imposizione del Cattolicesimo alla «pluralità radicale»?
Di passaggio, giustifica la via sinodale tedesca, che viene considerata solo come audace, mentre molte delle sue posizioni sono eterodosse, persino profane: «La via sinodale tedesca sembra attribuire grande importanza al cambiamento delle strutture istituzionali. Solleva con coraggio questioni che non possono essere tabuizzate e parla di problemi la cui soluzione non può essere rimandata all’infinito. Insisto, tuttavia, sul fatto che le riforme istituzionali – come le questioni relative alle condizioni del ministero sacerdotale – devono precedere e accompagnare un approfondimento della teologia e della spiritualità».
Niente più «benvenuto». Anche da parte dei Tradizionalisti?
Il tono è stato dato dal documento di lavoro «Allarga lo spazio della tua tenda», che funge da base per il lavoro di questo sinodo continentale:
- pagina 6: «L’ascolto come apertura all’accoglienza a partire da un desiderio di inclusione radicale – nessuno è escluso! – da intendersi in una prospettiva di comunione con le sorelle e i fratelli e con il Padre comune. L’ascolto appare qui non come un’azione strumentale, ma come la ripresa dell’atteggiamento fondamentale di un Dio che ascolta il suo Popolo, e la sequela di un Signore che i Vangeli ci presentano costantemente in ascolto delle persone che lo incontrano sulle strade della Terra Santa»;
- pagina 19: «L’immagine biblica della tenda di intreccia con altre che appaiono in numerose sintesi: quella della famiglia e quella della casa, come luogo a cui le persone desiderano appartenere e a cui voglino ritornare. “La Chiesa-casa non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga di continuo” (Conferenza episcopale italiana). La dinamica della casa e dell’esilio, dell’appartenenza e dell’esclusione è avvertita nelle sintesi come una tensione: “Coloro che si sentono a casa nella Chiesa avvertono la mancanza di coloro che invece a casa non si sentono” (Conferenza episcopale irlandese). Attraverso queste voci, percepiamo “il sogno divino di una Chiesa globale e sinodale che vive l’unità nella diversità. Dio sta preparando qualcosa di nuovo e noi dobbiamo collaborare” (Unione dei Superiori Generali ed Unione internazionale delle Superiore Generali)»;
- pagina 22: «Tra coloro che chiedono un dialogo più incisivo e uno spazio più accogliente troviamo anche coloro che per diverse ragioni avvertono una tensione tra l’appartenenza alla Chiesa e le proprie relazioni affettive, come ad esempio: i divorziati risposati, i genitori single, le persone che vivono in un matrimonio poligamico, le persone LGBTQ ecc. Le sintesi mostrano come questa richiesta di accoglienza interpelli molte Chiese locali: “La gente chiede che la Chiesa sia un rifugio per chi è ferito e piegato, non un’istituzione per i perfetti. Vuole che la Chiesa incontri le persone ovunque si trovino, cammini con loro anziché giudicarle, e costruisca relazioni reali attraverso la cura e l’autenticità, non il senso di superiorità” (Conferenza episcopale statunitense)».
Un altro spunto è dato dal testo della delegazione francese, che ha preso la parola il 6 febbraio:
- «La convergenza tra il documento per la fase continentale e il discernimento delle Chiese locali rafforza la preoccupazione per una Chiesa aperta a tutti perché ha gli occhi fissi su Cristo: i giovani, i poveri e gli esclusi, le persone con disabilità, gli omosessuali, i divorziati e i risposati, tutti devono sentirsi attesi nella Chiesa e avere un posto in essa, perché sono membri dello stesso corpo, quello di Cristo (cfr. 1 Cor 12). L’accettazione incondizionata non impedisce il discernimento per articolare la misericordia e la verità in alcune situazioni specifiche»;
- «Seguendo Cristo, la Chiesa cerca di ascoltare il grido dei poveri e il grido della terra, scrutando le tracce del Regno presenti nel mondo, una Chiesa non chiusa in se stessa ma veramente profetica»;
- tuttavia, notiamo le preoccupazioni: «Rimangono forti tensioni intorno alla liturgia, con l’applicazione a volte dolorosa del motu proprio Traditionis custodes e il rischio di divisione all’interno della Chiesa, ma anche il modo di celebrare, il linguaggio simbolico, la missione di ogni persona all’interno dell’atto liturgico, così come un’aspettativa piuttosto forte intorno all’omelia. Le sensibilità o gli attaccamenti a questo o quel modo di celebrare portano a volte a divisioni, con i segni di comunione e di fiducia nell’amore materno della Chiesa che si affievoliscono progressivamente, il che è motivo di preoccupazione in Francia».
