Nel giorno in cui commemoriamo l'istituzione del sacerdozio da parte di Nostro Signore, pubblichiamo, abbreviato e senza note, questo ispirato scritto di Padre Paolo Maria Siano FI, che potete trovare completo a questo link.
La figura di san Francesco d’Assisi, Fondatore della triplice milizia serafica (Ordine dei Minori, Povere Dame di Santa Chiara, o Clarisse, e Terz’Ordine secolare), diacono, mistico stimmatizzato, costituisce uno dei punti di riferimento esemplari per l’autentica conoscenza e prassi del ministero e della vita sacerdotale.
Il Serafico Padre professa la sua fede cristallina nella Chiesa Romana e non ha dubbi sull’identità del sacerdote: questi è il ministro del Corpo e del Sangue del Signore e lo offre nel Santo Sacrificio che è la Messa. Nella Lettera a tutti i chierici il Santo mette in guardia i sacri ministri dalle profanazioni eucaristiche di cui essi stessi potrebbero macchiarsi a causa di negligenza ed ignoranza. I grandi tesori del Serafico Padre, in questa vita terrena, sono l’Eucaristia e la Parola di Dio. Francesco esorta i sacri ministri ad amministrare con fede e decoro il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore Gesù e la sua Parola rivelata. Gesù si pone ogni giorno «nelle nostre mani», ma anche noi ministri saremo «nelle sue mani», nel «giorno del giudizio».
San Francesco sa bene che i sacerdoti non sono di per sé impeccabili; egli non si lascia influenzare dagli atteggiamenti neo-donatisti di catari e valdesi a lui contemporanei, perciò, ben saldo nella fede cattolica, egli può dire, a proposito dei sacerdoti:
«E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io discerno il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e sangue suo, che essi ricevono ed essi solo amministrano agli altri».
Nell’Ammonizione I, Francesco pone un’analogia tra il grembo della Vergine che ha accolto il Verbo fatto carne, e le mani del sacerdote, che sotto il segno del pane, accoglie il Cristo nel Sacrificio della Messa:
«Ecco, ogni giorno egli [il Signore nostro Gesù Cristo] si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote».
Nella Lettera a tutti i fedeli, il Santo raccomanda «riverenza verso i chierici, non tanto per loro stessi, se sono peccatori, ma per l’ufficio e l’amministrazione del santissimo corpo e sangue di Cristo che essi sacrificano sull’altare e ricevono e amministrano agli altri. E tutti dobbiamo sapere fermamente, che nessuno può essere salvato se non per mezzo delle sante parole e del sangue del Signore nostro Gesù Cristo, che i chierici pronunciano, annunciano e amministrano».
Nella Lettera a tutto l’Ordine dei Minori, san Francesco raccomanda ai frati sacerdoti:
«che ogniqualvolta vorranno celebrare la messa, puri e con purezza compiano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda, non per motivi terreni, né per timore o amore di alcun uomo, come se dovessero piacere agli uomini».
Il Serafico Padre, acceso di santo zelo, minaccia i castighi di Dio per il sacerdote che come «un Giuda traditore… si fa reo del corpo e del sangue del Signore». A questo proposito, Francesco ammonisce i frati sacerdoti (e sono ammonizioni valide per tutti i sacerdoti, regolari e secolari) a non calpestare, a non oltraggiare il Corpo e Sangue del Signore, e a non assumerLo con leggerezza, come se si trattasse di un qualsiasi cibo ordinario.
Anche in questa lettera, Francesco pone una similitudine tra la Beata Vergine Maria e il sacerdote:
«Ascoltate, fratelli miei. Se la beata Vergine è così onorata, come è giusto, perché lo portò nel suo santissimo grembo […] quanto deve essere santo, giusto e degno colui che tocca con le sue mani, riceve nel cuore e con la bocca e offre agli altri perché ne mangino, Lui non già morituro, ma in eterno vivente e glorificato, sul quale gli angeli desiderano fissare lo sguardo».
Francesco, non solo denuncia pericoli o vizi già in atto, ma – com’è doveroso – esorta a guardare in alto, sprona verso le vette esemplari della santità: Gesù e Maria, il Redentore Eucaristico e la Corredentrice [Il termine “Corredentrice” entra in uso nel magistero pontificio sotto il Pontificato di san Pio X (3 volte); è stato impiegato 3 volte usato anche da Papa Pio XI (3 volte) e almeno 7 volte da Papa Giovanni Paolo II], adoratrice incomparabile dell’Eucaristia.
