Da Romualdica. Importanti ci paiono soprattutto le risposte alle ultime due domande. Per leggere l’intera intervista divisa in due parti, vedere qui e qui.
[Grazie alla cortese autorizzazione di Christophe Geffroy, direttore del mensile La Nef e autore dell’articolo, riproduciamo in trad. it. a nostra cura l’intervista al Padre Abate dell’abbazia Sainte-Madeleine di Le Barroux, Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., Un monastère pour le XXIe siècle, comparsa in La Nef, n. 230, ottobre 2011, pp. 18-21 (qui pp. 18-19)]
Non è paradossale costruire un nuovo monastero, mentre così tante antiche abbazie sembrano vuote o abbandonate?
L’ideale per noi sarebbe stato di trovare un’abbazia già esistente. Per questa ragione, prima d’intraprendere i lavori, ho scritto a un vescovo per chiedergli se potevamo subentrare in un’abbazia che stava per essere completamente restaurata. Ma ciò non è stato possibile né auspicabile per la diocesi. Non si deve dimenticare che per fondare in una diocesi occorre assolutamente l’autorizzazione del vescovo. Una tale accoglienza, dopo una lunga ricerca e molteplici inconvenienti, l’abbiamo trovata presso da diocesi di Agen. Monsignor Jean-Charles Descubes credeva alla forza della preghiera dei contemplativi, anche se non adottava tutto ciò che costituisce il nostro proprio carisma. Quanto a riutilizzare un edificio storico, devo ricordare ai nostri generosi donatori che la restaurazione è assai più costosa di una costruzione.
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Per molti Le Barroux fa rima con Dom Gérard, il fondatore: come si manifesta al giorno d’oggi la sua presenza, e cosa ricordate di questa forte personalità?
Dom Gérard ci ha generati alla vita monastica. Gli dobbiamo la nostra tradizione, la nostra formazione, la nostra professione religiosa, alla quale ci ha accolti. Quando sono venuto al monastero, vent’anni fa, gli dissi che cercavo a Le Barroux lo spirito tradizionale e la fedeltà a Roma, ed egli mi rispose che vi era tutto questo. Vi sono poi le tre colonne: anzitutto la dottrina tradizionale, insegnata per mezzo della filosofia tomista; poi le osservanze monastiche, radicate nella pietà filiale verso i nostri fondatori, san Benedetto, Padre Jean-Baptiste Muard – fondatore della Pierre-qui-Vire –, Dom Romain Banquet e Madre Marie Cronier, creatori delle abbazie sorelle di En-Calcat e Dourgne; infine la liturgia celebrata nella forma straordinaria del Rito romano. Dom Gérard ci ha insegnato a custodire gelosamente il tesoro degli antichi, ma per viverne e non per conservarlo come in una camera stagna. Un nostro fratello ha detto che Dom Gérard si svegliava tutte le mattine nuovo come un bambino, ciò che gli ha permesso di passare attraverso molte prove. Questo potere di ringiovanire tutti i giorni, egli lo traeva dalla sua vita interiore, dalla sua grande fiducia nella Vergine Maria e dal suo solido legame con Nostro Signore Gesù Cristo. È sul basamento della sua vita interiore che si poggiava la sua battaglia per la cristianità.
La vostra abbazia recluta, al punto che siete stati obbligati ad aprire una fondazione, nel 2002; anche in questo caso siete controcorrente, perché ovunque si parla della “crisi” delle vocazioni: avete una “ricetta”?
No, nessuna ricetta. La ricetta è Dio, dunque non è una ricetta che si può fare uscire dal cassetto. La sola cosa che conta per noi è di essere fedeli alla nostra vocazione, di credervi, di amarla, di vivere nella pietà filiale. Questo detto, i giovani, è evidente, cercano la radicalità che il Santo Padre ha richiamato in occasione della GMG nel suo discorso ai religiosi. Hanno bisogno di strutture chiare e nette, e non di una ricerca indefinita d’identità in perpetua mutazione. Vogliono degli autentici maestri di preghiera e di vita. E poi noi abbiamo il carisma di Dom Gérard, che ha attratto molti giovani; e ancora – capite bene – i giovani attirano i giovani.
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Costruire un monastero mentre non si parla d’altro che di costruzione di moschee, non è forse un segno di “resistenza”, il simbolo che il cristianesimo non è morto nel nostro Paese?
