Le ultime notizie che giungono da oltre oceano (Chicago, Arlington…) ci danno, ahinoi, nuovi elementi per comprendere che cosa stia accadendo nella Chiesa dopo Traditionis Custodes, e oltre... Vi proponiamo qui di seguito la lettura dell’attualità del nostro Enrico Roccagiachini.
La soluzione finale
Col passare del tempo, comprendiamo sempre più chiaramente come si sia sviluppata e verso quali obiettivi tenda la guerra civile scatenata dai vertici della Chiesa contro i “tradizionalisti”.
Parliamo propriamente di guerra civile perché si tratta davvero di una lotta intestina, ancorché iniziata in termini opposti rispetto alla prevalente dinamica di un fenomeno di tal genere: non è una porzione del popolo che insorge contro chi detiene il potere e cerca di scalzarlo, ma è chi detiene il potere che cerca di schiacciare una porzione del popolo. Tutto ciò perché nel regime che si vuol instaurare a tutti i costi essa non ha posto: c’è un gruppo dominante che ha conquistato il potere proprio per introdurre “cambiamenti irreversibili”, e quella parte del popolo, con la sua sola pur pacifica esistenza, costituisce un insormontabile impedimento alla realizzazione dell’utopia rivoluzionaria.
Invece, a stretto rigore, non dovremmo parlare di “tradizionalisti”, se non per semplificare, come effettivamente cerchiamo di fare. Non solo perché per noi tradizionalista e cattolico tout-court dovrebbero essere sinonimi, ma anche perché la parte del popolo che si vuole eliminare non è circoscritta ai soli “tradizionalisti classici”, quelli – per capirci – “della Messa in latino”, ma, come è stato opportunamente notato proprio in questi giorni (ved. qui), comprende quanti credono che la Chiesa non possa cambiare i suoi insegnamenti morali e dottrinali definitivi, che essi siano irriformabili. Se così non fosse, infatti, perché – per esempio – colpire l’Opus Dei, nonostante tutti gli sforzi mimetici che essa ha compiuto in questi anni (tra cui una rigorosa presa di distanza dalla liturgia tradizionale) per non essere nemmeno lontanamente percepita come appartenente alla “opposizione”?
È proprio qui sta uno snodo chiave per comprendere ciò che sta accadendo: i “tradizionalisti” non sono perseguitati per reprimere la resistenza, il contrasto, l’eventuale disobbedienza che essi oppongano al nuovo corso (qualcuno che si oppone dichiaratamente c’è, ma non è rappresentativo dell’insieme, e a Roma lo sanno benissimo); al contrario, essi sono perseguitati anche se, in concreto, operativamente, non gli si oppongono e, addirittura, anche se condannano espressamente i colleghi più bellicosi. I “tradizionalisti” sono perseguitati per il solo fatto di esserci, perché con la loro stessa esistenza, per quanto silenziosa e nascosta, mostrano al mondo l’impossibilità e la sostanziale ingiustizia della rivoluzione in corso, la fecondità dell’alternativa controrivoluzionaria, il vigore della Chiesa 1.0 e l’impossibilità concreta, fattuale, di sostituirla con la Chiesa 2.0. Essi stanno al progetto dei cambiamenti irreversibili, del recupero cattolico dei presunti 200 anni di ritardo sulla modernità, come i kulaki stavano al violento progetto di Stalin e alla piena sovietizzazione della Russia. Non andavano “convertiti” e nemmeno sconfitti o piegati alla volontà della rivoluzione: andavano semplicemente soppressi, eliminati (anche fisicamente), perché nel nuovo mondo proprio non dovevano esistere; perché, solo esistendo, anche in perfetto silenzio, di quel nuovo mondo e delle sue magnifiche sorti e progressive avrebbero mostrato empiricamente l’intrinseca fallacia.
Stiamo dunque assistendo all’ennesima versione di un fenomeno storicamente ricorrente: la ricerca della soluzione finale. Anche quello in corso, infatti, ne presenta le caratteristiche.
Si è cominciato considerando i tradì come un fenomeno da baraccone, tendenzialmente comico, destinato ad estinguersi spontaneamente. Questa fase è quella in cui li si faceva coincidere totalmente con i cultori della liturgia antica, e si pensava che si trattasse di vecchi nostalgici già fuori dalla realtà e ormai prossimi al trapasso, o di insignificanti e innocui disadattati. È la fase della divertita tolleranza, degli sfottò più o meno bonari.
Poi, però, ci si è accorti che le cose non stavano esattamente così, che la “infatuazione” per la Tradizione attecchiva e si diffondeva. Tuttavia, pur non potendolo più considerare come un fenomeno folcloristico, il tradizionalismo non era ancora visto come un pericolo reale, ma come una specie di incidente di percorso, un problema gestibile e controllabile: qualche tradì ci sarà sempre, si diceva, è una scocciatura con la quale bisogna fare i conti e in qualche modo convivere… È la fase della “riserva indiana”, dell’apartheid, del contenimento e della ghettizzazione: “andate tutti nella FSSPX – o in qualunque altro ghetto che vi possa segregare dal resto dei fedeli – e non intralciate il cammino della maggioranza verso il suo immancabile radioso futuro: non vale la pena di preoccuparsi ulteriormente di voi, la fede nel certo successo della rivoluzione e nella nuova Pentecoste è così salda che non vi teme”.
Ma poi anche questa tesi si è scontrata con i fatti. I tradì non si riesce a contenerli, sono attraenti, le loro comunità non si lasciano ghettizzare e si moltiplicano, sono ricche di giovani e fertili famiglie cristiane, si inseriscono pacificamente nelle parrocchie, e producono addirittura vocazioni sacerdotali e religiose ad un tasso che la Chiesa mainstream non riesce più nemmeno ad immaginare: potrebbero davvero rappresentare il futuro… nel contempo, la rivoluzione incomincia ad avere il fiato corto, il sole dell’avvenire tarda a sorgere, e quelli che rischiano davvero di estinguersi per vecchiaia sono proprio i rivoluzionari. I quali non possono e non vogliono lasciare un nuovo mondo corrotto dall’esistenza dei tradì, perché essi – come abbiamo detto – ne dimostrerebbero inesorabilmente la fallacia. Dunque, non si può più tollerarli né segregarli, vanno soppressi, e si deve farlo in fretta. Occorre pervenire presto alla soluzione finale.
E così, siamo ai giorni nostri. I primi a finire nel mirino non possono che essere i tradizionalisti liturgici, perché è facile trovarli e colpirli: ma poi anche tutti gli altri, i fanatici dell’ortodossia e della perfetta continuità, dovunque siano annidati e comunque siano mimetizzati. Anche se sono perfettamente allineati al Novus Ordo.
C’è ben poco da aggiungere. Se non che l’esperienza storica sembrerebbe insegnare che, prima o poi, magari decenni dopo (ma che sono pochi decenni nei disegni della Provvidenza?), la vera soluzione finale annichilisce i persecutori, non i perseguitati. Anche perché non è detto che essi non provino a difendersi: la legittima difesa dei tradì – pensiamo soprattutto ai laici – è ancora in gran parte da inventare, e potrebbe essere il prossimo capitolo di questa drammatica e dolorosa saga.
Enrico Roccagiachini