Poi, Francesco stimola i sacerdoti a meditare sulla loro dignità:
«Guardate la vostra dignità, fratelli sacerdoti, e siate santi perché egli è santo. E come il Signore Iddio vi ha onorato sopra tutti gli uomini, con l’affidarvi questo ministero, così anche voi più di tutti amatelo, riveritelo e onoratelo. È una grande miseria e una miseranda debolezza, che avendo lui così presente, voi vi prendiate cura di qualche altra cosa in tutto il mondo».
Anche in questo testo rivolto a tutti i Frati, Francesco non riesce a nascondere il suo stupore di fede dinanzi al rapporto “celeste” tra Gesù Eucaristico e il sacerdote:
«Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo. O ammirabile altezza e stupenda degnazione! O umiltà sublime! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza, sotto poca apparenza di pane!».
La fede e la meditazione di queste realtà sublimi, ci spinge a prostrarci dinanzi al Signore in umile e adorante ringraziamento: «Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati».
Verso il termine della vita, Francesco ribadisce la sua fede nella Chiesa Romana e nel sacerdozio ministeriale quali doni preziosi del Signore. Così leggiamo nel Testamento (1226) del Serafico Padre:
«Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana, a motivo del loro ordine, che se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e trovassi dei sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori».
Nella Compilazione di Assisi (nota anche come Leggenda perugina), leggiamo che il beato Francesco, quando dimorava alla Porziuncola, con ancora pochi frati, andava in giro per i villaggi a predicar la penitenza. Dopo aver predicato al popolo, radunava in un altro luogo i sacerdoti presenti, per non esser udito dai secolari, e parlava loro della «salvezza delle anime» esortandoli alla «massima cura nel mantenere pulite le chiese, gli altari e tutta la suppellettile che serve per la celebrazione dei divini misteri».
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Uno sguardo alla situazione ecclesiale contemporanea
Dopo aver ammirato la fede e l’amore di san Francesco per il sacerdozio cattolico, e dopo aver soltanto accennato ad alcuni fra i più celebri modelli di santità sacerdotale francescana, diamo uno sguardo all’epoca presente. Non è un mistero che a partire dagli Anni Sessanta del secolo ventesimo, e soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, si è diffusa una sorprendente auto-secolarizzazione all’interno della società cristiana e ancor più all’interno di vasti settori ecclesiali, in particolare, europei e nordamericani.
L’apertura al mondo, pastoralmente auspicata dal Concilio, è stata invece interpretata e vissuta (fino al presente) da settori e personalità del mondo cattolico come una progressiva «autosecolarizzazione». Molti credenti sono solleciti in opere sociali, ma quanti credono alla vita eterna? Si è assai sensibili verso tematiche etiche, sociali, culturali, economiche apprezzate dall’opinione pubblica, ma si fatica a parlare di peccato mortale, grazia divina, vita teologale e novissimi. Con gran cura ci si è ingegnati per tentare di render i fedeli più partecipi alle celebrazioni liturgiche; ma queste, in molti casi, sembrano aver smarrito il fascino del sacro. Inoltre, negli ultimi quarant’anni il numero dei sacerdoti (e dei Religiosi) è sensibilmente diminuito.
Vari sintomi, striscianti o addirittura evidenti, di progressismo teologico e di «autosecolarizzazione» emersero da parole, scritti e azioni di alcuni partecipanti al Concilio Vaticano II. Già nel luglio 1966, a pochi mesi dalla fine del Concilio, la Congregazione per la Dottrina della Fede trasmise ai presuli delle Conferenze Episcopali una lettera in cui li metteva in guardia contro vari errori insorgenti da interpretazioni erronee dei decreti conciliari. Ecco gli errori:
- considerare e interpretare la Rivelazione divina e la Sacra Scrittura indipendentemente dalla Tradizione; restringere l’ambito e la forza dell’ispirazione biblica e dell’inerranza; errori sul giusto valore dei libri storici della Sacra Scrittura;
- evoluzionismo storico delle formule dogmatiche finanche nel loro contenuto oggettivo;
- deprezzamento del Magistero ordinario della Chiesa, considerato alla stregua di un’opinione;
- rifiuto della verità oggettiva immutabile; relativismo che pone ogni verità in necessaria evoluzione col ritmo della coscienza e della storia;
- tendenza a ridurre la dottrina su Cristo uomo-Dio a un umanesimo cristologico (Cristo = solo uomo che progressivamente acquista coscienza della sua filiazione divina);
- teoria della transignificazione degli elementi eucaristici invece di transustanziazione; circa l’Eucaristia si insiste troppo sul concetto di agape a discapito di quello di sacrificio;
- deprezzamento della confessione sacramentale;
- minimizzazione del peccato originale e del concetto di peccato (non più inteso come offesa a Dio);
- morale della situazione, specialmente in materia sessuale (ovvero, soggettivismo etico);
- falso ecumenismo che si confonde con l’irenismo e l’indifferentismo religioso.