È vero che ogni monastero ha la vocazione di essere una cittadella spirituale. La resistenza monastica a quello che lo stesso Padre de Chergé [Dom Christian de Chergé O.C.S.O. (1937-1996), priore del monastero trappista algerino Notre-Dame de l’Atlas di Thibirine] chiamava “l’invasione dell’islam”, non può essere che pacifica e indiretta. Se l’islam assume una tale importanza nell’Occidente cristiano, è perché quest’ultimo ha apostatato dalla sua fede e ha amputato le sue radici cristiane. La mentalità razionalista e anti-cristiana della cultura e delle politiche occidentali li rende assolutamente sprovveduti di fronte a questa grande “onda verde”. Il sindaco di una grande città francese – ancora situata in territorio concordatario – ha bene riassunto quest’attitudine incoerente, dichiarando d’imporre nelle mense, come segno d'apertura, delle pietanze halal [“lecito”, cibo preparato in modo accettabile per la legge islamica], e di rifiutare il pesce di venerdì, per laicità. Ma il problema rimane politico e ci oltrepassa. Torneremo forse a studiare i fondamenti anti-cristiani dell’islam e tutti i pericoli che esso rappresenta per la libertà, al fine di chiarire gli uomini di buona volontà. È nostra responsabilità, più sicuramente, proclamare con forza e dolcezza la nostra fede cristiana e pregare, alimentare il grande fiume soprannaturale che percorre invisibilmente le pieghe della storia per offrire un avvenire di luce.
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Un’abbazia come la vostra, la quale ha conservato le proprie esigenze, non illustra forse che tutte le “soluzioni” alla “crisi” che vanno nella direzione del mondo – matrimonio dei preti, ordinazione delle donne, legittimazione dell’omosessualità per il clero, ecc. – sono votate allo scacco, come dimostrano gli esempi anglicani e protestanti?
Davanti a una Chiesa ammalata, è grande la tentazione di disperare e di rassegnarsi alle cure palliative, quasi per aiutarla a morire senza sofferenze. Tutte le soluzioni mondane e alla moda sono paragonabili alla bevanda che i soldati hanno proposto a Gesù sulla croce affinché soffrisse meno. Ma Gesù l’ha rifiutata. Non vi è ricetta, ma abbiamo la vera medicina: la fede soprannaturale in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, salvatore degli uomini, che ci ha aperto le porte del Cielo. La vitalità della Chiesa non è il prodotto d’industrie umane ma il frutto della grazia, ricevuta principalmente nei sacramenti, e la fedeltà alla Parola di Dio che ci è pervenuta attraverso il Magistero e la Tradizione.
Voi siete legati alla forma extraordinaria del Rito romano: perché questa scelta e come giudicate la situazione liturgica nella Chiesa latina, particolarmente dopo il motu proprio Summorum Pontificum e la recente pubblicazione dell’istruzione Universae Ecclesiae?
La scelta della forma extraordinaria del Rito romano risale alle nostre origini, a Bédoin, nel 1970. Questa scelta non è affettiva, ma è una preferenza motivata da ragioni di manifestazione più netta di talune verità della fede: carattere centrale, sacrificale e sacro, della messa, presenza reale del Signore nelle sante speci, distinzione essenziale del sacerdozio ministeriale del prete e del sacerdozio battesimale. Aggiungo che la forma extraordinaria manifesta altamente la continuità della Chiesa, perché la Chiesa non accetta né rotture né rivoluzioni, essa non muta il contenuto della propria fede. Per finire, l’orientamento ecumenico dato dal Concilio Vaticano II trova nella forma extraordinaria un ponte con le Chiese orientali e finanche con le comunità cristiane anglicane e luterane, dalle forme liturgiche ancora antiche. La situazione liturgica tende a evolvere nel buon senso. Lo vedo per esempio alla messa crismale del Giovedì santo alla chiesa metropolitana di Avignone. Ma occorre del tempo, perché come diceva Dom Gérard, basta una notte per bruciare una foresta, e cinquant’anni per farla ricrescere. In ogni caso, il Santo Padre ha sbloccato una situazione. La forma extraordinaria non è più considerata dai fedeli come abolita. Mi sembra che il fine attuale del Vaticano sia di diffondere la celebrazione di questa forma con tutto ciò che gli va appresso – catechismo, patronati, pellegrinaggi, ecc. – al fine, in un primo tempo, d’influenzare la celebrazione corretta della forma ordinaria. Siamo all’inizio dell’inizio. Dopo di che, Dio provvederà.
Le Barroux si è reso noto per la pubblicazione di studi importanti in accordo con la preoccupazione del Santo Padre di una corretta “ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità”. Per voi questo è importante, e come percepite i progetti di Benedetto XVI in materia?
Si tratta di un punto fondamentale. La Chiesa non ha il potere di darsi nuove costituzioni nel corso del tempo. Essa deve rimanere sé stessa, com’è stata fondata dal suo Maestro. Spetta ai pastori coltivare nella vigna del Signore lo spirito di fedeltà, di comunione con la Tradizione e i suoi sviluppi fondamentali, e quindi di presentare il Concilio Vaticano II non come una novità assoluta, ma come uno sviluppo organico o una riforma nella continuità. I pastori che si comportano diversamente dovranno renderne conto al Signore. Io non sono nei segreti del Santo Padre, ma constato che le sue allocuzioni illustrano bene l’urgenza di riprendere la nostra storia: da cinque anni, egli dedica le sue udienze generali a presentare i giganti della storia della Chiesa, partendo dagli apostoli, passando per san Benedetto, e per finire con santa Teresa del Bambino Gesù. Giunti a questo punto, ci parla dell’uomo di preghiera. Mi sembra che il suo progetto sia il radicamento, tema della GMG, radicamento nella nostra fede, nella nostra storia e nella preghiera. Era anche il progetto di Dom Gérard quando lanciò i lavori di Le Barroux: “Il sommo criterio, quello al quale desideriamo sacrificare tutto, non sarà l’emergenza, ma il radicamento”. Promette buoni frutti.
