IL SACRO CRISTIANO
La Liturgia la Musica l'Architettura
CIRCOLO NEWMAN
SEREGNO
10 FEBBRAIO 2012
SEREGNO
10 FEBBRAIO 2012
IL VELENO DELLE FILOSOFIE MODERNE
NEL PENSIERO E NELLA LITURGIA DELLA CHIESA
Cristina Siccardi
(II e ultima parte. I parte al link:
La liturgia non è qualcosa di costruito dagli uomini, qualcosa di inventato per fare un’esperienza religiosa; ma è la lode, l’omaggio e soprattutto il riproporre il Santo Sacrificio. La maggior parte degli uomini moderni, anche cattolici, pensavano che il Vetus Ordo fosse un ferro vecchio da rigattiere, un pezzo d’antiquariato per vecchiette bigotte, amanti di pizzi e merletti. Il Motu Proprio dimostra l’esatto contrario: il Vetus Ordo è la possibilità per il fedele di entrare nel mistero di Dio, perché la Fede è mistero e i giovani sono molto interessati e attratti dalla sacralità di questa Santa Messa.
La deformazione liturgica è stata, realmente, il prodotto di forze intellettuali che hanno soffocato la trascendenza di Dio, la Sua incarnazione e l’opera dello Spirito Santo. Ma l’Opera di Dio non è l’opera degli uomini. Il Vetus Ordo è opera di Dio, il nuovo Messale è opera di alcuni uomini che hanno pianificato un rito atto a soddisfare le loro aspirazioni.
In quest’epoca scientifica e antimetafisica i dogmi, le immagini e i precetti della religione hanno perduto forza e al loro posto si è collocata l’ideologia. In quest’epoca postmoderna, ormai, le persone non credono più in una sola verità, ma prestano soltanto più attenzione alle esperienze individuali. E non esiste più un corretto e sicuro criterio di comprensione, valido a collocare ciò che è peccato e ciò che non lo è. Tuttavia, come sostiene san Tommaso d’Aquino, l’uomo ha un’inclinazione verso la verità, ecco, allora, che subentra la frustrazione. Siamo perciò condannati a ritrovarci in un mondo buio, lugubre, pieno di paure, privo di verità, bellezza e bontà, dove soltanto coloro che hanno il controllo decidono che cosa si può definire bello, vero, buono.
Afferma Robinson:
«Se l’Eucaristia è “fonte e culmine” della vita della Chiesa, ma il culto è malamente degenerato, allora la missione del Corpo mistico di Cristo viene seriamente compromessa. È una questione centrale, non solo per la Chiesa, ma per il mondo intero. Se la Chiesa che san Paolo definisce “colonna e sostegno della verità” (1Tm 3,15), parla con voce smorzata della Passione, della morte, della Risurrezione e dell’Ascensione di Cristo, anche il mondo ne risente» (7).
Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità: l’incontro con il mistero, la sorgente della nostra vita. La crisi ecclesiale in cui ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della Fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? Allora, davvero, la comunità celebra solo se stessa. E, dato che la comunità in se stessa non ha sussistenza, diventa inevitabile, in queste condizioni, che si arrivi alla formazione di molte correnti, finanche alla contrapposizione, in una Chiesa così divisa, di idee e pratiche liturgiche relativiste.
Fra i credenti, influenzati dalle idee moderne, ci si stancò di assistere a dispute religiose, ecco che emerse il latitudinarismo e l’indifferentismo e il sentimento comune fu quello di guardare ad una religione che non avesse più incidenza nella vita pubblica, ma diventasse, come aveva diagnosticato Newman, un fatto privato, una questione personale. Il Cristianesimo, in duecento anni, è diventata una nuova, razionale e pacifica religione umanistica.