Se studiamo a fondo i successivi documenti delle Congregazioni Romane e i pronunciamenti pontifici, comprendiamo che, nonostante gli argini che il Magistero ha tentato di porre, dal 1966 (sino al presente) quegli errori hanno dilagato in vari settori sacerdotali, religiosi e laicali, accelerando la secolarizzazione sociale ed intra-ecclesiale.
Come non ricordare che contro l’enciclica Humanae vitae, di Papa Paolo VI, si levarono vescovi, preti e teologi negli USA, in Germania, Olanda e Belgio?
Nell’udienza generale di mercoledì 19 gennaio 1972, Paolo VI denuncia apertamente l’attualità - sotto altri nomi - del «modernismo» già condannato dal papa San Pio X col decreto Lamentabili (1907) e con l’enciclica Pascendi. Nell’udienza al Sacro Collegio Cardinalizio, del 23 giugno 1972, Paolo VI denuncia «la mancanza di fiducia» verso la Chiesa, da parte di un certo numero di cristiani, anche sacerdoti e religiosi, il «criticismo» e «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa preconciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi “reinventata” dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto».
In quell’occasione il Santo Padre denuncia un errato concetto di «pluralismo, concepito come libera interpretazione delle dottrine e coesistenza indisturbata di opposte concezioni».
Nell’omelia del 29 giugno 1972, il Santo Padre, riguardo alla situazione della Chiesa di oggi, confessa di aver la sensazione che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio». Anche tra i membri della Chiesa regnano il dubbio, l’incertezza, l’insoddisfazione verso ciò che insegna il magistero ecclesiastico. Il Santo Padre afferma che si celebra il progresso ma per distruggere ciò che è stato conquistato e ritornare «primitivi»[27].
Nell’incontro annuale con il Clero Romano, sabato 1 marzo 1973, Paolo VI denuncia la «crisi» di identità e la secolarizzazione diffusa nel clero cattolico. Ecco una sintesi di alcuni brani di quel discorso chiaro e salutare:
«Se il prete è un uomo, la sua cultura deve essere quella profana. Ed ecco l’invasione di giornali, riviste, libri, pubblicazioni di cui si nutre la cultura media profana. Si dice che, se il prete è un uomo, allora deve avere tutte le esperienze che ha un uomo. E per esperienze di solito, purtroppo, si intendono quelle negative. […] Bisogna che conosca. Ma che cosa? Il male, le tentazioni, le cadute, le esperienze cattive. Bisogna – si dice – che abbia qualche cognizione diretta e vissuta della vita, altrimenti resta un diminuito. E ciò quasi che un uomo ferito, deformato nella sua figura morale, nella sua intangibilità spirituale come uomo battezzato figlio di Dio, abbia di che guadagnare ad aver subito queste sciabolate, di queste ferite. Nel quadro di questa concezione, per esempio, che resta dell’abito ecclesiastico? […] il Papa ha definito come una ipocrisia l’atteggiamento del prete che si assimila tanto al profano da non farsi più distinguere. L’assimilazione al profano è una tesi che va diffondendosi e va secolarizzando colui che ha l’investitura dell’Ordine Sacro e la missione di rappresentare e di vivere Cristo in sé. Paolo VI tiene a ribadire che il sacerdote è anzitutto ministro di Cristo prima ancora di essere un uomo. Se così non fosse, anche il celibato non avrebbe più i titoli sufficienti per essere conservato nella sua pienezza, nella sua integrità, nel suo splendore angelico e trasfigurante che lo rende tale da essere ancora oggi rivendicato dal clero latino».