[Per aiutare i lavori di costruzione del Monastero Sainte-Marie de la Garde (47270 Saint-Pierre-de-Clairac, Francia), di cui abbiamo parlato già in altre occasioni, si rimanda al sito Internet http://www.jeconstruisunmonastere.com/ ]
Il "radicamento". L'unica via da percorrere...
RispondiEliminaL'Abate Dom Luis-Mare cardinale subito
RispondiEliminaL'Abate Dom Luis-Marie cardinale subito
RispondiEliminaSono della stessa opinioone di ospite. a me sembra un bel pesce in barile: un colpo al cerchio ed uno alla botte con il doveroso ossequio al Vaticano II! E la chiesa lo ricompensa con la mitria ed il pasrtorale abbaziale. Ognuno ha il suo prezzo.
RispondiEliminaL'abate dom Louis-Marie non ha pagato proprio nessun prezzo per la propria mitria: è entrato come postulante in monastero dopo il 1988, quando il monastero era perfettamente riconosciuto da Roma. Come dice lui stesso nell'intervista, le condizioni della sua vocazione erano l'amore per la Tradizione e l'unione a Roma. Direi, anzi, che questi dovrebbero essere i cardini di ogni vero tradizionalista: chi pensa di poter fare a meno di Roma, o di ergersi addirittura a istanza giudicante lo stesso magistero pontificio, finisce con lo storpiare la Tradizione, se ne fa una caricatura a proprio uso e consumo.
RispondiEliminaQuesto aveva capito anche dom Gérard e questo è il motivo per cui non seguì Monsignor Lefevbre. Chi conosce anche solo un po' della sua storia, sa bene che dom Gérard non avrebbe mai fatto nulla per opportunismo. Anzi, è diventato così inviso alla Fraternità proprio perché ha mostrato nei fatti che gli accordi del 1988 non erano affatto una truffa, che si poteva rimanere fedeli a Roma e alla Tradizione senza rinunciare a sé stessi. La stessa cosa la dimostrano da anni la Fraternità San Pietro, l'Istituto del Buon Pastore, le domenicane di Pontcalec, l'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote... solo dei disonesti potrebbero ritenere che siano tutti dei venduti.
Chi frequenta la Parrocchia personale di Trinità dei Pellegrini si rende conto di quale attrazione abbiano comunità come la San Pietro create per distubare la FSSPX. Alla messa domenicale pomeridiana non più, ad essere larghi, di 25 persone in una città di oltre 3 milioni di abitanti. Al Vaticano probabilmente fa comodo dimostrare come sia incostistente il mondo degli amanti della vecchia liturgia, perciò ha creato una riserva indiana nella quale non si parli criticamente del Vaticano IIe si accetti tutto a scatola chiusa. I preti che colà celebrano hanno una conoscenza sommario dell'italiano e questo si rileva durante la predica. Ma gli italiani dove sono? dove è l'aggregazione alla Tradizione nel nostro Paese? Anche a Gricigliano italiani nisba, solo improbabili abiti da coro che rendono se non ridicolo almeno estroso chi li indossa. Il Vaticano sta rendendo la tradizione come fosse un'operetta . Screditane uno ne scediterai molti. Quindi caro Ospite guarda un pò al di la del tuo naso e se ti riesce non nascondere la testa sotto la sabbia come lo struzzo.
RispondiEliminaUn giorno o l'altro i "numeri" ci seppelliranno :)
RispondiEliminaNumeri, numeri, numeri. Meno male che a Cristo i NUMERI importano poco o punto. Importa la FEDE! E questo indecorso spettacolo di delegittimazione reciproca, arriva ad affermare anche solenni falsità, quali ad esempio che le fraternità tradizionali "romane" debbano chiudere il becco sul Vaticano II. La più grande diffusione recente ,e PASSATA, di critiche INTERNE al Vaticano II, viene dalle fraternità tradizionali "romane"!
Le fraternità tradizionali romane, continuano ad essere derise e sminuite, invece che aiutate e sostenute. Bene...Facciamoci del male
Io sono stato una domenica lo scorso maggio e la chiesa era direi piena in tutti i posti a sedere. Non è che straboccasse, ma direi piena.
RispondiEliminae cmq l'intervista è stupenda. Molto profonda.
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