Nella foto la scritta in latino di un cartello di Rough Castle, un forte sul Vallo Antonino (in Scozia)
Latino, lingua della Chiesa (Francesco permettendo...).
Luigi
"Vides ut alta stet niue candidum" non è la prima ode di Orazio, è la nona del primo libro.
Informazione Cattolica, 30-8-21, Gianmaria Spagnoletti
“…Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum…”.
Era l’11 febbraio 2013 quando il latino fece capolino nella cronaca. Tra i presenti colti un po’ alla sprovvista, fu una giornalista laureata in Lettere a farne la traduzione per i media: era l’annuncio delle dimissioni di papa Benedetto XVI, dato in quella che è ancora la lingua ufficiale della Chiesa.
Ma saltiamo all’oggi. Si dice virus o vairus? Questa la surreale discussione sorta l’anno scorso da un discorso pubblico sul Covid-19 di Luigi di Maio. Il Ministro degli Esteri ha pronunciato la parola virus all’americana (“v-I-rus”) suscitando un’ondata di lazzi sui social. Mancanza di conoscenza o volontà di stupire il pubblico? In ogni caso ha sbagliato, perché logica vuole che quando si sceglie una lingua si seguano le sue regole di pronuncia. Se il Ministro degli Esteri avesse fatto un discorso in inglese a New York, la pronuncia corretta sarebbe stata “v-I-rus”, ma siccome si stava esprimendo in italiano avrebbe semplicemente dovuto leggerla così come era scritta.
E poi…chi l’avrebbe mai detto? Si tratta di una parola latina. Virus, in effetti, vuol dire “veleno”, ed è una delle numerose parole passate dal latino in inglese. Infatti gli inglesi ma specialmente gli americani, che dell’impero romano si considerano un po’ gli eredi, ne usano moltissime, con buona pace di chi definisce il latino una “lingua morta”.
Fino a non moltissimo tempo fa, il latino veniva insegnato anche nelle Scuole Medie per rendere i ragazzi (anche quelli che non avrebbero proseguito gli studi) più consapevoli delle origini della nostra lingua; attualmente, purtroppo, non gode di buona salute nemmeno nel ciclo di studi superiori e all’Università. Qualcuno giustamente lo paragona a un animale in via di estinzione, perché la “caccia serrata” lo ha sloggiato persino dalla sua “area protetta”, la Santa Messa. E data la grande influenza della lingua latina, non è un caso se il suo “declassamento” è coinciso con un progressivo impoverimento del linguaggio.
L’universalità del latino non è solo merito della Chiesa Cattolica, della sua liturgia e del Diritto Canonico; il latino è alla base di alcune delle maggiori lingue europee, chiamate “romanze” o “neolatine” (le principali sono italiano, francese, spagnolo, portoghese e rumeno); oltre alla sua gloriosa storia dovuta all’influenza dell’Impero Romano, gli viene riconosciuta anche la massima precisione verbale (tutte le parole con una origine comune mantenevano anche lo stesso significato, ad es. madre, matrimonio, matricola, matrona…). Per questo fu adottato come “lingua franca” molto prima che l’inglese fosse universalmente diffuso.
Sicuramente può suscitare curiosità il fatto che in Inghilterra fu lingua di cultura ben oltre il XVI secolo e la rottura con la Chiesa di Roma, anche perché le opere degli autori antichi continuavano a godere di grande successo e ad essere lette e rappresentate a teatro. Persino le lezioni universitarie a Oxford e Cambridge venivano svolte in latino, a beneficio degli studenti che provenivano da tutta Europa e in massima parte dalla nobiltà; mentre invece quelli che erano figli di ricchi mercanti (e quindi borghesi) venivano chiamati sine nobilitate, che poi è stato abbreviato in snob.
Nel XVIII secolo Carlo Linneo (Carl Linnaeus) attribuì un nome scientifico in latino a ogni organismo vivente, mentre nel XIX secolo per Theodor Mommsen fu una scelta ovvia scrivere in latino il Corpus Inscriptionum Latinarum, raccolta di tutte le epigrafi romane scoperte fino ad allora.