E veniamo, ai nostri giorni. Nel discorso alla Curia Romana, del 22 dicembre 2005, a proposito del Concilio Vaticano II, Papa Benedetto XVI ha denunciato, con chiarezza quell’ermeneutica che pone rottura tra il prima e il dopo Concilio; bisogna invece leggere il Concilio nell’ottica della riforma e della continuità. Uno dei risultati (e dei sintomi) dell’ermeneutica della discontinuità è senza dubbio – specialmente in campo accademico, teologico, catechetico ed omiletico – il deprezzamento (o addirittura il rifiuto) dottrinale e bibliografico dei testi del Magistero pre-conciliare, come se la dottrina in essi contenuta non fosse più valida o non avesse più nulla da dire alla Chiesa e all’uomo d’oggi. Il ripudio del passato e il disagio dinanzi alla Tradizione sono ulteriori segni della secolarizzazione strisciante anche nella Chiesa, fenomeno che, di recente, Papa Benedetto XVI ha nuovamente denunciato.
Bisogna constatare che, purtroppo, in molti sacerdoti, la secolarizzazione – favorita da alcune “teologie” molto influenti negli ultimi quarant’anni – ha notevolmente attenuato, o addirittura “spento”, la consapevolezza della loro identità e sacralità, per cui il sacerdote sarebbe in senso esistenzialistico e sociologico, un uomo-per-gli-altri che, soprattutto in temi delicati della morale sessuale e coniugale, preferisce attenersi al comune sentire del mondo (carnale) piuttosto che alla Verità di Cristo e della Chiesa. Un sacerdote intriso di “secolarizzazione”, più o meno cosciente, non potrà non concepire il culto liturgico in chiave prettamente socio-personalistica e comunitaria. Che dire di sacerdoti che amano vestire da secolari e nella celebrazione della S. Messa manifestano coi loro atteggiamenti, un tenue senso del sacro (ad esempio fanno fatica a stare a mani giunte e non mostrano grande cura per i frammenti eucaristici)? Inoltre, alcune architetture moderne, tipiche di nuove chiese, esprimono a fatica il senso del sacro cattolico, quanto piuttosto esprimono un nuovo “sacro” di tipo alquanto gnostico o new-age…
Ovviamente, non è tutto marcio nella Chiesa – e mai lo sarà! Lo Spirito Santo sempre opera nella Chiesa, Sposa di Cristo, suscitando e irrobustendo germogli di autentica vita sacerdotale tesa alla salvezza e santificazione propria ed altrui.
Cosa può insegnare, o ribadire, a noi sacerdoti, la figura, sempre attuale, di san Francesco?
All’Angelus di domenica 17 giugno 2007, dalla Piazza Inferiore della Basilica di San Francesco in Assisi, Papa Benedetto XVI ha detto, tra l’altro, che: «Francesco d’Assisi è un grande educatore della nostra fede e della nostra lode». Sì, Francesco può educare anche noi sacerdoti a perfezionare la nostra adesione alla Fede della Chiesa Romana e la nostra lode nella preghiera liturgica, anzitutto la Santa Messa. Vediamo solo alcuni degli insegnamenti attuali che il Santo dà a noi sacerdoti e che il Magistero della Chiesa ha corroborato.
1. La nostra identità sacerdotale.
Siamo ministri di Gesù Cristo, Dio-Uomo e ministri della Chiesa. Solo se siamo saldi nella grazia e nella verità di Cristo, nella Chiesa, possiamo esser autentici servitori dell’uomo mediante la diakonia della verità e della carità. Abbiamo bisogno di coltivare la vita interiore, l’esame di coscienza, la meditazione. Anzitutto noi sacerdoti dobbiamo pregare per aiutare gli altri a pregare.
Quanto sono preziose e attuali queste parole del beato Papa Giovanni XXIII ai sacerdoti (1959):
«Prima ed accanto ad ogni altra preoccupazione di desiderabili ed opportuni aggiornamenti pastorali, e di applicazione di nuove risorse per accostare le varie categorie di fedeli, abbiate cura precipua della vostra anima. […] L'anima pura e ardente di un prete è mistero di luce, di grazia e di amore. Gli Angeli del Cielo l'ammirano e vedono in essa il riflesso della Maestà divina. Felice il sacerdote che adempie con fedele cura i quotidiani doveri della preghiera: che ama il raccoglimento del tempio e della casa : che attinge la sostanza viva della sua predicazione dal Libro Sacro: che nei giudizi, nelle parole, nel tratto si uniforma agli esempi di Nostro Signore, della Madre sua e dei Santi: che non nutre eccessiva fiducia nelle risorse umane. Poiché la santità gli è necessaria per la salvezza dell'anima sua e per l'efficacia del suo apostolato, ogni sacerdote deve avere la massima cura di accostarsi al Sacramento della Penitenza e servirsi di tutti quei sussidi che la esperienza suggerisce e la Chiesa approva».
