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IL DONO DELLA SINTESI
Purtroppo ai nostri tempi siamo troppo proni alle influenze di ogni tipo, nel campo artistico. Molti musicisti si sentono bene se somigliano a questo o a quello stile, senza troppo considerare il patrimonio che hanno in dote in virtù della loro nascita. Questo patrimonio non è solo dei repertori colmi di capolavori di arte musicale e specificamente di grandi opere di musica sacra, ma anche di un senso della tradizione, di idee che sono vilipese da coloro che poco le conoscono o le conoscono male. Insomma, corriamo appresso a quello che non ci appartiene per non aver ben considerato la nostra grande eredità. Non siamo capaci di fare sintesi, come sapevano fare i nostri grandi predecessori.
Un esempio di questo, ma ce ne sono molti, è quello offerto dallo spagnolo Cristobal de Morales (1500-1553), da Siviglia, che fu cantore pontificio a Roma.
Nel suo “Spanish Cathedral Music in the Golden Age”, Robert Stevenson ci presenta un esteso paragrafo su questo compositore, non conosciuto oggi come altri compositori rinascimentali, ma molto interessante e certamente da non sottovalutare. L’autore ritiene importante su Morales l’influenza del fiammingo Nicolas Gombert (1495-1560). Queste influenze erano certo sintetizzate dallo spagnolo con il suo nativo linguaggio e poi fatte incontrare con gli stimoli derivanti dalla scuola romana, di cui fu protagonista, con la sua maggiore solarità rispetto al devoto misticismo spagnolo, in qualche modo più portato ai colori scuri. Era un collante importante l’uso delle tematiche provenienti dal canto liturgico, come possiamo osservare nei Magnificat, per cui questo autore sarà famoso. In effetti pur tenendo molto alle sue Messe, queste non saranno ristampate tante volte quanto i Magnificat, che avranno una diffusione veramente internazionale. Andrea Adami da Bolsena, nelle sue “Osservazioni per ben regolare il Coro della Cappella Pontificia“ del 1711, dirà di lui che le sue Messe “erano di una perfettissima maniera, studiose, e di buon stile ecclesiastico”. Lo stesso Adami da Bolsena definisce il mottetto Lamentabatur Iacob di Morales come la cosa più preziosa posseduta dall’archivio sistino, “una Maraviglia dell’arte”. Molto bello anche il suo Circumdederunt me a 5 voci, sereno e doloroso allo stesso tempo.
I grandi artisti sono capaci di grandi sintesi, sanno prendere il meglio dove lo trovano per giungere ad una sintesi di livello superiore. Una sintesi non nel senso hegeliano di continuo cambiamento, ma nel senso di approfondimento dell’immutabile. Come detto all’inizio, oggi siamo capaci solo di seguire, ma non di sintetizzare, in quanto molti dei nostri musicisti non conoscono la propria tradizione, quando non la disprezzano. Nella scuola romana furono possibili queste grandi sintesi grazie a grandi musicisti che non avevano paura del nuovo proprio perché ben saldi nella propria identità musicale, estetica e spirituale.
Aurelio Porfiri
IL DONO DELLA SINTESI
Purtroppo ai nostri tempi siamo troppo proni alle influenze di ogni tipo, nel campo artistico. Molti musicisti si sentono bene se somigliano a questo o a quello stile, senza troppo considerare il patrimonio che hanno in dote in virtù della loro nascita. Questo patrimonio non è solo dei repertori colmi di capolavori di arte musicale e specificamente di grandi opere di musica sacra, ma anche di un senso della tradizione, di idee che sono vilipese da coloro che poco le conoscono o le conoscono male. Insomma, corriamo appresso a quello che non ci appartiene per non aver ben considerato la nostra grande eredità. Non siamo capaci di fare sintesi, come sapevano fare i nostri grandi predecessori.
Un esempio di questo, ma ce ne sono molti, è quello offerto dallo spagnolo Cristobal de Morales (1500-1553), da Siviglia, che fu cantore pontificio a Roma.
Nel suo “Spanish Cathedral Music in the Golden Age”, Robert Stevenson ci presenta un esteso paragrafo su questo compositore, non conosciuto oggi come altri compositori rinascimentali, ma molto interessante e certamente da non sottovalutare. L’autore ritiene importante su Morales l’influenza del fiammingo Nicolas Gombert (1495-1560). Queste influenze erano certo sintetizzate dallo spagnolo con il suo nativo linguaggio e poi fatte incontrare con gli stimoli derivanti dalla scuola romana, di cui fu protagonista, con la sua maggiore solarità rispetto al devoto misticismo spagnolo, in qualche modo più portato ai colori scuri. Era un collante importante l’uso delle tematiche provenienti dal canto liturgico, come possiamo osservare nei Magnificat, per cui questo autore sarà famoso. In effetti pur tenendo molto alle sue Messe, queste non saranno ristampate tante volte quanto i Magnificat, che avranno una diffusione veramente internazionale. Andrea Adami da Bolsena, nelle sue “Osservazioni per ben regolare il Coro della Cappella Pontificia“ del 1711, dirà di lui che le sue Messe “erano di una perfettissima maniera, studiose, e di buon stile ecclesiastico”. Lo stesso Adami da Bolsena definisce il mottetto Lamentabatur Iacob di Morales come la cosa più preziosa posseduta dall’archivio sistino, “una Maraviglia dell’arte”. Molto bello anche il suo Circumdederunt me a 5 voci, sereno e doloroso allo stesso tempo.
I grandi artisti sono capaci di grandi sintesi, sanno prendere il meglio dove lo trovano per giungere ad una sintesi di livello superiore. Una sintesi non nel senso hegeliano di continuo cambiamento, ma nel senso di approfondimento dell’immutabile. Come detto all’inizio, oggi siamo capaci solo di seguire, ma non di sintetizzare, in quanto molti dei nostri musicisti non conoscono la propria tradizione, quando non la disprezzano. Nella scuola romana furono possibili queste grandi sintesi grazie a grandi musicisti che non avevano paura del nuovo proprio perché ben saldi nella propria identità musicale, estetica e spirituale.
Aurelio Porfiri