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lunedì 4 febbraio 2019

I grandi protagonisti della musica sacra romana. Settimo"Medaglione": Giuseppe Ottavio Pitoni

Pubblichiamo il settimo contributo che il Maestro Aurelio Porfiri ha donato a MiL (il primo, su Palestrina, QUI, il secondo, su Orlando di Lasso, QUI, il terzo su de Victoria QUI, il quarto QUI su G. M. Nanino, il quinto QUI su Domenico Massenzio da Ronciglione e le aggregazioni laicali, il sesto QUI su Cristobal de Morales ).
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LA MUSICA È ESPERIENZA

Il mio carissimo Maestro, Cardinale Domenico Bartolucci, ripeteva spesso: “la musica è esperienza”. Cosa significava questo? Significava che la musica richiede io fare, la pratica continua, l’esperienza, appunto. Questo è tanto più vero per la musica di Chiesa, in cui divenire familiari con i riti, con i diversi tempi dell’anno liturgico, con i diversi stili possibili, è una esigenza imprescindibile. Non che si voglia svalutare per questo la teoria, ma questa è una conseguenza del fare musica, non la ragione. Oggi purtroppo, per i motivi troppo ovvi ne  vale la pena ripetere, abbiamo perso questa pratica della musica di Chiesa, della vera musica degna di dare gloria a Dio.

Mi veniva da pensare a questo quando riflettevo sulla vita straordinaria di Giuseppe Ottavio Pitoni (1657-1743), uno dei più grandi compositori e teorici della scuola musicale romana, autore di migliaia e migliaia di composizioni per la liturgia e oggi ricordato solo per un pezzo, “Cantate Domino”. In effetti quando ci si pensa, il suo destino fu migliore di quello di molti altri, che sono completamente dimenticati al di fuori dei circoli musicologici. Eppure egli meriterebbe ben altra memoria. Nato a Rieti da famiglia agiata, si trasferì ancora bambino a Roma dove fu allievo di Pompeo Natali e Francesco Foggia e dove prestò servizio di fanciullo cantore in varie chiese romane. Poi cominciò il suo servizio di maestro di cappella e compositore in numerosissime chiese, pur rimanendo per più di 60 anni principalmente il maestro della chiesa di san Marco in Roma, dove ancora oggi si trova la tomba della sua famiglia (pur se i suoi resti mortali, a detta del sacerdote rettore della chiesa, oramai non sono più lì). 

Fu compositore dalla produzione sterminata, si dice non ripetesse la stessa composizione in due chiese diverse ed era uso comporre sempre nuova musica per nuove celebrazioni. Uno dei suoi massimi studiosi, Siegfried Gmeinwieser, lo descrive così sulla Treccani: “Pitoni sfoggiò un’intensità produttiva che non ha forse pari nella storia della musica. Compose soprattutto musiche da chiesa, conservate quasi tutte manoscritte (e datate). Assunto lo stile palestriniano come pietra del paragone, praticò anche lo stile concertato, basato sull’alternanza di passi assolo e ripieni; ma la maggior parte delle opere appartengono allo stile pieno di carattere accordale, con accompagnamento organistico ad libitum («organo se piace»). Se nei brani concertati come nei brani policorali si osserva un accostamento allo stile del concerto grosso strumentale, poche sono le composizioni con strumenti, e in esse la scrittura contrappuntistica cede perlopiù il passo a quella accordale. Abbondante fu anche la produzione policorale. Stando a Chiti, negli ultimi due anni di vita Pitoni avrebbe concepito l’impervio progetto di una messa a 48 voci in 12 cori, di cui però avrebbe completato soltanto il Kyrie e il Gloria (oggi perduti). Dopo il 1724 i brani a molti cori diminuiscono. A detta di Helmut Hucke (1955), se le prime messe di Pitoni si collocano nell’alveo della scuola palestriniana, sotto il crescente influsso dello stile concertato il tessuto contrappuntistico guadagna via via in leggerezza; intorno al 1720 la condotta è accordale, dopo il 1730 si torna a mano a mano a un contrappunto più elaborato e fluente”. Fu attivo a che come teorico della musica, con lavori che ancora oggi sono utili testi di riferimento per la comunità musicologica.

Tra i suoi lavori vorrei citare il mottetto “Ex altari tuo”, a 4 voci dispari, in cui è evidente il richiamo alla sapienza del contrappunto rinascimentale ma unito ad un nuovo senso di tensione interiore, esplicato dall’uso di intervalli inusuali nel contrappunto osservato di stile palestriniano. La purezza delle linee melodiche si fonde con questa accentuata esigenza di tensione armonica certamente più confacente ad un panorama tonale che alla modalità in cui il pezzo ancora si muoveva. 

Spero che presto ci sarà una riscoperta di questo autore anche al di fuori dei circoli musicologici. Mi verrebbe da sperare il ritorno della sua musica nelle chiese, alla liturgia, a cui appartiene.

Aurelio Porfiri