2. Amore a Gesù Eucaristico. Meditare, celebrare e vivere il Sacrificio della Messa.
Il sacerdote non è semplicemente ministro di una parola scritta su carta, ma è ministro della Parola di Dio, ossia il Verbo fatto carne ed Eucaristia. Il luogo privilegiato della Parola di Dio è, prima ancora della Sacra Scrittura, l’Eucaristia! In ogni ostia consacrata, e in ciascun frammento, è tutto presente il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo che è la Parola, la Sapienza del Padre. Dobbiamo – sui passi di san Francesco – adorare questa Presenza viva e personale, che viene in mezzo a noi nel Sacrificio Eucaristico che è lo stesso Sacrificio del Calvario. In questi ultimi anni, in vari ambienti teologici si è molto insistito, tra l’altro, sul concetto di presbitero quale (prioritariamente) ministro della Parola e sull’Eucaristia quale banchetto o Cena del Signore, svalutando, in certo qual modo, l’essenza sacrificale della Messa. Alcune conseguenze di ciò: un’ars celebrandi molto “comunitaria” (o “popolare”) ma poco sacra; una scarsa attenzione ai frammenti eucaristici; una svalutazione dell’adorazione eucaristica al di fuori della Messa… Tutto questo l’ho constatato non solo “sui libri” ma anche per esperienza diretta nel mio decennale ministero sacerdotale.
In realtà il Magistero perenne della Chiesa ci attesta: la Presenza reale di Gesù nel pane e nel vino consacrati; la Messa quale perpetuazione incruenta dello stesso Sacrificio della Croce. Si tratta di un grande Mysterium Fidei che non possiamo pretendere di “squadrare” con la nostra ragione o di ridurre al livello del mondo secolarizzato.
Anche l’attuale Sommo Pontefice ha ribadito, di recente, anzitutto a noi sacerdoti: l’istituzione dell’Eucaristia quale anticipazione del sacrificio cruento consumato da Gesù nel Venerdì Santo; l’essenza sacrificale dell’Eucaristia; il nostro dovere di divenire Eucaristia ossia di unirci al Sacrificio Eucaristico con il sacrificio della nostra vita quotidiana[34].
E dovremmo esser particolarmente grati a Papa Benedetto XVI anche perché - come ha asserito il cardinale Antonio Cañizares, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti - col Motu Proprio Summorum Pontificum (2007) il Papa ha aperto a tutti i sacerdoti e a tutti i fedeli i tesori liturgici della Chiesa[35]. Chi scrive, dopo dieci anni di sacerdozio e di Messa (celebrata, con attenzione e devozione, secondo il Novus Ordo Missae), ha avuto la grazia di scoprire e di celebrare la Santa Messa secondo il Vetus Ordo Missae. Personalmente, posso dire che la forma straordinaria del Rito Romano (con l’orientamento del sacerdote verso la Croce, lingua latina, inchini, genuflessioni, segni di croce, Canone Romano recitato sotto voce…) mi sta aiutando a percepire meglio - anche visibilmente - la sacralità della Liturgia divina e l’essenza sacrificale della Santa Messa. E ovviamente, ci sono tanti altri giovani sacerdoti (religiosi e secolari) che fanno una simile esperienza.
3. Amore alla Beata Vergine Maria
Sui passi di san Francesco d’Assisi, umile restauratore e servo della Chiesa, che costituì la Vergine Maria «Avvocata» dell’Ordine dei Minori, guardiamo a Colei che è «madre ed educatrice del nostro sacerdozio». La Costituzione dogmatica Lumen gentium, ci insegna che Maria, Nuova Eva, ha cooperato in maniera singolare, con Cristo, alla restaurazione della vita soprannaturale negli uomini (cf. LG 61). Tutta la Chiesa (clero, religiosi e fedeli laici) deve imitare il suo modello sublime, la Beata Vergine. Dal testo conciliare comprendiamo che anzitutto il clero, in quanto cooperatore privilegiato con la grazia divina alla rigenerazione degli uomini, deve lasciarsi vivificare dall’amore materno di Maria Santissima (cf. LG 65). Papa Giovanni Paolo II rammenta, a noi sacerdoti, che siamo chiamati «a crescere in una solida e tenera devozione alla Vergine Maria, testimoniandola con l’imitazione delle sue virtù e con la preghiera frequente». Ed è ancora Papa Giovanni Paolo II ad insegnarci chiaramente che nella celebrazione della Santa Messa, Sacrificio del Calvario, la Madonna si rende presente, accanto ai nostri altari, per fare da «Mediatrice» delle grazie che scaturiscono dal Sacrificio Eucaristico. Pertanto, come già sul Calvario, anche nella Messa, Maria continua ad agire come «Mediatrice di tutte le grazie», anzitutto per noi sacerdoti.