Il motu proprio Traditionis custodes, un sassolino nella scarpa
Il documento di lavoro rileva anche queste preoccupazioni riguardo al motu proprio Traditionis custodes: «La visione di una Chiesa capace di inclusione radicale, di appartenenza condivisa e di ospitalità reale, secondo gli insegnamenti di Gesù, è al centro del processo sinodale: “Invece di comportarci come guardiani che cercano di escludere gli altri dalla tavola, dobbiamo fare di più per assicurarci che le persone sappiano che tutti possono trovare un posto e una casa qui” (osservazione di un gruppo parrocchiale statunitense)».
Il documento di lavoro «Allarga lo spazio della tua tenda» sembra dire che questo approccio escludente del motu proprio Traditionis custodes è l’opposto della sinodalità, e che dobbiamo fare il contrario…
Inoltre, sarà difficile giustificare a lungo termine, «e allo stesso tempo», l’accoglienza e l’ascolto di tutti, ma anche l’esclusione dei fedeli dalla Messa tridentina.
Il quotidiano La Croix scrive che «dal 9 febbraio i dibattiti continueranno a porte chiuse tra i Presidenti delle Conferenze episcopali». Più «clericale» e allo stesso tempo «la necessità di liberare la Chiesa dal clericalismo» con la «riforma del governo» sono anche parte del programma di questo sinodo, secondo il quotidiano La Croix…
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Tutto questo avviene nell’indifferenza generale. Sapete, cari Padri Vescovi, non interessa più a nessuno. E anche se voi dite:
«Rimangono forti tensioni intorno alla liturgia, con l’applicazione a volte dolorosa del motu proprio Traditionis custodes e il rischio di divisione all’interno della Chiesa, ma anche al modo di celebrare, al linguaggio simbolico, alla missione di ciascuno all’interno dell’atto liturgico, nonché a un’aspettativa piuttosto forte intorno all’omelia. Le sensibilità o gli attaccamenti a questo o quel modo di celebrare a volte portano a divisioni, con i segni di comunione e la fiducia nell’amore materno della Chiesa che si affievoliscono progressivamente, e questo è motivo di preoccupazione in Francia»,
vi rendete conto che nessuno si interessa più a voi?
È bene accogliere chi è vittima della secolarizzazione imperante. È giusto accogliere chi ha subito un divorzio o anche ne è stato la causa per via della secolarizzazione. Allora riprendere quelle persone perse e aiutarle in un percorso di salvezza ritengo sia il compito della chiesa di oggi. Ciò vale anche per ciò che riguarda il genere aiutare persone traviata dallo stile di vita imperante è compito della chiesa. Prescindendo dal rito tridentino che non sarebbe un problema se dietro di esso non fosse celato un certo fariseismo spiccio.
RispondiEliminaColpito in pieno! Bravissimo. La penso proprio come te. Ti apprezzo.
EliminaAvete visto le foto? Tutti vestiti da pastori protestanti!! Esempi di chiesa che si autodemolisce!!
RispondiEliminail clergyman è un abito clericale al pari della talare...
EliminaIl clergyman è un abito secolarizzato, tanto che i governi anticlericali vietavano la talare ma ammettevano il clergyman. Oggi paradossalmente è la neochiesa che vieta la talare! Purtroppo l'abito fa il monaco! Abito secolarizzato, monaco secolarizzato!!
EliminaLa maggior parte dei sacerdoti non indossa spesso neanche il clergyman, e quelli che lo indissano poi vengono insultati perché dovrebbero indossare la talare...
EliminaI punti sono due:
- è un abito dignitoso e permesso dalle norme come veste clericale
- il chierico che lo indossa si rende riconoscibile
Il clergyman è autorizzato dalla Chiesa. Al semplice fedele, questo dovrebbe bastare. Tutto il resto è lagna sterile pura e semplice.
EliminaDipende dalle circostanze .Il clergyman è più comodo ed andrebbe indossato in viaggio o quando c'è da fare qualche lavoro manuale.In chiesa e durante le celebrazioni andrebbe indossata sempre la talare. Invece alcuni non possiedono neanche il clergyman ......
EliminaRincuora che per l’anonimo delle 19.40 l’abito faccia il monaco! Per secoli tutti hanno pensato il contrario. Che grazia aver ricevuto la sua saggezza!
EliminaVaticano II e Sinodo sulla Sinodalita': la storia è destinata a ripetersi, prima come tragedia e poi come farsa!
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