La morale stessa, ovvero la buona volontà, tanto decantata da Kant (quale vera autentica religione), alla fine, però, perde consistenza. Infatti il filosofo visse ed operò quando il suo riferimento era ancora quello di una società civile cristiana. Oggi, in una società scristianizzata, la stessa moralità è profondamente minata e ciò che è bene per uno, non è bene per un altro. Siamo in una Babilonia.
Il deismo dell’Illuminismo sfociò inevitabilmente nell’aperta negazione dell’esistenza di Dio, come dimostrerà Nietzsche (1844-1900). Hume, fra i più valenti architetti dell’Illuminismo ed uno dei migliori esempi di coscienza laica, propone un nuovo messaggio: occorre fare filosofia per dimostrare che non c’è posto per la metafisica, poi si potrà godere della libertà prodotta dalla consapevolezza di tale assenza. Ecco l’ideale: niente tensioni, niente clamori verso l’assoluto metafisico, occorre evitare i voli pindarici. Le sue opere sono pervase dall’odio per la religione, in particolare proprio quella cristiana. Per il filosofo la religione è fanatica, intollerante, scolastica e grottesca. Non pensava che un uomo razionale potesse essere credente. L’opera La religione naturale ebbe un ruolo immenso nello sviluppo dell’ateismo e il suo pensiero è stato così forte ed è così circolato da influire, in certi aspetti, in una parte del mondo cattolico: miracoli e Novissimi ebbero un colpo fatale in molti teologi. Pensiamo alla dottrina di Rahner dove i Novissimi perdono consistenza, un fattore che continua ad influenzare moltissimo la vita quotidiana della Chiesa.
Interessante constatare che cosa Kant dicesse a proposito della preghiera, che considera «culto da cortigiani», se realizzata per chiedere grazie, scrive:
«Considerare la preghiera un mezzo per ottenere la grazia è “un errore superstizioso (un feticismo)”. Dio non ha bisogno di informazioni riguardo “i nostri” sentimenti intimi […] la preghiera riguarda il miglioramento morale del soggetto» (8).
Inoltre, andare in Chiesa,
«è generalmente, una buona pratica a patto di essere consapevoli che può avere due buoni risultati. Innanzitutto può ricordare al fedele l’obbligo di perseguire una vita morale; in secondo luogo può essere considerato come un’obbligazione diretta nei confronti dell’individuo in quanto membro della Chiesa etica universale. Andare in chiesa ci ricorda il dovere di cercare di obbedire all’imperativo categorico proprio in quanto membri del regno dei fini. Il culto reso in chiesa, tuttavia, non deve contenere nulla di incompatibile con la vera religione del dovere […]. Pertanto andare in chiesa diventa un atto negativo quando il fedele inizia a pensare di fare qualcosa di gradito a Dio solo per il fatto che gli rende culto insieme ad altre persone» (9).
Nei confronti dei Sacramenti Kant ha un atteggiamento decisamente negativo. Considera positivo il Battesimo soltanto se considerato come iniziazione alla comunità etica cristiana, altrimenti
«[La consacrazione] in se stessa, non è santa, né è un’azione che, compiuta da altri, produca nel soggetto, insieme con la santità, la capacità di ricevere la grazia divina; essa non è, dunque, un mezzo di grazia, nonostante l’eccessiva importanza che le si attribuiva nei primordi della Chiesa greca, quando si credeva che il battesimo potesse cancellare in una sola volta tutti i peccati, il che rivelava in modo evidente la parentela di quest’errore con una superstizione quasi più che pagana» (10).
Mentre per Kant la fede si trasfigura nel senso del dovere, per Hegel la fede si trasfigura nella filosofia e la religione diventa porta d’accesso proprio alla filosofia stessa. Il suo pensiero ha avuto un’influenza enorme sulla formazione della coscienza dell’uomo contemporaneo, egli è uno dei massimi architetti della modernità. Inoltre molti scritti di Hegel e di Marx (1818-1883), che ha attinto dal primo, hanno influenzato i pensatori della Chiesa, pensiamo, per esempio, a tutta la teologia della liberazione.