4. amore al celibato sacerdotale
Già negli anni del Concilio Vaticano II, cominciò una campagna mass-mediatica contro il celibato sacerdotale. Ci furono reazioni compatte, di vari episcopati, in difesa del sacro celibato. Poi, dopo il Concilio, vi è stata una vera tempesta anti-celibataria, scatenata, purtroppo, anche dall’interno di settori ecclesiastici. Ancora oggi, in vari ambienti ecclesiali d’Occidente – anche “alti” – si vedrebbe nel clero uxorato, l’unica soluzione per situazioni sacerdotali e pastorali precarie o “disperate”… È evidente che un simile ragionamento non è costruito sulla speranza teologale. Invece, la grazia di Dio, la preghiera, l’adesione salda ed integrale al Deposito della Fede, la devozione eucaristica e mariana, una serena, sobria e prudente ascetica cristiana e sacerdotale consentono di mantenere fedeltà al celibato e di ottenere dal Cielo il dono di nuove vocazioni. Più preghiera, più fedeltà integrale alla dottrina cattolica, sobrietà penitenziale di vita, e i Seminari e i Conventi torneranno a ripopolarsi. Non è forse quanto avviene in Seminari ed Istituti di Vita Consacrata particolarmente sensibili all’autentica Tradizione della Chiesa ed alla corretta ermeneutica del Concilio Vaticano II? Il celibato sacerdotale è e sarà sempre uno dei grandi doni di Cristo alla Chiesa[41].
5. Amore all’abito ecclesiastico.
San Francesco, vestito dell’abito religioso a forma di croce, salutava la Beata Vergine Maria quale «vestimento»[42] di Cristo, poiché è in Lei che il Verbo ha “rivestito” la natura umana divenendo nostro Fratello. San Francesco può insegnare ai sacerdoti l’amore all’abito ecclesiastico, alla veste talare, quale segno di nuova creatura in Cristo. Sono ancora valide le parole del beato Giovanni XXIII ai sacerdoti: «I fedeli non amano vedervi immersi negli affari terreni, quasi doveste risolvere tutto nello spazio di una generazione: e non apprezzano il sacerdote che si dimostra troppo caloroso o parziale. Conviene saper portare dappertutto e con grande dignità l'abito talare, nobile e distinto: immagine della tunica di Cristo: Christus sacerdotum tunica, segno splendente della veste interiore della grazia».
Pertanto ascoltiamo la voce dei Santi e dei Papi, “rivestiamo” sempre meglio la nostra vita e il nostro ministero sacerdotale di queste preziose realtà di Cielo; così potremo essere umili operai, servi buoni e fedeli nella vigna del Signore e portar frutti a tempo opportuno per la Chiesa e nella Chiesa. Laus Deo et Mariae!
Questo articolo conferma che leggendo i discorsi, gli interventi, le encicliche e gli altri documenti del Beato Papa Giovanni XXIII e di Papa Paolo VI, il loro magistero è lontano anni luce da come viene presentato dalla vulgata corrente, e purtroppo anche dai saccenti e sprezzanti interventi di molti (in verità sempre i soliti) commentatori di questo blog. Le "immaginette" di questi due successori di San Pietro corrispondono alla realtà quanto lo "spirito" del Concilio ai documenti ufficiali di quella suprema assise.
RispondiEliminavede, su questo argomento non è più questione di "vulgata corrente": sono i fatti che contano, quelli che abbiamo sotto gli occhi in progressione inarrestabile, e che scaturiscono -come frutti dalla pianta- dai fatti degli anni '62-65-68 (...più dai fatti che dai detti....)
RispondiEliminaCome mai, secondo lei, potè nascere il cosiddetto "spirito del Concilio" ? e perchè non fu stroncato sul nascere nè contrastato da nessuno, prima che facesse danni ?
Non per niente ad oggi riconosco lo spirito di San Francesco nei francescani dell'Immacolata ... a discapito di ordini fondati direttamente dal Poverello che pensano di incarnare la spiritualità francescana ballando su un palco come fossero da Amici di Maria de Filippi ...
RispondiEliminaAltro che anni luci lontani ...