Se da una parte noi italiani facciamo un uso eccessivo dell’inglese, dall’altra in quella lingua vi sono moltissime espressioni latine comunemente usate a tutt’oggi, fra cui Magna Charta (la prima legge sui “diritti civili” del 1215), Habeas Corpus (la legge che richiede precisi presupposti giuridici per un’accusa), Alibi, In Absentia (in contumacia), De Facto, De Jure, Status Quo, Per Se, Persona non grata, pro bono (cioè gratis)…
Il termine Posse ha assunto il significato di “milizia locale” e risale alla legge del Posse Comitatus, che permette allo Stato di chiamare in aiuto l’Esercito (e tutti gli uomini abili) per il mantenimento dell’ordine pubblico. Nel campo della scrittura si usano Errata Corrige, Ibidem, le abbreviazioni i.e. (Id Est, “cioè”), viz. (Videlicet, “vale a dire”), e.g. (Exempli Gratia, “per esempio”), etc. (et cetera), P.S. (Post Scriptum), N.B. (Nota Bene). Non mancano poi le espressioni usate nei campi più svariati, come Agenda (“cose da fare”), Ad Honorem, Ad Lib[itum], Ad Hoc, Annus Mirabilis/Horribilis, Non Sequitur, Camera, cioè “macchina fotografica” (abbreviazione di “Camera Obscura”) e persino fax, che sta per fac simile.
Il benefit che molti credono essere di origine inglese in realtà è latino, e significa “che ti faccia (fit) bene”. Invece il “brainstorming”, parte di infinite riunioni di lavoro, non è altro che il metodo delle Quaestiones disputatae usato nelle Università medievali.
Vi sono anche degli episodi dell’ultima guerra mondiale dove le parti avverse hanno abbattuto la “barriera linguistica” proprio grazie alla lingua degli antichi Romani.
Un solo esempio: nel 1944 il Servizio Operazioni Speciali alleato progettò di rapire il generale Müller, comandante tedesco di Creta e criminale di guerra. Quando arrivarono sull’isola i due agenti inglesi, il Maggiore Patrick Leigh Fermor e il Maggiore William Stanley Moss, tuttavia, Müller era già stato trasferito e al suo posto c’era il Generale Heinrich Kreipe. Il rapimento di Kreipe andò a buon fine, e il terzetto fu ospitato in una grotta sotto la protezione della Resistenza greca. Il mattino dopo Kreipe si svegliò, uscì dalla grotta e si trovò davanti la magnifica vista del monte Ida innevato. “Vides ut alta stet nive candidum Soracte”, disse riportando alla memoria la prima delle Odi di Orazio [n.d.r: un lettore attento, che ringraziamo ci segnalata che questa è "la nona del primo libro" Odi, I, 9]. Leigh Fermor, che era un grande conoscitore dei Classici, lo sentì e proseguì: “Nec iam sustineant onus silvae laborantes geluque…” fino alla fine dell’ode. Kreipe gli disse sbalordito: “Ah, signor Maggiore!”. Fermor, ricordando l’episodio nella sua autobiografia Tempo di regali, scrisse: “Io e il generale tedesco ci eravamo abbeverati alle stesse fonti. E da quel momento, i rapporti fra me e lui cambiarono radicalmente”.
In conclusione, proprio dall’Inghilterra potrebbe venire un ottimo esempio da seguire per noi italiani: smettere di bistrattare la lingua latina, e recuperarne lo studio invece di infarcire il nostro frasario di termini inglesi, spesso solo perché fa “tendenza” . Allora, un brindisi alla lingua latina. Prosit (che giovi)!
"Vides ut alta stet niue candidum" non è la prima ode di Orazio, è la nona del primo libro.
RispondiEliminaAh ok. Grazie. abbiamo corretto.
Eliminaaggiungerei che gli ingegneri inglesi e americano per Internet hanno usato solo il latino
RispondiEliminaMonitor da moneo
scanner da scandere
modem contrazione di modulator demodulator latino modulari
la chiocciola est un ad stilizzato
digitale naturalmente da digitus
computer da computare
etc etc
insomma Giulio Cesare continua a colonizzare l'Inghilterra
connect da connettere Insomma noi italiano siamo come gli arabi ignoranti che hanno l oro sotto i piedi e non lo sanno.