Hegel iniziò i suoi studi universitari come seminarista luterano, poi fuoriuscì e la sua massima aspirazione fu quella di diventare un educatore del popolo, ambizione che raggiunse. Pensava che la religione fosse lo strumento più efficace per veicolare le sue idee e basilare sarà il ruolo che con lui acquisirà il concetto di comunità: giunse a sostenere che se non apparteniamo a una comunità non possiamo neppure considerarci esseri umani. Hegel sviluppa l’idea che nell’esistenza umana sia presente, oltre al governo e alla famiglia, una struttura che definisce società civile: campo di azione della moderna attività economica che permette alle associazioni di svilupparsi e prosperare.
Per Hegel l’esistenza di Dio è necessaria se vogliamo capire il mondo in cui viviamo, ma, e questo è lo snodo essenziale della questione, il mondo in cui viviamo è necessario a Dio per essere veramente tale. Dio non scomparve ancora, ma ciò che rimase era un Dio riformulato alla luce delle necessità della comunità. La teologia protestante è stata influenzata in modo particolare da questa posizione; ma tale infausta mentalità ha condizionato anche i cattolici, modificando la visione di Dio e del mondo. Il punto d’ingresso dell’idealismo hegeliano nella coscienza cattolica è rappresentato dalla crescente consapevolezza dell’importanza delle scienze sociali, ovvero della sociologia e della psicologia. L’oggetto di indagine della sociologia è la società ed è nella società, secondo questa concezione, che troviamo Dio. La dimensione soprannaturale viene completamente distrutta.
Hegel sostenne che una comprensione adeguata della vita etica non è possibile se non si dispone di uno studio serio che descriva la società come è realmente. Ecco entrare in campo Comte. Egli asserisce che l’umanità ha bisogno di votare un culto a qualcosa: tale bisogno sarà utilizzato per addestrare i cittadini del nuovo ordine ad obbedire ai dettami della nuova scienza, poiché questo sarà l’unico modo per venire incontro agli interessi dei cittadini e incoraggiarne lo sviluppo personale. Il sociologo ammise di essersi ispirato al sistema cattolico per creare la sua nuova «chiesa», dove oltre alla società non esiste altro punto di riferimento.
Il mondo moderno è un prodotto dell’Illuminismo, della presa di potere da parte della scienza, dell’incidenza dei filosofi fin qui menzionati, nonché delle scienze sociali. Tutte queste forze non si sono affatto esaurite, ma sono entrate a far parte della coscienza comune. Ma le idee che hanno contribuito a creare il mondo moderno si presentano come una matassa aggrovigliata: forze cieche che si scontrano in una battaglia notturna, come asseriva Newman.
La postmodernità è la continuazione e l’acutizzazione dei tempi della modernità. Per alcuni è la presa di coscienza che il mondo prefigurato dalla modernità non si è mai realizzato. Per altri è un’accozzaglia di interpretazioni selvagge e sregolate, dove non ci sono criteri di misura, significati certi, identità, ma è una mischia rumorosa.
Dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha rinunciato all’idea che essa è una società perfetta che funge da controparte ai governi secolari. Inoltre non possiede più quel valore pedagogico che la sua missione le ha imposto; ma la sua opera viene condotta allo stesso livello e negli stessi contesti degli Stati. Tuttavia questa visione di unione felice fra Chiesa-Stato, dove si opererebbe un’arricchente fecondazione reciproca, è di carattere meramente utopico, in quanto il mondo moderno è sempre più vittima della teoria e della prassi del laicismo e del liberalismo; mentre la Chiesa ha uno specifico e imprescindibile connotato di eternità, dove le sue regole sono immutabili e proprio per questo sempre nuove, perché fuori dal tempo che passa inesorabilmente con le sue mode di pensiero e di costume. Da qui l’essenzialità della Tradizione, di ciò che ci è stato trasmesso. Afferma sant’Agostino: «Ci son sacramenti che custodiamo non perché scritti, ma perché tramandati» (11). Egli arriva a dire: «Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas» («Nemmeno all’evangelo crederei, se non mi fosse proposto dall’autorità della Chiesa»). C’è poi quella definizione agostiniana di Tradizione, «la verità è sempre ciò che, con vera Fede cattolica, fin dall’antichità vien predicato e creduto dalla Chiesa intera» (12), che si ricollega, ante litteram, a quello che affermerà, più tardi, san Vincenzo di Lérins (?–450 ca.): «è veramente e propriamente cattolico ciò che fu creduto in ogni luogo, sempre, da tutti» (13), pertanto è Tradizione ciò che si presenta come universale consenso, sin dagli albori della Fede, che non deve essere mai manomesso perché è oro e come oro deve essere mantenuto. Dichiara san Vincenzo: «Oro hai ricevuto; oro devi restituire […] non piombo, non bronzo al posto del prezioso metallo» (14). Questa la definizione di Tradizione che dà Monsignor Gherardini: «La Tradizione è la trasmissione ufficiale, da parte della Chiesa e dei suoi organi a ciò divinamente istituiti, e dallo Spirito Santo infallibilmente assistiti, della divina Rivelazione in dimensione spazio-temporale» (15).
La lex orandi deve insegnare la lex credendi. Questi gli elementi per il ritorno alla sacralità, queste le cure per una Fede che è stata avvelenata: rimettere Dio al suo posto; ridare al Santo Sacrificio il suo reale significato e il suo degno lustro; riscoprire l’autentica identità del sacerdote, quale Alter Christus; ridonare ai Sacramenti e alla grazia lo spazio a loro dovuto.
Recuperare la liturgia di sempre significa recuperare il sacerdozio autentico, l’una richiama l’altro, in maniera ineludibile. Ecco, infatti, che Benedetto XVI dopo il Motu proprio Summorum Pontificum ha indetto l’anno sacerdotale (2009-2010), indicando come modello per i sacerdoti il Santo Curato d’Ars (1786-1859) e san Giuseppe Cafasso (1811-1860), due ministri di Dio che non si occuparono di dialogare con il mondo, ma ruotarono intorno all’altare, al confessionale e al pulpito.
In un mondo in cui si comprende soltanto più il linguaggio dell’ “esperienza” e dove non esistono più certezze, ma soltanto dubbi e miriadi di interpretazioni, viene in soccorso Newman:
«Ci avviciniamo alla verità grazie all’esperienza acquisita con l’errore; i nostri successi sono frutto di fallimenti. Non conosciamo il modo giusto di agire se non dopo aver sbagliato… Sappiamo distinguere il bene solo negativamente: non vediamo subito la verità e ci dirigiamo verso di essa, ma inciampiamo, scegliamo l’errore e ci accorgiamo che non è la verità. Procediamo a tentoni, senza vedere e, una penosa esperienza dopo l’altra, esauriamo gradualmente le azioni possibili finché non ne rimane nessuna, se non la verità. È questo il processo che ci permette di riportare la vittoria, camminando a ritroso verso il regno dei cieli» (16).
Note
7. J. Robinson, Messa e modernità. Un cammino a ritroso verso il regno dei cieli, Cantagalli, Siena 2010, p. 25.
8. Ivi, p. 84
9. Ibidem.
10. Ivi, p. 85.
11. Ep. 54,1,1.
12. Contra Julianum VI,5,11.
13. Commonitorium II.
14. Ivi.
15. B. Gherardini, Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, Torino 2011, p. 170.
16. Parochial and Plain Sermons.
9. Ibidem.
10. Ivi, p. 85.
11. Ep. 54,1,1.
12. Contra Julianum VI,5,11.
13. Commonitorium II.
14. Ivi.
15. B. Gherardini, Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Lindau, Torino 2011, p. 170.
16. Parochial and Plain Sermons.
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